Cristo, Chiesa e verità: Leone XIV nella scia del Concilio

L’ouverture del 267° pontefice della Chiesa cattolica sembra essere caratterizzata da una adeguata e controllata complessità. Basterà a contenere le tensioni ecclesiali che ad oggi agitano e dividono la Chiesa?
15 Maggio 2025

Prima del Conclave avevo messo in evidenza una certa povertà e parzialità teologica del fronte ecclesiale cosiddetto conservatore o, con le parole (qui) di Gilberto Borghi, “antibergogliano” (da cui si può dedurre specularmente l’analoga povertà e parzialità del fronte cosiddetto progressista o, sempre con Borghi, “continuista”). Dopo l’habemus papam, ho sperato che il nuovo vescovo di Roma proseguisse (almeno) il tentativo operato da Francesco di interpretare e vivere la società odierna, la comunità ecclesiale e il rapporto tra le due secondo la categoria della complessità. D’altronde, lo stesso cardinal Re, decano del collegio cardinalizio, nell’omelia della messa pro eligendo romano pontefice, aveva collegato il «bisogno» di un certo tipo di Papa a questo nostro tempo «tanto difficile e complesso».

Dopo aver analizzato (qui) le prime parole di Leone XIV, mi è sembrato importante scandagliare a fondo quelle successive, rivolte ai cardinali (qui e qui), al popolo cattolico di Dio (qui e qui) – compreso quello orientale (qui) – e ai giornalisti di tutto il mondo (qui). Perché esse, seppur dette con un linguaggio che – come per gli altri pontefici – verrà messo a punto piano piano, mi sembrano rappresentare bene questa complessità nella quale siamo immersi e rispetto alla quale cominciamo ad intravedere come navigherà il nuovo vescovo di Roma.

 

  • Cristo e Spirito Santo

Partiamo, dunque, dal più volte ripetuto primato dell’«annuncio» e della «testimonianza» del Cristo risorto (cf. LG 1; EG 11) che tanto sembra aver rincuorato e rinvigorito, a “destra” e al “centro moderato”, i perplessi e gli scontenti di Francesco. Leone XIV, in realtà, ricorda innanzitutto che l’identità evangelica di Cristo è costituita dall’essere Egli non solo «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16) ma anche «il Figlio dell’uomo» (Mt 16,13): pienamente divino – risorto con un «corpo glorioso» per un «destino eterno» – ma anche pienamente umano – prima «bambino», poi «giovane», infine «uomo» (cf. GS 22), «modello di umanità santa». In secondo luogo, questo (ritrovato – secondo gli “antibergoglisti”) cristocentrismo non è disgiunto da una corrispondente – e vedremo quanto robusta – pneumatologia. Non solo Gesù è il «pastore vero (…) che guida la Chiesa con il suo Santo Spirito», ma la memoria di quanto Egli ha detto (a partire dalla Sua pace – che è diversa da quella che dà il mondo!) sarà opera – consolante – dello Spirito Santo (Gv 14,25-27).

Per questo l’ascolto docile della voce del Risorto, a partire dai ministri della Sua salvezza, potrà avvenire secondo Leone XIV solo ricordandosi che Dio comunica «più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel “sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,12) o, come alcuni traducono, in una “sottile voce di silenzio”» – in altri termini, non tanto nel ruggito “istituzionale” del leone, ma soprattutto nel belare “spirituale” dell’agnello. Per questo credo che non dovremo aspettare molto perché ci venga ricordato anche che l’umanità di Dio si nasconde spesso dentro – o dietro – ai piccoli affamati e assetati, stranieri e carcerati, malati e spogliati di tutto di cui ci parla Mt 25,31-46 (cf. EG 53).

