L’ouverture del 267° pontefice della Chiesa cattolica sembra essere caratterizzata da una adeguata e controllata complessità. Basterà a contenere le tensioni ecclesiali che ad oggi agitano e dividono la Chiesa?
Forse è un azzardo, ma come i primi gesti di Francesco furono significativi per la Chiesa dell'epoca, così le prime parole di Leone XIV già dicono qualcosa a noi Chiesa odierna, o no?
Unità, chiarezza, certezza, fermezza, custodia, verità: queste le parole d'ordine sul fronte ecclesiale conservatore. E se le riassumessimo in una, ossia parzialità?
Al di là delle lacrime per la scomparsa di una persona tanto attesa quanto amata, cosa resta delle sue parole e dei suoi gesti?
Tristezza e solitudine, potere e capri espiatori, vittimismo e autodistruzione, bestemmie e inferi: tutto ciò che è umanamente "basso" viene elevato in alto dalla morte in Croce di Gesù
Quanto è ancora lunga la strada che la Chiesa deve ancora compiere sulla via della trasparenza e della collegialità nell'esercizio del Potere?
Dopo lo sbrilluccichìo del poetico rinvio, iniziano ad emergere le ombre di una procedura successiva tutta da costruire nella sua fondamentale trasparenza e collegialità.
Come è possibile che seppure uno parli di zona "in missione per conto dello Spirito", si comprenda e venga riportato dalla stampa l'immagine di questa zona quale "campo da animare spiritualmente"?
Segno della complessità attuale è anche il dover di continuo ridefinire lo stile del rapporto della Chiesa con il mondo e la necessità degli organismi di mediazione e partecipazione
Passano gli anni, le proposte si raffinano e sono pubbliche, ma quando parli di IRC nella Chiesa devi ancora precisare che esso ha un risvolto educativo e, soprattutto, culturale...
Esprimere teologicamente in modo più adeguato l'evento vissuto da Paolo consegue e rilancia il dialogo profondo con la Parola di Dio, con gli ebrei e con gli altri cristiani
Quando due coppie di film si fanno portatrici di opposte visioni - l'una falsa, l'altra vera - della speranza teologale
In un tempo di terza guerra mondiale a pezzi e di crisi della democrazia, il rilancio degli organismi di partecipazione risulterà una scelta ecclesiale profetica?
Per l'esito del cammino sinodale italiano non sarà indifferente comprendere e scegliere quale stile di missione può e deve caratterizzare la Chiesa italiana
Nella Chiesa si comincia a cogliere come segno dei tempi la necessità di guardare più ai contenuti teologici che al metodo per esprimerli?
Il rinnovamento della cultura cattolica non può che passare da un approccio discepolare, discente nei confronti degli altri e dell’Altro che in essi sussurra
Compagnia, affiancamento, accompagnamento: non sono termini equivalenti dal punto di vista teologico e pastorale, soprattutto in riferimento alla dignità e all'autonomia del mondo adulto
Leggere è veramente fare palestra di discernimento, in attesa della continua rivelazione del senso eccedente della vita?
Quale impoverimento subirebbe la figura di Gesù, la storia del cristianesimo e la nostra comprensione degli altri e delle loro culture, senza la luce e l'oscurità dei sentimenti e delle emozioni narrati dalla letteratura?
La bella e lunga intervista rilasciata su SettimanaNews dal teologo sinodale è stata l'input per immaginare un confronto a tutto campo sul futuro sinodale della Chiesa
Certe proposte di riforma ecclesiale, suggerite per i lavori del Sinodo 2024, possono veramente avviare processi di "declericalizzazione" dell'autorità ecclesiale?
Nell’"Instrumentum laboris" per il Sinodo 2024 si può trovare ancora qualche gradevole sorpresa, al netto delle prevedibili e annunciate delusioni
E se la misericordia fosse la traduzione teologica della categoria scientifica e filosofica della complessità?
Se prendessimo sul serio la ricaduta pastorale dell'uso della categoria di complessità, molte questioni ecclesiali attuali potrebbero essere vissute con minor virulenza...
Giunge il tempo in cui anche la notte più dolorosa ed oscura si trasfigura nell’alba di un giorno in cui i raggi del sole scalderanno ogni quartiere.
Se nel tempo pasquale dovrebbe risplendere la gioia dei testimoni del risorto, gli eventi tragici che viviamo allungano su tale gioia l'ombra triste proveniente dai volti dei discepoli di Emmaus...
Lo scorrere della vita, tra lavoro amore e famiglia, si costella sempre più di "forse" quante più sono le "ferite" che la segnano. Ma "forse", appunto, è questo il bello di una vita alla "ricerca di qualcosa"...
