Pensieri, parole, opere e… emozioni

Il vangelo che narra il ritorno alla Vita di Lazzaro ci svela anche quanto Dio si è incarnato in tutta la nostra umanità
29 Marzo 2023

Poche volte capita che in un singolo vangelo (non, ovviamente, in un confronto sinottico) si ripeta una stessa, identica frase. Quando questo accade – ci dicono gli esegeti – qualcosa deve attivarsi nel lettore: non si tratta, infatti, di un semplice “caso”, ma di un indizio narrativo (o narratologico) teologicamente rilevante. È questo il caso, mi sembra, dei vv. 21 e 32 del capitolo 11 del Vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, V^ di Quaresima: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».

Protagoniste di questa ripetizione sono due sorelle, Marta e Maria, che con le loro parole richiamano l’altro protagonista di tutta la pericope evangelica, il fratello Lazzaro. Gesù le conosce bene («Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro», v. 5), e anche il lettore del vangelo a sua volta le conosce, avendole incontrate nel capitolo 10 del Vangelo di Luca, l’una impegnata a «servire» (come avverrà anche in Gv 12) mentre l’altra «ascolta» la parola di Gesù.

Ebbene, anche nel Quarto vangelo la scena sembra ripetersi. Ancora le due sorelle, ancora nei rispettivi ruoli: Marta indaffarata si muove per prima e va incontro a Gesù; Maria, invece, resta «seduta in casa» (v. 20). Stavolta, però, la dinamica sembra capovolgersi rispetto al testo lucano. Il servizio di Marta, il suo “agitarsi” non è rivolto alla casa, ma alla ricerca di Gesù; lo “stare” di Maria, al contrario, è uno stare «in casa», lontana da Gesù. È Marta questa volta a scegliere «la parte migliore»: raggiunge Gesù, dialoga con lui e riceve la sua Parola, la sua promessa di risurrezione. Maria, invece, dev’essere chiamata dalla sorella prima di recarsi da Gesù. Colei che ha ricevuto l’annuncio della risurrezione, che ha confessato la propria fede, può smuovere anche colei che ancora è ferma “nell’ombra della morte”. Ed è qui che restiamo sorpresi.

Maria raggiunge Gesù e gli rivolge le stesse, identiche parole. Eppure, la risposta di Gesù è completamente diversa. Anzi, Gesù in questo caso non parla proprio: «Si commosse […] scoppiò in pianto […] commosso profondamente» (vv. 33.35.38). Tre espressioni che descrivono un’emozione, uno stato d’animo e un’azione. Nessuna parola. Notiamo come anche più avanti, di fronte alla tomba di Lazzaro (vv. 39-40), sarà di nuovo Marta a parlare con Gesù. Maria resta sullo sfondo, in silenzio. Cosa ci vuol dire l’evangelista Giovanni con questa sottolineatura? Come possiamo leggere questa situazione?

Sono chiaramente due scene speculari. La ripetizione testualmente identica, come detto, non è un caso. Nella prima scena ci viene mostrato un Gesù “Signore della morte”, qualcuno che fin dall’inizio, in realtà, sa già cosa aspettarsi e come dovrà gestire il “caso Lazzaro”. Nella seconda scena, invece, le parole tacciono ed emerge la compassione di Gesù, la sua emozione. Non lasciamoci distrarre troppo facilmente dalle parole. Si potrebbe subito pensare alla nota «compassione delle viscere» di Dio, già presente anche nell’Antico Testamento, che in greco viene tradotta col verbo splanchnìzomai. In questo caso, tuttavia, letteralmente il testo greco ci dice che Gesù «fremette, fu colpito nel suo spirito» (enebrimésato tò pneùmati). In questo senso, non ci troviamo di fronte a una compassione paterna o materna, ma a una reale condivisione della medesima emozione di tristezza, di dolore, indotta (per certi versi) dall’incontro col pianto dei presenti, Maria e i Giudei.

Non si tratta, dunque, di una semplice ripetizione, ma della sottolineatura di due dinamiche fondamentali della fede in Gesù. Da una parte, le parole e le opere, un Gesù che è attivamente padrone della situazione, che fin dall’inizio legge tutta la situazione dall’alto, ben sapendo cosa sta per accadere. Dall’altra, una sapiente pennellata dell’evangelista Giovanni, il teologo dell’incarnazione, che segna, “colpisce” lo spirito di Gesù, lo spirito di Dio, con il dolore, la sofferenza, il pianto.

Due scene che solo insieme ci possono rivelare la realtà del Dio incarnato: colui che porta la risurrezione e la vita e chiede la nostra adesione di fede; e colui che può fare questa promessa proprio perché per primo ha voluto vivere e condividere la nostra stessa emozione.

Troppo spesso, pensando a Dio, si parla della sua Parola e delle sue opere. Giovanni ci sorprende e ci mostra l’umanità di Dio nelle sue emozioni. Poco prima di confrontarci con la rivelazione dell’assoluta impotenza di Dio, quando nelle prossime settimane leggeremo i brani della Passione, siamo richiamati a questa stessa verità volgendo lo sguardo all’emozione di Dio, al suo essere passivo, al suo patire (da pathos) quello che tutti noi, di fronte alla morte, patiamo e subiamo. Un patire che, tuttavia, non schiaccia, non chiude in sé stessi ma si apre e diviene fondamento della speranza e della fede nella risurrezione. Colui che potrà ridare vita, salvezza e compimento alla nostra natura umana, è colui che «fino in fondo» l’ha vissuta, in tutte le sue dimensioni, colui che ha voluto rivelarci l’amore di Dio (prendendo in prestito altre parole) in pensieri, parole, opere e… emozioni.

 

Una risposta a “Pensieri, parole, opere e… emozioni”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Queste risposte date a Marta e a Maria, si leggono dirette a noi posteri, come a ribadire chi è Lui nel mondo, confermando la sua presenza per portarlo a salvezza. Marta gli va incontro piena non solo di speranza ma certezza che e’ arrivando a Lui che possiamo aspirare a salvezza. Marta già aveva in Lui la fede quando gli va incontro e a tale dimostrazione Gesù risponde: tuo fratello risorgerà”, e riconfermando “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore, vivrà” e ancora più convincente :” chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E’ dunque una parlare ai posteri, a noi che come quelle sorelle abbiamo fede ma vivendo umanamente siamo fragili e cedere a sentirci come Maria soli in preda al dolore e.anche Cristo Dio rimase turbato, e qui penso abbia compreso quanto noi umani siamo soli e poveri e senza speranza, risuscitando Lazzaro morto e sepolto., Egli ci dice che in Lui e la speranza, sempre a vita nuova perche amati da Dio.,

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