 

  • Verità e misericordia

Lo stesso «patrimonio» della fede, se è vero che è un Suo «dono», un Suo «tesoro» che la Chiesa «custodisce e trasmette» (con i suoi vescovi e in primis quello di Roma – che presiede gli altri nella carità), è anche vero che per Leone XIV esso si «approfondisce» nel «cammino» storico della Chiesa stessa. Mi sembra significativo – e per ora decisivo – che Leone XIV abbia tenuto a farci sapere quanto sia importante che «impariamo sempre di più ad ascoltare, per entrare in dialogo. Anzitutto con il Signore: ascoltare sempre la Parola di Dio. Poi anche ascoltare gli altri: sapere costruire i ponti, (…) non giudicare, non chiudere le porte pensando che noi abbiamo tutta la verità e nessun altro può dirci niente. È molto importante ascoltare la voce del Signore, ascoltarci, in questo dialogo, e vedere verso dove il Signore ci sta chiamando» (cf. EG 84, 119-120). Non mi stupirebbe se, a breve, ricomparisse in un testo pontificio anche la citazione di Gv 16,13; nel frattempo, Leone XIV fa suoi, da un lato, l’esigenza emersa durante le congregazioni pre-conclave di una Chiesa «sinodale» e di «una specie di condivisione con il Collegio Cardinalizio per poter sentire quali consigli, suggerimenti, proposte» provengono da esso (cf. EG 33), e, dall’altro lato, l’auspicio di Paolo VI espresso al principio del suo pontificato (22 giugno 1963) affinché vengano rischiarate da Dio «le vie della collaborazione reciproca» con e tra gli «uomini di buona volontà».

In effetti, la figura del «fedele amministratore», evocata da Leone XIV citando la prima lettera ai corinzi di Paolo (4,2), affonda le sue radici e trova la sua spiegazione (solo) nella corrispondente figura lucana (12,42-48): non tanto un’autorità che deve preoccuparsi di «insegnare una dottrina» (aspetto «che oggi non ha più senso» – come ha ricordato qui il cardinale Prevost da Prefetto del Dicastero per i vescovi), ma innanzitutto un esercizio dell’autorità che non deve approfittarsi dell’assenza del padrone per non «distribuire a tempo debito la razione di cibo» agli altri servi e serve, o addirittura per «percuoter[li]» e «mangiare, bere e ubriacarsi» a loro danno. Pensiamo a quanto Leone XIV ha affermato di fronte ai cattolici di rito orientale: essi sono talmente «preziosi» – ne abbiamo talmente «bisogno» – per la capacità delle loro «tradizioni viventi» di «arricchire con la loro specificità [varietà] il contesto in cui vivono», che il neovescovo di Roma ha voluto “ripescare” un’antica e forte prescrizione di Leone XIII secondo la quale «qualsiasi missionario latino (…) che con consigli o aiuti attiri qualche orientale al rito latino» deve essere «destituito ed escluso dal suo ufficio». Dunque, prima ortoprassi (quel «stiamo vivendo» di cui parlava il cardinale Prevost) e poi ortodossia. Solo in seguito, infatti, il vangelo si preoccupa di giudicare l’amministrazione dell’ortodossia, ossia dei cosiddetti «averi» (Luca 16,1), ma anche qui l’insegnamento che ne emerge è sempre quello del Padre nostro: rimettere, condonare i debiti – se non per convinzione o per fede, quantomeno per scaltrezza (Lc 16,8). Quindi, ortodossia e «ricerca della verità» sì, ma nella misericordia, nell’«amore con cui umilmente dobbiamo cercarla».

 

  • Chiesa e conversione

La Chiesa, infine, in quanto denominata «Corpo mistico», non è solo quella visibile, ma anche quella invisibile. Non è solo – con termini che effettivamente non si sentivano da un po’ – «città posta sul monte», «faro che illumina le notti del mondo» (secondo Gv 21,4-7), ma è anche «arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia». Certamente non «la fiaccola» di cui parlavano papa Francesco e padre Spadaro (secondo Lc 24,15-17), ma forse – con le parole di quest’ultimo – anche quella barca che può affrontare in modo rapido le rapide del nostro tempo. In ogni caso, la Chiesa secondo Leone XIV non è tale per la «magnificenza delle sue strutture» o la «grandiosità delle sue costruzioni», bensì per la «santità dei suoi membri» che, perciò, devono essere «modelli credibili», «gli uni per gli altri, ciascuno in base al proprio stato, pastori “secondo il suo cuore” (Ger 3,15)».

