Il mistero del sinodo italiano: chi ha scritto le 50 Proposizioni finali?

Quanto è ancora lunga la strada che la Chiesa deve ancora compiere sulla via della trasparenza e della collegialità nell'esercizio del Potere?
15 Aprile 2025

Anche per il camminio sinodale italiano, come spesso capita nella vita, comprendere come andare avanti (vedi qui) necessita un minimo di riflessione su cosa lo ha condotto ad uno shock che speriamo sia salutare.

Quel poco che conosciamo proviene da alcune dichiarazioni dei protagonisti. Con raro senso istituzionale, l’arcivescovo Castellucci in qualità di Presidente del Comitato nazionale si è assunto (qui) la responsabilità delle «carenze» verificatisi durante la stesura finale delle 50 Proposizioni. Egli, parlando però sempre al plurale, ha definito quest’ultima una «asciugatura» che, nonostante l’aver specificato (qui) il «genere letterario» di «passaggio ponte» assunto dalle Proposizioni e la necessità di inserirle nel contesto delle quattro Introduzioni, è risultata una «dieta eccessiva» (da 74000 a 46000 battute) che ha, di conseguenza, scatenato gli interventi critici dell’assemblea e, in seguito, gli emendamenti e le riscritture di un testo risultato «inadeguato, arido e povero». Sarebbe interessante sapere quale criterio sia stato seguito e che tipo di Proposizioni (o quali parti di esse) siano restate fuori dalla sintesi o ricomprese nella parti ad esse introduttive: di certo c’è che il «primo testo di sintesi» è stato «letto integralmente e discusso l’11 marzo nel Consiglio Episcopale Permanente; in quella riunione ne è stata chiesta la riduzione drastica, perché si arrivasse alla forma di Proposizioni (come da Regolamento) sintetiche e mirate».

Quindi, chi in questi giorni ha chiesto in modo un po’ pretestuoso e quasi proditorio le dimissioni della Presidenza del Comitato Nazionale, forse doveva indirizzare i suoi intenti verso l’intero gruppo dirigente della CEI (presidenza, segreteria e consiglio permanente della CEI), chiedendone le dimissioni in blocco: una sorta di – rivoluzionaria e perciò un po’ sfasata storicamente – “decapitazione” degli organismi direttivi dell’episcopato italiano. Per quanto mi riguarda, credo sia sufficiente aver letto per la prima volta in un testo di un pastore della Chiesa l’espressione «sbagliando» (e «mea culpa») riferita a sé stesso e ai suoi confratelli vescovi.

D’altra parte, restando non chiaro l’autore –  o gli autori – delle (50) Proposizioni finali, il racconto dell’arcivescovo Castellucci è stato subito contestato da fronti opposti, in quella che Sequeri ha definito (qui) una «dialettica (…) irrigidita in competizione»: il sito Silere non possum (sostenuto dal sito Dagospia) ha sostenuto che il padre delle (50) Proposizioni fosse il vescovo Giuliodori (assistente ecclesiastico della Cattolica di Milano e dell’Aziona Cattolica italiana, nonché presidente della commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università), lodandolo per il suo tentativo di «arginare la deriva» e «limitare i danni» del cammino sinodale causati dai «vescovi e laici progressisti». Dall’altra parte, Andrea Grillo ha evocato (qui e qui) il «disegno» di «ribellione di qualche funzionario» misterioso rimasto «agli anni ‘50», Marcello Neri ha (qui) intestato tale paternità agli «uffici centrali della CEI» e Lucia Vantini, in un articolo molto bello, evocativo e pieno di speranza, ha parlato di documento «che sembrava venuto da lontano».

Ovviamente, nessuna smentita è arrivata dai protagonisti, così come nessuna richiesta di smentita o di conferma è partita da un giornalismo d’inchiesta ormai disabituato ad approfondire determinate questioni. In ogni caso, il vero convitato di pietra, il reale primo termine di paragone a cui sarebbe fondamentale accedere è il testo originario delle 50 Proposizioni, quello che l’arcivescovo Castellucci ha definito «il primo testo di sintesi». Chi lo aveva scritto? Da quale organismo è fuoriuscito? Qui monsignor Castellucci è stato più esplicito: «alcuni dei membri [della] Presidenza del Cammino sinodale […] hanno steso un primo testo di sintesi».

Chi sono questi membri? Perché non renderli pubblici? E poi, si sono mantenuti silenti nella presa di parola assembleare o sono intervenuti rischiando di opacizzare le acque? Difficilmente avremo risposte a queste domande. E comunque, anche se ottenessimo una risposta, finiremmo per ritornare ai quesiti precedenti, rischiando anche noi di formularli in quel modo polarizzato che finosce per tradire quella che, sempre Sequeri, ha definito in positivo la «funzione didattica della dialettica»: è stata una candeggiatura tradizionalista, da lodare o criticare a seconda della propria ecclesiologia? Oppure è stata una asciugatura progressista, riguardo la quale sarebbe importante capirne i criteri e le motivazioni?

