Fiducia Supplicans: nuovo lavoro per l’Inquisitore?

Se l'amore del Padre ci ha benedetto "mentre eravamo ancora peccatori" (Rm 5,8), perché con le nostre regole ci trasformiamo in incalliti inquisitori?
8 Aprile 2024

Sono trascorsi poco più di tre mesi dalla pubblicazione della dichiarazione Fiducia Supplicans, firmata dal prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede card. Víctor Manuel Fernández: documento che ha sinora conosciuto una ricezione caratterizzata da accesa discussione.

L’intenzione del testo, che ha ricevuto critiche e annotazioni talora pertinenti da posizioni e prospettive tra loro differenziate, è in realtà nella sua sostanza limpida: aprire – “a legislazione vigente” sotto il profilo dottrinale – uno spazio teologico e pastorale per quelle unioni affettive tra fedeli e persone, che il precedente Responsum della Dottrina della Fede (2021) ancora esplicitamente escludeva dalla possibilità di ricevere un segno di accompagnamento e invocazione di grazia da parte dei pastori della Chiesa.

È in realtà ormai evidente che l’autentico nodo in gioco nella riflessione ecclesiale (e delle chiese) riguarda – lo accennavo qui – la più profonda comprensione antropologica della sessualità umana, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, come evidenziato e approfondito anche nel corso del recente convegno «Giovani e sessualità. Sfide, criteri, percorsi educativi», tenutosi presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma dal 1 al 3 marzo 2024 (cf. in particolare gli interventi di Paolo Gambini – qui – e di Chiara D’Urbano). In questa prospettiva, la dichiarazione non può che proporsi in modo interlocutorio e graduale, in un tempo ecclesiale di specifico progresso della tradizione (Dei Verbum 8) sotto la guida dello Spirito Santo, anche alla luce dello “studio dei credenti” e delle acquisizioni delle scienze umane in dialogo con il rinnovamento della teologia morale (su questo aspetto, il contributo di Ronaldo Zacharias al convegno «Sessualità e cultura» svoltosi presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II lo scorso 21 marzo, qui).

In questo preciso contesto, il documento presenta inevitabili e consapevoli limiti, anche sotto il profilo dell’inadeguata comprensione dello spessore incarnato delle benedizioni nella ritualità liturgica, come opportunamente precisa Andrea Grillo (qui). D’altra parte, la dichiarazione costituisce altresì un indubbio approfondimento sapienziale e dottrinale della crescita nella comprensione biblica, teologica e cristologica della categoria di ‘benedizione’, già illuminata dal magistero ordinario dell’attuale pontificato: quale realtà fondata nell’ἀγάπη trinitaria e nel mistero pasquale di Gesù, parola fatta carne e offerta per noi sulla croce, con la quale il Padre ci ha benedetto “mentre eravamo ancora peccatori” (Rm 5,8). Questa qualità dell’indicazione pastorale è esplicitata specialmente al n. 31: la Chiesa (sacramento dell’amore infinito di Dio, n. 42) “impartisce una benedizione … che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero, di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito … affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino”.

La dichiarazione lega intimamente l’invocazione della benedizione da parte della Chiesa al mistero della grazia, che – come amava ricordare padre Michael Paul Gallagher nei suoi scritti e lezioni su John Henry Newman e su Bernard Lonergan – “cambia” e trasforma interiormente l’essere umano che le si apre: e opera ciò nel tempo, con gradualità e suavitas (DV 5).

Se dunque annotazioni critiche anche precise e puntuali al testo della dichiarazione possono essere comprensibili e legittime a motivo delle differenti prospettive e ragioni sopra richiamate, risulta invece doloroso osservare come parte del dibattito interno al mondo cattolico sul tema – espresso soprattutto via social – anche in questo ambito sia caratterizzato dalla contrapposizione irriflessiva e polarizzante, degenerando talvolta apertamente nell’hate speech in cui si fatica a cogliere la fedeltà alla testimonianza cristiana (opportune e doverose al riguardo le osservazioni di Sergio Di Benedetto, qui).