Non a caso, l’affidabilità di questa testimonianza viene collegata anch’essa ad «un quotidiano cammino di conversione» (cf. EG 9). A partire – «prima di tutto» – da quello del vescovo di Roma, il quale volutamente ha concluso la sua prima omelia con un invito kenotico (Fil 2,7) rivolto a «chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cf. Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo». Vedremo se Leone XIV avrà la forza di ricordare anche alla Chiesa che il tanto citato Lc 22,32 prevede che la conferma dei fratelli operata da Pietro avviene solo dopo la sua conversione – mai data una volta per tutte [1]. Sì, qui ci vorrà proprio una forza “leonina”, perché tale dettaglio non è stato messo nella giusta luce né da Benedetto XVI né da Francesco, ma solo da Giovanni Paolo II nella seconda fase del suo pontificato, quella successiva al crollo del muro di Berlino ed alla guerra del Golfo (cf. Ut unum sint, 4).

 

  • Complessità e Concilio Vaticano II

In definitiva, su cristologia e penumatologia, identità e alterità, unità e diversità, verità e misericordia, autorità e conversione, mi sembra confermata la complessità dell’approccio iniziale di Leone XIV, il suo tentativo di tenere insieme «tutte e due queste cose», una coincidentia oppositorum senza compromessi al ribasso o genericismi insignificanti. Ciò spiega perché immediato è stato il suo invito ai confratelli cardinali – e alla Chiesa tutta – di rinnovare la «piena adesione» a quella «via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II» per rispondere alle «sfide del tempo». Di quella coincidentia il Concilio è stata la massima rappresentazione moderna e i suoi «contenuti», secondo Leone XIV, sono stati richiamati ed attualizzati «magistralmente» dall’enciclica di Francesco Evangelii gaudium, le cui «istanze fondamentali» (nn. 9, 11, 33, 53, 84, 119-120, 123) costituiscono «principi del Vangelo» a cui «educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio» – non certo, come è stato ancora di recente affermato dal nunzio Gaenswein, elementi di «confusione» o «arbitrarietà» da cui proteggere «il gregge (Gv 21,15-17), il campo (Mc 4,1-20)» che innanzitutto e soprattutto – ribadisce Leone XIV – «ci è dato perché lo curiamo e lo coltiviamo».

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[1] Cfr. Sergio Ventura, Imparare dal vento, EDB (2024), p.182-183.

 

2 risposte a “Cristo, Chiesa e verità: Leone XIV nella scia del Concilio”

  1. Elena Tede ha detto:

    Povero Papa ! Non si è ancora insediato e già viene passato ai raggi X, sottoposto al microscopio da chi, con una certa supponenza, crede di sapere meglio di lui come si fa a fare il Papa.
    Io credo invece che questa volta lo Spirito Santo abbia potuto agire indisturbato, indicando alla quasi totalità dei cardinali il nuovo successore di Pietro da Lui scelto.
    Non sta a noi giudicare, già da ora, con la nostra mentalità. Chi ci crediamo di essere ?

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ogni Papa, Pastore della Chiesa di Cristo, ha da rendere conto in primis al suo Maestro, ha come da esempio di Giovanni Paolo II da trarre saggezza da quel Vangelo che la Chiesa rimanda aperto ai fedeli, come luce che illumina il percorso di vita di ogni uomo. Non dunque un codice di leggi imposto cui attenersi, ma nozioni di saggezza, che è soltanto con l’amore che l’uomo può diventare costruttore di se stesso e superare le difficoltà che il vivere comporta. Perché stupirsi se anche il nuovo Papa ci ricordi l’importanza della famiglia secondo l’idea di Dio ritenuta alveo di quell’amore capace di perpetuarsi nelle generazioni finché Egli il Risorto ritorni? Non è quell’amore fondante, che ha abbattuto muri, costruito ponti, reso servizio vitale agli scartati dalla società ?un amore che sa sacrificare di se per la vita di molti. “Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Nel suo nome spereranno le nazioni”.

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