Nel segno di Bose

Il libro di Riccardo Larini legge la crisi di Bose come segno della crisi in cui ogni comunità è messa dall'avvento del "cristianesimo di domani"
11 Settembre 2021

Dopo che lo scorso 30 maggio Enzo Bianchi ha lasciato definitivamente la Comunità di Bose a seguito del Decreto singolare emesso dalla Segreteria di Stato e approvato in forma specifica dal papa nel maggio del 2020, l’”affaire” Bose sembra essersi assopito almeno nell’opinione pubblica, non solo cattolica. Con l’allontanamento a tempo indeterminato – forse sarebbe meglio dire espulsione – del fondatore di Bose e priore fino al 2017, Enzo Bianchi (non vanno dimenticati gli allontanamenti temporanei, almeno 5 anni, di Goffredo Boselli, tra i migliori liturgisti italiani, Antonella Casiraghi, ex responsabile delle sorelle di Bose e Lino Breda, da sempre l’addetto all’ospitalità della Comunità, che oltre a lasciare fisicamente Bose dovranno «astenersi dall’intrattenere, in alcun modo, relazioni e contatti con i membri della Comunità senza l’autorizzazione previa e esplicita del Delegato Pontificio»), la stampa e i web social pare abbiano placato la loro sete di informazioni, il più delle volte risultate errate e contraddittorie.

A dare un contributo competente, informato dei fatti e senza nessun spirito di polemica, arriva ora il libro di Riccardo Larini, Bose. La traccia del Vangelo. Larini, che vive a Tallinn, teologo, traduttore e pedagogista, esperto di ecumenismo, dal 1994 al 2005 monaco di Bose con incarichi di responsabilità, scrive un libro che farà bene leggere a chi crede di sapere tutto di Bose. Intendiamoci: il lettore che voglia cercare chissà quali retroscena dell’”affaire Bose” solo per curiosità e pettegolezzo, rimarrà deluso. Larini, nonostante abbia accesso a diversi documenti e intrattenga quotidianamente relazioni amicali con la totalità della Comunità di Bose e, va detto, abbia cercato attraverso vie diplomatiche e informali una mediazione per l’intera vicenda, non fa rivelazioni clamorose, sebbene non si sottragga da un giudizio severo relativo soprattutto al modo in cui è stata gestita l’intera vicenda. Il tentativo di Larini – assai difficile vista la complessità della vicenda che ha dato origine a Bose e alla vasta popolarità del suo fondatore, Enzo Bianchi, tra le personalità più influenti del cristianesimo occidentale – è quello di scrivere una storia bosina che parte dalle sue fondamenta, e cioè da quell’8 dicembre 1965, giorno della chiusura del Concilio Vaticano II, quando un giovanissimo Enzo Bianchi decide di iniziare l’esperienza di Bose.

Il libro, corredato di analisi teologiche, filosofiche e di sociologia delle religioni, non si presta a un facile approccio per chi non “mastica” alcuni argomenti come la teologia, l’ecumenismo, la storia del monachesimo. Ma restituisce bene quella che è stata, ed è tutt’ora, secondo l’autore, l’anima di Bose. Se una domanda affiorasse alla fine della lettura del libro, «ma Bose ce la farà a resistere all’ondata di scandalo pubblico che le è piovuta addosso?», Larini sembra rispondere, «sì, resisterà». Ma per rispondere a questa domanda l’autore traccia un profilo di una storia grande, e insieme piccola, iniziata da un gruppo di monaci laici che scelsero la Serra di Ivrea per andare a vivere e praticare concretamente la scelta del Vangelo, in compagnia degli uomini. Passano così in rassegna le tante attività pastorali e di impegno spirituale che la Comunità di Bose ha messo in piedi in questi anni, divenendo una delle realtà più significative e più aperte del mondo cattolico e non solo: la sua caratterizzazione ecumenica, la scelta del monachesimo laico, le sue visioni lungimiranti sulla liturgia tanto che moltissime parrocchie e comunità oggi adottano il Salterio di Bose, e soprattutto la cura per l’eccellenza nel campo culturale con le edizioni Qiqajon, nella musica, perfino nell’artigianato e nella commercializzazione di prodotti agricoli.

Certo, Larini fa anche accenno ai problemi che non da oggi la Comunità ha iniziato a scoprire, dovuti alla sua crescita esponenziale in termini numerici e di importanza mediatica. Bose, negli ultimi anni, è stata letteralmente invasa da migliaia e migliaia di ospiti che cercavano nella quiete di Magnano, il respiro di uno Spirito che parlasse ai loro cuori. E, certo, quel famoso incipit di Ernesto Balducci del 1969, che commentava così l’inizio di Bose: «Su di una collina, nei pressi di Biella, un gruppo di cristiani di diversa confessione ha occupato, da due anni, le poche casupole lasciate vuote dal piccolo nucleo di abitanti migrati in città. Sono case per modo di dire: il vento fischia tra le fessure e la nebbia che le avvolge sembra quasi dipanarle e portarsele via. Non c’è nemmeno la luce elettrica. C’è la fede paradossale di questi amici che si propongono di preparare, in assoluta povertà, il cristianesimo di domani», sembra quasi anacronistico, tanto oggi Bose è cresciuta e di fatto cambiata.

Ma la domanda di Balducci resta: preparare il cristianesimo di domani. È questo il punto. È oggi Bose di nuovo pronta a preparare il cristianesimo di domani? Molti osservatori hanno colto nell’”affaire” Bose una discrepanza davvero eccessiva tra la pena inflitta dal Decreto singolare a Bianchi e gli altri, in assenza di prove concrete e in assenza di processo canonico, ma anche il fatto che la questione poteva essere gestita internamente, in seno alla Comunità. L’accusa, scrive Larini, è aver ostacolato la successione del nuovo priore Luciano Manicardi a Bianchi e non aver conosciuto e onorato di fatto l’autorità del nuovo priore, dando luogo a divisioni e non meglio precisati scandali in seno alla comunità. Allo stesso tempo è anche vero che papa Francesco ha scritto una lettera a Enzo Bianchi rinnovandogli stima e fiducia.

E, allora, si domanderà il lettore che vuole bene a Bose, ne è valsa la pena?

Il tempo, che nella Chiesa storicamente è giudice e paziente, darà un contributo di serenità all’intera vicenda e forse risponderà a molte delle domande rimaste irrisolte.

Al semplice lettore, e a coloro che si sono formati a Bose durante gli anni della giovinezza, non resta che appellarsi alla voce dello Spirito, che in mezzo ai “bisbigli e alle mormorazioni”, lascia trapelare lo spazio per la riconciliazione e l’abbraccio fraterno.

Perché, alla fine, non può che essere così.

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