Quello che potremmo invece verificare, per trarne qualche indicazione utile a rendere ancora più costruttive le tensioni determinatesi, è se nelle dichiarazioni dello Strumento di lavoro non siano già contenute frasi che sono poi andate (o meno) ad innervare le 50 Proposizioni e le altrettanto fondamentali Introduzioni ad esse. Perché, in effetti, solo così potremmo comprendere se tali Proposizioni hanno perso la ricchezza dello Strumento di Lavoro (come subito sostenuto qui dalla teologa Noceti) o se, invece, già quest’ultimo presentava dei limiti che l’assemblea avrebbe comunque chiesto di correggere.

Se guardiamo ad uno dei temi caldi del cammino sinodale, ossia al rapporto tra la Chiesa e i cattolici LGBT+, la Proposizione 5, con tutte le sue criticità – evidenziate, tra gli altri, da Massimo Battaglio (qui) – è già presente nei Lineamenti (25.5) e nello Strumento di lavoro (Scheda 5, lettera f). D’altra parte, nella Proposizione 5 sono effettivamente assenti alcuni passaggi importanti dello Strumento di lavoro (Scheda 5, lettera i, k, l), ma solo perché, come in altre Proposizioni (cf. ad es. la 43 sulle donne in relazione alla Scheda 15), riguardavano le scelte possibili a livello di chiesa nazionaletutte inspiegabilmente cassate. In modo analogo, la Proposizione 4 relativa agli abusi riprende quanto scritto, con tenore debole e insoddisfacente, dallo Strumento di lavoro per il livello diocesano (Scheda 5, lettera e), ma non per quello nazionale (ib., lettera g, i, j). Invece, riguardo un tema a me caro, quello della obbligatorietà degli organismi di partecipazione, nella Proposizione 38 si parla soltanto di «valutare se render[li] obbligatori», mentre sono più netti sia i Lineamenti (64.6-7) – con l’espressione «render[li] obbligatori» e «luoghi primari di discernimento e di progettazione» – sia lo Strumento di lavoro – con il suo «definir[ne] l’obbligatorietà». Similmente, il tema del rinnovamento dell’iniziazione cristiana – Proposizione 27 – è affrontanto in modo decisamente ridotto rispetto al maggior respiro che aveva nei Lineamenti (43.4) e nelle scelte possibili indicate dallo Strumento di lavoro (Scheda 10, lettere a, b).

Sembra, dunque, che abbiano tutti un po’ ragione: 1) nelle 50 Proposizioni finali si è perso qualcosa della ricchezza dei Lineamenti e dello Strumento di lavoro, al di là della assicurazione iniziale che tali testi sarebbero stati ripresi nel documento finale dei vescovi italiani; 2) ma già i Lineamenti e lo Strumento di lavoro – e quindi la prima (misteriosa) versione delle 50 Proposizioni – presentavano delle forti imprecisioni che l’assemblea avrebbe comunque emendato o riscritto.

Perciò, nell’attuale (e futuro?) mistero che circonda gli autori primi e ultimi delle Proposizioni, è ancora più fondamentale che il prosieguo del cammino sinodale avvenga con la massima trasparenza e collegialità [1].

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[1] Cf. Sergio Ventura, Imparare dal vento, EDB (2024), pp. 35-36; 56; 87-88; 132; 135-137; 139-140; 142-143; 160; 165-166; 169; 182-183.

2 risposte a “Il mistero del sinodo italiano: chi ha scritto le 50 Proposizioni finali?”

  1. Davide Corallini ha detto:

    Premesso che è stato un pasticcio e che (come giustamente riportato) il futuro del documento e della metodologia è nebuloso e incerto. Ma la costante ricerca dei nomi o degli autori del documento, assomiglia ad una caccia al colpevole poco significativa. Restare sulla riflessione sostanziale del testo e della sua genesi è nucleo fondamentale: alimentare un confronto e stimolare il pensiero sull’idea che c’è nel documento (e sulle possibili modifiche), può essere una via significativa per suscitare consapevolezza e riflessione su ciò che sta (o non sta succedendo) nel Sinodo e nella Chiesa

  2. Giuseppe Risi ha detto:

    Ho letto solo ora le 50 proposizioni “incriminate” (ci ho messo 10 minuti scarsi): effettivamente lette da uno che è rimasto largamente ai margini del cammino sinodale sembrano talmente vaghe/generiche/ evasive che non si capisce a cosa possano servire, se non a insabbiare tutto. Ma tutto cosa, ancora non l’ho capito.

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