“Praedicate evangelium” e insegnamento della religione: Benedetto XVI in aiuto di Francesco?

Ai tempi di Francesco, una certa trascuratezza delle curie verso la cultura rischia di concretizzarsi in forme di proselitismo, superiorità culturale e occupazione di spazi tanto deprecati dal vescovo di Roma
9 Agosto 2022

Il 29 agosto, a Roma, presso l’Aula del Sinodo, Papa Francesco e i cardinali si incontreranno per riflettere sulla Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium”. Avevamo già segnalato qui un piccolo ma importante aspetto critico presente in essa e riguardante l’insegnamento scolastico della religione (IRC), proponendone al contempo un primo e semplice correttivo (essendo il secondo più complesso e complicato perché legato all’auspicata riforma del Codice di Diritto Canonico).

A sostegno di tale correzione – e in aiuto a Papa Francesco di fronte a certi “incidenti” di Curia – ci sembra ora utile portare una breve riflessione del “Papa emerito” – o meglio “vescovo di Roma emerito” – svolta quasi tre lustri fa (25 aprile 2009) durante l’incontro in piazza san Pietro con gli insegnanti di religione (IdR) italiani.

Nel suo discorso, infatti, Benedetto XVI chiarisce come all’interno del processo educativo la relazione tra dimensione religiosa e fatto culturale sia «intrinseca», ma «senza improprie invasioni o confusione di ruoli». Una sorta di «crocevia» dove si incontrano, apprezzandosi reciprocamente, la cultura umana (con la sua «universale tensione verso la verità e (…) le straordinarie vette di conoscenza e di arte guadagnate dallo spirito umano») e il vangelo inculturato (ossia il «messaggio cristiano che così profondamente innerva la cultura e la vita del popolo italiano», una delle modalità di «testimonianza offerta dai credenti nella luce della fede»). D’altronde se la dimensione religiosa viene definita come possibile «apertura fondamentale all’alterità e al mistero che presiede ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani», è chiaro che di essa si possa anche affermare che «rende l’uomo più uomo», permettendogli di trascendersi continuamente.

Approfittando, poi, dell’Anno Paolino in corso, Benedetto XVI fa notare che anche nell’«insegnamento» di San Paolo – evidentemente proposto come fonte di ispirazione per l’IRC e gli IdR – si contemperano «formazione religiosa» e «formazione umana»: il «vero “maestro”» (tra virgolette perché Altro è il «Maestro») ha a cuore sia «la salvezza della persona educata in una mentalità di fede», sia il suo «vivere umano “completo e ben preparato”, che si manifesta anche in un’attenzione per la cultura, la professionalità e la competenza nei vari campi del sapere». In altri termini, gli IdR hanno il «dovere della competenza umana, culturale e didattica propria di ogni docente», ma anche «la vocazione a lasciar trasparire che quel Dio di cui parlate nelle aule scolastiche costituisce il riferimento essenziale della vostra vita»: aspetto che in fondo riguarda un po’ tutti gli insegnanti, ogni volta che nell’atto di insegnamento lasciano trasparire – si noti la delicatezza del verbo utilizzato – ossia testimoniano con mitezza e timore (1Pt 3,16) ciò che vivono e in cui credono.

Non è un caso, allora, che anche nella coeva (5 maggio 2009) lettera circolare, indirizzata dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica ai presidenti delle Conferenze Episcopali, si affermi che all’interno dell’insegnamento della religione nelle scuole «viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo», raggiungendo così «un’armonia vitale fra fede e cultura». E non è un caso che sempre la lettera circolare ricordi che l’insegnamento della religione nelle scuole «è differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli» (qui evocando il discorso ai sacerdoti romani di San Giovanni Paolo II del 3 marzo 1981), perché non «si propone di promuovere l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti», ma solo «trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana (…) con la stessa esigenza di sistematicità e rigore [e] con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi (…) in un necessario dialogo interdisciplinare (DGC, 73)».

Per tutto questo, ha ben ragione Benedetto XVI a descrivere le ore di insegnamento della religione come dei «veri laboratori di cultura e di umanità» in cui – «decifrando l’apporto significativo del cristianesimo» – si formano le persone (e futuri cittadini e cittadine), sia dal punto di vista educativo («scoprire il bene», «crescere nella responsabilità», «trasformare la conoscenza in sapienza di vita»), sia dal punto di vista intellettuale («ricercare il confronto», «raffinare il senso critico», «attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro»).

Solo in questa prospettiva, decisamente equilibrata nel tenere insieme cultura ed educazione (cristiana-cattolica), certe espressioni di Benedetto XVI riguardo alcuni fini dell’IRC e degli Idr – come quelli di: 1) «assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura»; 2) «dare un’anima alla scuola» con «carità intellettuale»; 3) «alimentare la [propria] identità di educatori e testimoni» guardando al Paolo «coraggioso annunciatore» e «geniale mediatore della Rivelazione» – riescono ad evitare di rappresentare (e quindi di praticare) la «presenza» di tale disciplina e di tali insegnanti nella scuola come una sorta di: 1) occupazione di spazi; 2) superiorità culturale; 3) proselitismo.

Queste distorsioni, infatti, si sono verificate (nei precedenti pontificati) – e si verificano (nell’attuale) – ogniqualvolta si incrina il delicato equilibrio tra aspetto educativo e culturale dell’insegnamento scolastico della religione, al punto che in tale caso anche espressioni come quelle anzidette di Benedetto XVI richiederebbero alcune precisazioni: 1) a cosa della fede cristiana si assicura piena cittadinanza nella scuola? Ed entro quali limiti? 2) la scuola non ha una sua «anima», un suo «spirito»? 3) l’insegnante può essere anche un «annunciatore»? E in che senso?

Dato che tali distorsioni sono tanto (e giustamente) deprecate da Papa Francesco, costituirebbe una paradossale eterogenesi dei fini l’eventualità che proprio sotto il suo pontificato l’insegnamento scolastico della religione rischi invece di essere così declinato, a causa del suo sbilanciamento sul lato educativo, rispetto a quello culturale, per come emerge nella Costituzione Apostolica “Praedicate evangelium” (che a maggior ragione andrebbe quantomeno integrata nel senso qui indicato).

 

Una risposta a ““Praedicate evangelium” e insegnamento della religione: Benedetto XVI in aiuto di Francesco?”

  1. Anna Bortolan ha detto:

    Vedere l’IRC come propaganda o catechismo è un limite che riguarda soprattutto quei docenti o presidi anticlericali che lo considerano tale solo perché l’IdR propone Antico e Nuovo Testamento come oggetti di studio. Costoro odiano la presenza dei docenti di religione nella scuola statale a prescindere da quello che un docente fa concretamente. Assumono una posizione politica inscalfibile. Ce ne sono dappertutto in Italia di persone così.

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