Il buio (e la paura di esso) ci accomuna tutti in quanto esseri umani, così come la ricerca in esso di una luce che lo illumini: ma tutte le luci sono uguali?
Se le croci sono disseminate un po’ ovunque, la preghiera spunta spesso dove meno te l’aspetti, ma anche se non è del tutto ortodossa crediamo sia sempre gradita a Dio.
Nel passaggio epocale da una società di benpensanti ad una di non pensanti, il cristianesimo si dovrà porre sempre di più come chicco di grano fruttifero perché morente
È sempre lo stesso io quello che si apre e si chiude alla verità? O c'è un criterio per discernere l'io che accoglie la luce da quello che si rinchiude nelle tenebre?
Prima i poveri e l’identità collettiva, poi il gender e l’identità individuale: “buone nuove” dal rap italiano?
Quando la Chiesa volle formare gli artisti allo «spirito dell’arte sacra» (tale perché «imitazione di Dio creatore») esortò vescovi o «sacerdoti idonei» ad averne «cura» mediante «scuole o accademie» (SC, 127) e, per i preti, «durante il corso filosofico e teologico» (SC, 129).
Fu un caso che anche il discernimento episcopale, sia sulle opere d’arte «contrarie» o che «offendono» il senso religioso, sia sulla «nobile bellezza» (o «mera sontuosità») dell’«arte sacra» (SC 124), venne legato al «parere» di commissioni ad hoc e di «persone competenti» (126)?
Prosegue la quaresima con Marracash, questa settimana chiedendoci se c'è ancora qualcosa in cui credere e per cui morire...
Vale ancora l’invito conciliare di esporre le immagini sacre in modo che non suscitino «esagerata ammirazione» o «devozione sregolata» (SC 125)? E quello di «ricercare piuttosto una nobile bellezza che una mera sontuosità (…) anche per le vesti e gli ornamenti sacri» (124)?
Solo l’arte sacra, ma non la musica, è vista come attività di «ingegno umano» che ha il fine di volgere a Dio «le menti degli uomini» (SC 122). Per questo la prima, più razionale, prevede la «libertà d’espressione» (123)? Mentre la seconda, più emozionale, ha canoni determinati?
Musica sacra, canto gregoriano e organo a canne sono «un patrimonio d'inestimabile valore» (SC, 112). Ma alla fine (inevitabilmente?) non hanno “vinto” «il canto popolare religioso» (118), la «musica tradizionale di quei popoli» (119) e, soprattutto, gli «altri strumenti» (120)?
Che ne è stato della «cura» (SC, 114) e della «formazione» richiesta per la «musica sacra» (115)? E della missione dei compositori cristiani (121)? O del «posto principale» riservato al «canto gregoriano» (116)? E del «grande onore» riconosciuto all’«organo a canne» (120)?
Il percorso quaresimale come cammino verso la consapevolezza del valore reale delle "cose"...
Anche qui, da un lato, sono «conservati o restaurati gli usi e gli ordinamenti tradizionali», ma sempre «secondo le condizioni di oggi» (SC, 107); dall’altro lato, quello degli «elementi» liturgici, «se opportuno, se ne riprendano anche altri dall'antica tradizione» (SC, 109).
Il fatto che i padri conciliari vollero ricordare «le conseguenze sociali del peccato» (SC 109), sollecitando una «penitenza quaresimale (…) anche esterna e sociale», rivela quanto la spiritualità cattolica si fosse ridotta ad essere meramente «interna e individuale» (SC 110).
Dalla revisione dell’anno liturgico si coglie quanto le “feste dei santi” (SC 111) sovrastassero le “feste del signore” (108) – come la domenica (106) o la quaresima (109). Tant’è che si ricordò chi è il modello (Cristo) e chi è la copia esemplare (i santi – 104 – e Maria - 103).
Certo, l’ufficio divino è la «preghiera pubblica della Chiesa» (SC 90; 98), ma non stride un po’ parlare di «obbligo» (85, 97) o «dovere» (86; 96; 99) e, al contempo, di «fervore» (86) e «devozione interiore» (99), soprattutto se espressi in «coro» (95) e in «comune» (99-100)?
Anche qui si toglie o si muta «ciò che ha sapore mitologico» (SC 93), come «le “passioni” o vite dei santi» (92), e si selezionano dalle «raccolte innografiche» altri inni «secondo opportunità» (93), come per le «opere dei Padri, dei dottori e degli scrittori ecclesiastici» (92).