Più in profondità, la riflessione su questo fenomeno di astio-social muove a interrogarci sulla comprensione che abbiamo della vita cristiana in intima connessione con la teologia della grazia inabitante. Il racconto genesiaco e il mito platonico concordano nell’individuare la scaturigine della violenza e dell’odio nell’oscuramento del rapporto con l’alterità, specie quando minacciato interiormente dalla percezione impaurita di perdita del controllo sulla rappresentazione del sé e della realtà. Quale modello di cristianesimo ci ha portati a privilegiare una comprensione della vita cristiana ove la grazia, lungi dall’essere colta come inabitazione amorosa di Dio, relazione trasformante le abissalità del cuore e della carne dell’umano (pensiamo alla meravigliosa testimonianza di donne come Etty Hillesum e Simone Weil), viene invece reificata e ridotta entro schemi aprioristicamente escludenti di regolarità / irregolarità, come si legge in tanti commenti web sulle questioni toccate da Fiducia Supplicans?

La domanda su quale fondamento evangelico e cristologico possano avere atteggiamenti così radicali, richiama alla memoria la severa accusa che l’Inquisitore dostoevskijano rivolge al Cristo pellegrino: “Ed ecco che invece di solidi fondamenti capaci di tranquillare la coscienza dell’uomo una volta per sempre, Tu hai scelto tutto ciò che v’è di più difforme, di più misterioso e di più indefinito… Invece di prendere possesso della libertà umana, Tu l’hai accresciuta e hai aggravato coi suoi tormenti il regno spirituale dell’uomo… Tu hai voluto il libero amore dell’uomo, hai voluto che liberamente Ti seguisse, attratto e soggiogato da Te. Al posto della solida vecchia legge, con libero cuore l’uomo doveva d’ora innanzi decidere lui stesso che cosa fosse bene e che cosa male, senza avere innanzi a sé altra guida che la Tua immagine…”.

Quale insegnamento, quali prassi pastorali e catechetiche hanno scambiato la porta stretta della libertà crocifiggente e gioiosa dell’imitazione del Cristo delle beatitudini e dell’amore ai nemici, con la cosificazione della grazia sotto la lettera della “vecchia legge”, divenuta pretesto per condannare, per rinchiudere l’altro senza appello dietro la parola dell’esclusione dall’amore misericordioso di Dio? Dove la fiducia cristiana nel potere risanante e trasformante della grazia nell’umano, molto al di là e più in profondità dei nostri punti di partenza, della nostra capacità di comprensione e delle nostre stesse intenzioni (“…il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa…”, Mc 4,27)?

Non mi accorgo che la reificazione della grazia nella lettera di una ‘regola’ che mi autogiustifica e mi conduce alla condanna del fratello – come nel racconto del fariseo al tempio – potrebbe avere come residuo di deposito addirittura il “permesso di peccare” cui allude l’Inquisitore: ovvero l’intorpidimento della serietà e radicalità del discernimento cristiano, la capacità di “giudicare da noi stessi ciò che è giusto” (Lc 12,57)? Nessuno – commenta rattristato Papa Francesco – si scandalizza se benedico un imprenditore che sfrutta i lavoratori …analogamente, si potrebbe aggiungere, a tutte le volte in cui la benedizione incontra il mio peccato di cattolico all’apparenza “regolare” davanti alla legge, anche quando ignoto agli altri.

Il Gesù dostoevskijano tace davanti all’Inquisitore che lo accusa nelle buie segrete della santa inquisizione, come si tace – riflette Gustavo Zagrebelsky – davanti a chi non ha accesso umile e profondo al divino. È quanto intuisce Alëša Karamazov a conclusione del dialogo con il fratello Ivan: “Non c’è neppur l’ombra, in quelli là, di questa grande intelligenza, e neppur l’ombra di tutti questi misteri e segreti… Il tuo inquisitore non crede in Dio: ecco in che consiste tutto il suo segreto!”. E qui torniamo al nucleo incandescente del Vangelo: la “miscredenza” dell’Inquisitore non ha a che vedere con il dubbio o la non convinzione dell’esistenza di Dio, ma si manifesta nella mancanza di fede nella potenza trasformatrice del suo amore, della grazia misericordiosa in grado di cambiare in profondità l’umano, di rinnovarne la coscienza, di far sì che coloro che non vedono vedano, mentre coloro che credono di vedere rimangano ciechi (Gv 9,39).

Alëša comprenderà a fondo che credere nel Dio della grazia è credere in quel Gesù delle nozze di Cana, capace di attirare gli esseri umani con la sua gioia: “Ah… quanto mi è caro quel miracolo! Cristo visitò la gioia degli uomini… e compiendo il suo primo miracolo contribuì a dar gioia agli uomini… ‘Chi ama gli uomini ama pure la loro gioia’. Padre Zosima lo ripeteva in continuazione… Senza gioia non si può vivere… La madre di lui, sapeva che egli non era venuto solo per il suo grande e terribile sacrificio, ma che il suo cuore era accessibile anche alla semplice festosità, senza artifici, delle creature umili, umili e ingenue, che lo avevano invitato alle loro misere nozze”. Precisamente di quell’umanità che l’inquisitore riteneva invece incapace della libertà di corrispondere alla grazia, di percorrere l’angusta via che conduce alla vita: la via dell’imitazione di Gesù mite e umile di cuore, attirata dalla dolcezza del suo dono.

