La “conversione” di San Paolo alla luce del dialogo ecumenico ed ebraico-cristiano

Esprimere teologicamente in modo più adeguato l'evento vissuto da Paolo consegue e rilancia il dialogo profondo con la Parola di Dio, con gli ebrei e con gli altri cristiani
28 Gennaio 2025

Il 25 gennaio, i cattolici hanno festeggiato la cosiddetta conversione di San Paolo. Nello stesso giorno si è conclusa la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, cominciata il 18 gennaio. Il 26 gennaio si è celebrata la Domenica della Parola di Dio e il 17 gennaio si è svolta la Giornata del dialogo tra cattolici e ebrei.

Cosa unisce tutte queste ricorrenze? Proprio il fatto che sarebbe ora – il kairòs – di dichiarare «impropria», per poi sostituirla, la categoria di conversione utilizzata per definire quanto avvenuto nella vita di Saulo di Tarso.

Le ragioni sono ben spiegate in una Petizione risalente ormai a quasi tre anni fa, approvata dall’Assemblea ordinaria del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) in data 24 aprile 2022, sottoscritta da cattolici, protestanti ed ebrei, ed indirizzata al Prefetto (e per conoscenza al segretario) del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

A tal proposito, sarebbe interessante sapere se c’è stata una risposta definitiva o, almeno, una presa in carico della questione. Essa è troppo importante per gli equivoci che ingenera nel popolo di Dio.

Contribuisce, infatti, a far pensare in modo diffuso e quasi scontato che vi sia stato un passaggio di Saulo (poi Paolo) dalla religione ebraica alla (già costituita) religione cristiana. Quando, in realtà, si trattò di una vicenda tutta ancora interna all’ebraismo, alla prese con la discussione sulla messianicità (o meno) di quello che allora poteva essere visto – mi si passi l’immagine provocatoria – come l’ennesimo “pretendente al titolo”.

Già Benedetto XVI, nell’Angelus del 25 gennaio 2009, riportava il fatto che «alcuni preferiscono non usare il termine conversione, perché – dicono – egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo». Ma, poi, il suo tentativo di salvare la categoria di “conversione” come chiave di lettura dell’evento vissuto da Paolo finiva per isolare totalmente Gesù il Cristo dalla sua genealogia ebraica.

Addirittura, poi, se ascoltassimo coloro che evidenziano negli Atti degli Apostoli la cosiddetta persecuzione dei cristiani da parte di Paolo, potremmo pensare veramente che alle origini del cristianesimo vi sia stato un momento in cui una religione forte e di maggioranza – quella ebraica – si sia dedicata alla persecuzione della piccola e indifesa comunità cristiana nascente. Se a ciò aggiungessimo l’errore – più che l’equivoco – o l’orrore dell’accusa rivolta al popolo ebraico di deicidio, la tragedia sarebbe completa e allungherebbe le sue ombre sino al nostro recente passato. Non è un caso, credo, o è un caso divino, il fatto che la Giornata della Memoria cada a chiusura di questi giorni (27 gennaio).

D’altra parte, invece, se finalmente perseguissimo la strada di una migliore traduzione e tradizione dell’evento vissuto da Saulo/Paolo, riusciremmo anche a leggere meglio la complessità dialettica e il pluralismo del testo biblico, (ri)scoprendo l’irrevocabilità dell’Alleanza di Dio con gli ebrei (Rm 9-11) e facendo emergere le vere responsabilità – del Potere (religioso e politico) – nella morte di Gesù (Mt 27,20). In fondo, non abbiamo proceduto in modo simile con la nuova traduzione del Padre Nostro?

In ogni caso, come per il caso simile della questione dell’individuazione di una data di Pasqua che sia unica per tutti i cristiani, spero che non vi sia nessuno che ritenga tali preoccupazioni secondarie o addirittura sorpassate. Basterebbe fare un giro nelle nostre classi – e non per forza in quelle delle scuole di periferia, anzi – per rendersi conto che questo è il senso comune che abita le persone e, quindi, che c’è ancora molto da lavorare nella direzione auspicata.

Una risposta a “La “conversione” di San Paolo alla luce del dialogo ecumenico ed ebraico-cristiano”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Semplice riflessione da lettrice della Parola di Dio. Paolo non sembra aver cambiato una fede, a quella cultura di nascita ha fatto seguito quella apertagli da Cristo, anch’Egli ebreo di una Fede che il Padre gli ha manifestato non chiusa al suo popolo di elezione ma per diventare aperta a tutti i popoli della Terra. Con il medesimo ardore conosciuto Gesù Cristo, così come Pietro, si è dedicato a far comprendere ad altre genti ciò che da Dio il Figlio dava testimonianza alle nuove genti di quel Dio che nessuno aveva mai visto ma che desiderava venire conosciuto per essere Padre di tutti gli uomini. Non dunque una religione nuova, il cristianesimo ma un proseguo nella storia tra Dio e l’uomo. Per questo è una lacuna non trovare fare cenno nelle omelie alle letture bibliche, un “trait d’unione” con il Vangelo. E’ una unica Storia Sacra nel suo rivolgimento indipendente dalle scelte dei popoli. Conoscere da dove proviene Cristo, figlio di Davide, Figlio di Dio !

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