Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù si è presentato come il Buon Pastore. In questa quinta domenica dell’anno B si presenta come la vite, che il Padre coltiva e di cui gli uomini sono i tralci (Gv 15,1-8). Dunque, non più solo un pastore che si prende cura delle pecore, ma un’unica vita che avvolge il creatore alle creature. E se la vite è buona, lo sono evidentemente anche i tralci, tutti.
Questa della vite è un’immagine semplice e potente per rivelare il rapporto tra gli uomini e Dio: un’unica vita, un unico amore, nato per portare frutto: l’espressione “portare frutto”, variamente declinata, è presente ben 6 volte nel pur breve brano della vite e i tralci. Una presenza quasi martellante.
Gesù non è venuto a portarci delle regole da osservare, ma a renderci generativi, fecondi, seminatori, grazie alla comunione con lui, anzi all’unica vita che ci unisce.
Però, ci avverte il brano di Giovanni, il Dio agricoltore che ama la sua pianta e quindi la cura perché possa continuare a dare frutti, compie due operazioni che possono sembrare dolorose: taglia e pota. Taglia i rami secchi, in modo da alleggerire la pianta e farle prendere più aria e più luce. E d’altra parte, perché lasciarli lì, se sono già morti?
Inoltre pota i rami che secchi non sono, perché portano frutto. E questo è un po’ più difficile da accettare: si tratta dunque di un Dio che porta dolore? No, è un Dio che proprio perché ci ama vuole vederci sempre più capaci di amare, vuole aiutarci a crescere. Ma come ogni pianta cresce e crescendo cambia, analogamente ogni vita spirituale è uno sviluppo, un percorso, e quindi è cambiamento. E come la pianta, mentre porta frutto, può essere attaccata da parassiti che le impediranno di fiorire nella prossima primavera, così ciascuno di noi può fare il bene, ma nel contempo lasciare crescere dentro di sé egoismi o paure che prima o poi si manifesteranno e ci impediranno di portare frutto. Crescere è questo, in ogni tempo della vita: affrontare i propri limiti, liberarsi, creare le condizioni per portare sempre più frutti. Vincendo la nostra resistenza al cambiamento e soprattutto a fare, ogni tanto, i conti con noi stessi.
Sapendo che, anche se a volte ci sentiamo frustrati o feriti, Dio è un bravo agricoltore, non ci ha abbandonato, ma sta creando le condizioni per permetterci di portare più frutti.
Ciò che è vitale dà frutto perché solo ciò che è vitale può dare vita e attirare a sé la vita. Il frutto non è da intendersi come il bene che, in un comune senso utilitaristico, sia il risultato delle azioni dell’uomo ma rappresenta la continuazione della vita che è il bene in assoluto più elevato.
La vitalità viene trasmessa dalla sua parola che dev’essere meditata curata coltivata e interiorizzata attraverso l’azione dello spirito che spinge a cercare la verità e la verità è che siamo figli di Dio come egli ci ha rivelato.