“L’eucaristia non è un premio per i buoni, è una medicina per i deboli”, ricorda Papa Francesco: la benedizione scaturisce dalla medesima fonte dell’amore misericordioso di Dio e partecipa della stessa δῠ́νᾰμῐς di grazia.

10 risposte a “Fiducia Supplicans: nuovo lavoro per l’Inquisitore?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Infatti, se si parla diGesu Cristo, o almeno sembra essere questo la missione di “ vino nuovo” è proprio per quel cambiamento cui l’uomo dovrebbe incamminarsi se “tende a vita eterna”. Infatti nel Vangelo non mi pare ci siano Parabole su altri aspetti riguardanti l’uomo che non siano il suo convertirsi da ciò che la carne desidera e che loSpirito datore di vita suggerisce. Tutto quanto riguarda tendenze umane dell’uomo ci sta d’intorno, sta succedendo un tale disfacimento esistenziale sia per le guerre micidiali, ma anche undissolversi di valori nella società perché di tutto ognuno si fa idolo di se stesso. San Paolo ha predicato il Dio sconosciuto, a confronto con altra credenza proprio perché ogni uomo e’anche persona talmente superiore che la sua vita merita non avere giorni contati, esiste in lui anche bellezza, la bontà, la gioia che è in quell’amore predicato da Cristo. E’ una scelta libera

  2. Valerio monti ha detto:

    Perché dobbiamo continuare a considerare l’omosessualità (anzi per i più fini la sessualità omosessuale) o chi cerca di rifarsi una vita dopo un’esperienza matrimoniale drammatica (sempre per i più fini convivenza anche di letto)? …è sempre la sessualità il problema? (un peccato è un peccato se è anche un’offesa al prossimo).

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    L’amore di Gesù e cosa grandissima, le sua parole pronunciata nell’ultima cena:” Prendete e mangiate, questo è il mio corpo…” rivolta agli apostoli che in quel momento non ancora comprese nell’ implicito significato, oggi ancora fa discutere. Uno che si fa vittima per amore di molti, che quando lo si “mangia” diventiamo parte di Lui e quindi non solo beneficiamo del dono della Sua presenza ma per questo resi consci, di non profanare ilSuo corpo con un agire in opposizione ai suoi insegnamenti. a diventare pane necessario alla ns. vita Perciò negare ciò che’ “vita” come quella del concepito, per il fatto di non avere ancora corpo non sia uccidere un uomo, e’ offesa alla ragione di ogni mente pensante, a qualsiasi livello di intelligenza, l’atto stesso di farne carne da macello attesta la verità, ognuno di noi e’ in quel concepito cui è stato data la gioia di nascere. Si nega Cristo vita eterna, ma così il mondo muore

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Circa il chiedere benedizione quando la persona in piena libertà , assecondando un proprio volere di mente e cuore segue e ha scelto una propria vita, , chiedere una benedizione a un Dio del quale si conoscono i suoi comandamenti, che vorrebbe l’uomo una creatura da portare a un livello di vita santa, non a vita inutilmente vissuta, ma destinato vivere in un nuovo suo regno.per sempre Il Risorto ha confermato questo disegno del Padre. Se all’uomo manca la volontà di seguirlo, considera la benedizione utile o un ornamento a un proprio concetto di vita. Nella Parabola del giovane ricco, egli, faceva tutto bene ma poi si è dimostrato non disposto a rinunciare ai suoi beni……..Tutti possono benedire tutti ma Dio nelle Parabole cita anche la misericordia , verso il cuore pentito, o no?

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    4) infine l’applicazione.
    Mettiamo a fuoco Il GIUDICARE.
    SULLA R. Esistenziale va lasciato a Dio. Altrimenti che cavolo di Et..Et.. sarebbe??
    Invece sulla Realtá sottostante. sui percorsi possibili che ivi sarebbero percorsi TUTTI in insieme, il compito del Maestro DEVE essere di indicare la strada, perlomeno la direzione.. senza pretendere di rubare a Dio il Giudizio che poi pertiene ad altro momento e IMO, dovrebbe esservi chiaro dopo quanto detto, non puô riguardare il SINGOLO atto ma TUTTA la Vita.

