Gli spiriti dell’isola: una parabola per l’epoca attuale? – 2

E se lo Spirito ci stesse dicendo che gli spiriti che ci abitano sono sempre più quelli della polarizzazione, dell’invettiva, del ‘binarismo mentale’, della contrapposizione senza fine?
6 Febbraio 2024

La storia narrata nel film Gli spiriti dell’isola (vedi qui) riesce a penetrare gli abissi inconsci più insondabili dell’umano e a toccare vette di autentica tragicità, lasciando venire alla luce un duplice fallimento.

Il primo è quello dell’annuncio evangelico e della capacità ecclesiale di incidere nelle scelte e nei comportamenti individuali e sociali. Con l’eccezione della figura di Siobhán, nessuno dei personaggi del racconto sembra realmente toccato dai profondi criteri evangelici, tantomeno dai segni esteriori di “cristianità” presenti sull’isola. Così è per Padraic quando veglia nel suo letto, ornato dal capezzale del Sacro Cuore, mentre medita l’incendio della casa di Colm che realizzerà l’indomani, “giorno del Signore”. Così è per la gente che transita quotidianamente sotto i simboli cristiani, le croci, e soprattutto la statua della Vergine con le braccia aperte, nella posizione di chi intende abbracciare e accogliere benevolmente tutti coloro che entrano nel villaggio. In quel “God’s day”, all’ora stabilita (le due del pomeriggio), Padraic passerà indifferente sotto quella statua, dandole le spalle, per recarsi a consumare la vendetta annunciata.

La Messa domenicale celebrata dal prete che raggiunge settimanalmente l’isola – compresa questa ultima Domenica fatale – si svolge come un rituale vuoto, ripetitivo e stantio, in una lingua (allora il latino) e con formule incomprensibili per tutti: è incapace di toccare le coscienze, di comunicare compassione e spirito di perdono.

Le confessioni di Colm con il sacerdote rappresentano dialoghi tra due persone che non si comprendono, che vivono dimensioni aliene l’una dall’altra. Il parroco arriva persino ad alludere che la depressione-disperazione (despair) ricorrente in Colm, nonché la sua decisione di non parlare più all’ex-amico Padraic, possano dipendere in lui da “pensieri impuri” omoaffettivi verso Padraic stesso. Colm non esita a rispondergli per le rime: “Lei ha pensieri impuri sugli uomini padre?”, scatenando così l’ira incontrollata del prete. E come potrebbe il sacerdote comprendere a fondo l’animo complesso e tormentato di Colm, quando il suo più stretto confidente sull’isola è proprio il violento e abusante ufficiale Peadar Kearney?

Nel corso della prima confessione il prete domanda a Colm:
“Perché non parli più con Pádraic Súilleabháin?”
“Non è un peccato, vero padre?”
“Non è un peccato, ma non è carino (nice)”.

Insomma, l’ἀγάπη evangelica non è lontanamente contemplata: il cristianesimo è al più ridotto a questione di galateo e buone maniere. Pure nella giusta e sana libertà delle relazioni umane (non si è certamente obbligati a essere “migliori amici” a vita della stessa persona), dall’ambito ecclesiale non giunge alcun invito alla compassione, alla misericordia, alla solidarietà, alla responsabilità verso un fratello che in fondo non ha mai mancato in alcun modo alla benevolenza.

Dall’altro lato il racconto ci immerge nella profonda sapienza della poesia tragica greca, nella logica dell’ambiguo e del raddoppiamento (Vernant): ciascun protagonista ha le proprie ragioni, ciascuno i propri diritti; ma, portati all’estremo, entrambi fatalmente cadono in due dis-misure (due ὕβϱις). È la storia di Creonte e di Antigone, quella delle discendenze di Tieste e di Atreo, di Egisto e di Oreste, di Eteocle e Polinice.

La sapienza eschilea ci suggerisce (Eumenidi) che solo un’istanza superiore, quella del voto dell’Areopago – peraltro abilmente guidato da Atena verso un pareggio, che comunque libera Oreste dalla persecuzione – permette un accordo, un’assunzione di responsabilità umana che impedisca e permetta di “superare” la ripetizione indefinita di autolesionismo e vendetta: di uscire finalmente dall’ambiguità. Solo così gli spiriti dell’isola (Erinni, o Banshees…) potrebbero trasformarsi in spiriti di accordo e superamento della coazione a ripetere il male. Si sarebbe trattato di quel “So move on!”, “vai oltre”, “volta pagina”: via che sin dall’inizio la saggia, colta e pietosa Siobhán aveva indicato al “buon” fratello Padraic.

Invece, la conclusione è differente: non fa tesoro né della sapienza evangelica, né di quella classica.