Quale responsabilità per chi recita l’ufficio, se esso deve essere simile ad un «inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti» (SC 83), ad un «mirabile canto» (84) mediante cui il «tempo» si accorda con l’eterno (88-89; 91; 94) e «l’anima corrisponde alla voce» (90)!
Stupisce sempre rileggere, nell’invito a comporre un rito di ammissione nella comunione della Chiesa, la frase «coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla Chiesa cattolica» (SC, 69). D’altronde, non si festeggia ancora oggi un’inesistente conversione di san Paolo?
Ci fu un tempo in cui la Chiesa riconobbe nei sacramenti e sacramentali un grande deficit – da revisionare! - in tema di origine «pasquale» (SC 61), chiarezza (SC 62), «istruzione» (SC 59) degli «adulti» (SC 64), «cosciente e attiva partecipazione» (SC 79). E oggi? Va tutto bene?
Dalla revisione del matrimonio emerge quanto non fossero chiari “la grazia del sacramento” (SC 77) e che “entrambi gli sposi” avessero “lo stesso dovere della fedeltà vicendevole” (78). Se per secoli è mancato quel “vicendevole”, come lamentarci dell’attuale crisi del matrimonio?
Anche nell’estensione della «facoltà» di concelebrare, oltre che nello speculare divieto di «celebrare individualmente» durante il giovedì santo (SC, 57), vediamo tracce di un bel desiderio di comunità, il cui riflusso e spengimento osserviamo, invece, quasi impotenti, da anni.
Se ricevere il corpo di Cristo è partecipazione «più perfetta» alla messa e perciò da raccomandare «molto» ai fedeli (SC, 55), come sperare d’istruirli affinché vivano veramente «le due parti» della messa come «strettamente congiunte» (SC, 56) e in «mutua connessione» (SC, 21)?
Ma quell’omelia raccomandata «vivamente», e non omettibile «se non per grave motivo», riesce veramente a presentare, a rendere presenti e attuali, «i misteri della fede e le norme della vita cristiana» (SC, 52) o le «mirabili opere di Dio nella storia della salvezza» (35, n.2)?
In ogni buona «revisione» ecclesiale (SC, 23; 31; 38) sono soppressi «elementi duplicati o aggiunti senza grande utilità col passare dei secoli», mentre sono ristabiliti - «secondo tradizione» e «nella misura opportuna o necessaria» - altri «elementi col tempo perduti» (SC, 50).
Segno dei tempi conciliari fu anche, purtroppo, continuare a legare «messa» e «sacrificio» (SC, 2; 7; 12; 47; 49; 55). Solo una volta si affianca «eucaristia» a «pietas» e «caritas» (47; forse 10). Mai a perdono e misericordia: arranchiamo ancora dietro al Vangelo e ad Osea!
Il concilio ripristinò la preghiera comune dei fedeli come uno dei segni di «partecipazione del popolo» al mistero eucaristico (SC, 53). Perché non si è trovato un modo definitivo per effettuare solo intenzioni della comunità locale legate al vangelo, all’omelia e all’attualità?
«Il rinnovamento della liturgia», quale «segno dei provvidenziali disegni di Dio» e del «passaggio dello Spirito Santo» (SC, 43), fu legato alla creazione di commissioni (di liturgia, musica e arte sacra) che coadiuvassero i vescovi nazionali (44) e locali (45-46). Fu un caso?
Il Concilio volle riti in cui si curassero i «gesti del corpo» e il «sacro silenzio» oltre che le «risposte» e i «canti» (SC, n.30), la «capacità di comprensione» oltre che la «semplicità» e la «brevità» - «senza inutili ripetizioni» o «molte spiegazioni» (n.34). Noi lo attuiamo?
Discernere quali adattamenti liturgici siano «utili e necessari» può essere «difficile»: perciò ogni adattamento «profondo» va fatto dai vescovi e dalla Santa Sede con «attenzione e prudenza», ricorrendo a «persone competenti» e ai «necessari esperimenti preliminari» (SC, 39-40).
Nell’«autentico spirito liturgico» non c’è «rigida uniformità» (SC, n.37), ma «sostanziale unità» e «legittime diversità» (n.38) che, però, non mettano «in questione la fede o il bene comune» e includano «superstizioni» o «errori» (n.37). Ma chi e come discerne questo discrimine?
Prima che sostituisse il latino, «l’uso della lingua volgare» sembrava più una concessione, legata alla sua «grande utilità» (SC, 36) per una liturgia intesa (anche) come «fonte di istruzione» per «la fede dei partecipanti» e per rendere a Dio «un ossequio ragionevole» (SC, 33).