  6. Pietro Buttiglione ha detto:

    Stanotte mi sono alzato nn tanto xchè nn dormivo…. ma x non perdere quei pensieri che mi scendevano dentro / da Dove?/
    Li riporto xchè potrebbero inserirsi in qs discussione.. Eccoli;
    1) la Realtà esiste, anzi ne esistono 2.
    2) una ‘sotto-stante’ generativa, extra-temporale, che potremmo anche chiamare pulsione alla vita, alla diversificazione, che definisce tutti i possibili e congruenti sviluppi/step successivi possibili della Realtá stessa. Chiamatela ‘quantistica’ oppure free-will, libero arbitrio insito nella natura , reso cosciente nell_uomo.
    3) Ma esiste anche la Realtà Esistenziale, quella con cui ci confrontiamo ogni momento.
    Nei limiti imposti dall’ Hic et nunc. In cui si inserisce l’E5 Et di cui Parla Beretta
    4) a nuovo msg x troppa lunghezza ( ma come accorciare temi di qs tipo???

  7. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma il Gesù dei miracoli non è così soltanto sulla gioia che produce ma è piuttosto a insegnare una vita nuova. L’acqua diventata vino una unione diventata sacramento, una vita dove l’amore è strumento per superare sacrifici,ribellioni,mezzo per conquistare il bene come Pace, quando e se in guerra, coraggio a vincere la debolezza e mille altre esperienze che il futuro nasconde è però ha in serbo. Cristo ha predicato che Lui era il pane disceso dal cielo. Oggi quante intelligenze si sentono di credere ancora nella sua Legge ? giacche si vogliono approvare altre ritenute più rispondenti alle esigenze di vita dell’uomo dei ns. giorni? quale società prenderà forma Senza quei valori pilastri saldi per generazioni! sui quali ancora ci confrontiamo ad assicurare quel bene comune in spirito democratico per un civile governo del Paese. Cristo
    avrebbe elargito benedizioni
    qualunque fosse lo stato del richiedente senza la Fede in Lui??

  8. Roberto Beretta ha detto:

    Ci sarebbero davvero un milione di obiezioni (o almeno di discussioni) a questo modo di vedere le cose…. mi limito a segnalare che cade nel medesimo errore che denuncia: “giudica” cioè coloro che “giudicano” Fiducia supplicans, come gente priva di misericordia. Ma nel cristianesimo dell’ et et c’è pure la giustizia, allora. Altra cosa: dire che la grazia cambia l’uomo, nel caso in specie, auspica che finiscano i rapporti fino a ieri definiti (dalla stessa Chiesa!) “disordinati”? Questo solo per dire che il discorso porta mooooolto lontano. La misericordia potrebbe essere una scorciatoia -perdonatemi- facile.

    • Massimo Pieggi ha detto:

      Buongiorno Roberto. Mi sembra più volte circostanziato nel post che Fiducia Supplicans riceve legittime annotazioni critiche (ne sono anche menzionate alcune, con puntuali rimandi: link nel testo dell’articolo).
      Il giudizio addolora – anche ciò è più volte esplicitato nell’articolo – quando rivolto con violenza verso la sorella / il fratello bollati come “irregolari” (eufemismo: capita di leggere di molto peggio).
      Per quanto riguarda la tua seconda annotazione, il terzo paragrafo del post esclude esplicitamente la chiave di lettura cui alludi (trovi i link ai contributi citati nel testo dell’articolo): «È in realtà ormai evidente che l’autentico nodo in gioco nella riflessione ecclesiale (e delle chiese) riguarda la più profonda comprensione antropologica della sessualità umana, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, etc. etc. »

      • Maria Cristina Venturi ha detto:

        Scusate ma esiste ancora il concetto di peccato? Poiche’ se ogni azione umana ( e qui si parla di azioni cioe’ di rapporti fisici omosessuali al di fuori ovviamente del matrimonio) sono in qualche mondo giustificate e direi che sono contro la Legge di Dio e’ mancare di misericordia, perche’ allora un codice morale, una Legge qualsivoglia? Se io dico che uccidere ,abortire, dare l’ eutanae’ peccato agli occhi di Dio sono poco misericordioso ? Allora andrebbe rigettata l’ ultima dichiarazione Dignitas infinita che condanna appunto tali comportamenti.

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