“Penso che con la mia casa siamo pari”: così Colm si rivolge a Padraic nella scena conclusiva sulla spiaggia dell’isola, sullo sfondo la sua abitazione ancora fumante dopo l’incendio.
“Se fossi rimasto nella casa saremmo pari, ma non l’hai fatto, perciò non lo siamo!”.
“Da qualche giorno non sento colpi di fucile dalla terraferma”, riprende Colm, “forse (la guerra civile) sta per finire”.
“Penso che riprenderanno presto. Alcune cose non si possono superare. E lo ritengo un bene”.
“Mi dispiace per la tua asina”.
“Non me ne importa niente che te ne dispiaccia!”.
“Ti ringrazio per esserti preso cura del mio cane…”.

Senza alcuna pretesa di esaustività, il lettore potrà rinvenire possibili attualizzazioni e intrecci con l’epoca storica e di umanità di cui siamo spettatori e partecipi. Con la crescente e preoccupante tendenza alla polarizzazione, all’invettiva, al ‘binarismo mentale’, alla ὕβϱις, alla reiterazione speculare di posture che procedono per slogan e contrapposizioni: avulse da ogni tentativo di ascolto empatico e solidale, di sana dialettica e mediazione ragionevole e razionale.

In ambito geopolitico internazionale, assistiamo con ansia e dolore alla crescente tendenza da parte politica e mass-mediatica verso la predilezione per la guerra come unico mezzo di “soluzione” (o esplosione) dei conflitti, in luogo della faticosa e laboriosa tessitura diplomatica. Talora anche nelle sedi e da parte degli esponenti di quelle organizzazioni sovranazionali, Nazioni Unite e Unione Europea in primis, la cui ragione d’essere sarebbe precisamente quella di prevenire in ogni modo e con qualsiasi mezzo politico e diplomatico gli scenari di conflitto.

In ambito ecclesiale, potremmo trarre ispirazione da questa narrazione per comprendere più a fondo l’importanza e la necessità di un’autentica processualità e metodologia sinodale. Dell’opportunità e necessità di sempre maggiore dialogo e fecondazione reciproca tra ricerca biblico-teologica, munus ministeriale e scienze umane (si pensi – solo a titolo di esempio – alle acquisizioni che queste ultime hanno portato nella conoscenza dell’umano riguardo al genere, alla complessa e processuale formazione dell’identità e dell’orientamento sessuale, unica e singolare per ciascun essere umano voluto, amato e desiderato da Dio). Per alcuni aspetti potremmo trovarci in un passaggio ecclesiale analogo a quelli in cui è stato richiesto il superamento, attraverso il dialogo e l’approfondimento scientifico rigoroso, di interpretazioni univoche e letteraliste dei testi scritturistici: così come in passato è avvenuto in modo fecondo e fruttuoso all’epoca dell’uscita dal paradigma tolemaico; dall’interpretazione essenzialista e non-evolutiva della parola creatrice di Dio rispetto alla vita e all’essere umano; dalla concezione fissista di un universo statico.

Infine, un’ultima suggestione che mi sovviene quasi per “deformazione professionale” da insegnante: coltivare l’attitudine a mediare attraverso l’ascolto autentico, il dialogo e il più attento riferimento all’istanza superiore (Aeropago) – l’interpretazione che delle leggi offrono gli organi costituzionali competenti al riguardo (gli orientamenti giurisprudenziali) – gli steccati ideologici e le contrapposizioni ripetitive e desertificanti che annualmente si ripropongono al ripresentarsi puntuale e prevedibile del fenomeno delle cosiddette “occupazioni” scolastiche (di “guerre” e “conflitti” di tutti contro tutti, anche a questo riguardo, ha titolato la stampa). Anche in questo ambito, potremmo cercare di somigliare un po’ più a Siobhán, e un po’ meno a Padraic e Colm.

 

2 risposte a “Gli spiriti dell’isola: una parabola per l’epoca attuale? – 2”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma è anche vero che malgrado questo vivere in una coltre di nebbia che offusca la speranza di vedere luce, e la Fede che Cristo è vivo, presente, da Fratello che ama l’uomo è per questo non ci abbandona ai marosi e ci tenderà la mano come è stato a Pietro. Questa fede in lui ci fa camminare anche nelle difficoltà e superare i dubbi sulla possibilità di vedere luce . Noi confidiamo anche in Maria la madre che si è fatta sempre vicina Preghiera e intercessione presso Dio Padre

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Questa pagina offre come da un negativo la foto di come e travagliato il mondo da spiriti che sembrano voler fare tabula rasa di una umana esistenza, quella che un Dio ha sempre tentato, trarre dall’uomo fatto di terra una persona che può raggiungere quel regno per lui preparato, il Bene che vince il male una realtà, possibilità certa perché la Sua Parola e verità. Non e ragionevolmente possibile pensare che Dio manifestatosi essere Perfettissimo creatore e Signore del cielo e della Terra, nonché Dio d’amore, Padre di Tanto Figlio che si è lasciato crocifiggere per convincere l’uomo a scoprire di essere fatto degno per vivere in Lui anche lui in eterno, che sia il male ad avere l’ultima parola, sarebbe come la negazione del suo essere stato nel mondo per salvarlo, sarebbe perfino solo mero desiderio di un umano credere che Egli esista

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