La vera gioia è nell’amore. Il suo e il nostro

Non più servi, ma amici. Un passaggio impegnativo, ma che ci permette di portare frutti
5 Maggio 2024

Nei Vangeli delle domeniche di Pasqua dell’anno B, Gesù si è presentato prima come il Buon Pastore, che si prende cura delle sue pecore, poi come la vite, che dà vita ai tralci. In questa sesta domenica dell’anno B la liturgia propone un brano di Giovanni (Gv 15,9-17) che completa il tema dell’amore: amare è certamente prendersi cura ed è certamente dare la vita, ma a prendersi cura e dare vita non ci si riesce, se non si condivide il Suo amore, se non si sceglie di rimanerci dentro.

Il Padre ha amato il Figlio, il Figlio ha amato noi, noi – se decidiamo di rimanere dentro questo amore – amiamo gli altri. E da cosa si vede che lo amiamo? Dal fatto che osserviamo i suoi comandamenti, il più grande dei quali è «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 34-40).

E così si chiude il cerchio dell’amore, quello che ci rende felici perché ci dà gioia. La gioia non è l’allegria. Papa Francesco, che sul tema della gioia torna spesso, era stato da poco eletto quando ha specificato che, a differenza dell’allegria, la gioia «È una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. È un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria… no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre» (Omelia in Santa Marta, 10 maggio 2013). È la gioia di chi vive le beatitudini e ad esse impronta il proprio stile di vita.

È anche la gioia di vive un’esperienza profonda di amicizia, come quella a cui Gesù ci eleva. I servi – per quanto importanti – devono svolgere precise mansioni e rispettare le regole, e sono pagati per farlo. Gli amici invece agiscono nella gratuità e anche per questo finisce che si impegnano di più nell’ascoltare, nel prendersi cura, nel donarsi agli altri, perché non hanno confini contrattuali nei quali richiudersi. Essere amici è quindi più impegnativo, e forse anche faticoso, dell’essere servi.

Ma gli amici stanno insieme e vivono la gioia, i servi si fermano al massimo all’allegra. E vivere la fede non è obbedire degli ordini, magari per evitare punizioni. In fondo, Gesù in questo brano ci chiede di lasciarci amare, e cosa c’è di più bello? In realtà, lasciarsi amare non è così facile, un po’ perché noi siamo pieni di remore e di meccanismi di difesa, molto perché il suo è un amore generoso ma anche esigente, che chiede di condividere un progetto, un cammino comune, che probabilmente non sappiamo esattamente dove ci porterà, ma sicuramente lo farà nella gioia. Quando Gesù chiede di “rimanere” nel suo amore, chiede fedeltà, costanza, persistenza. Anche se il cammino è lungo e a volte difficile.

Però sappiamo che è lui che ci ha scelti e che ci ha “costituiti” – dunque ci ha attrezzati – non solo perché andiamo e portiamo frutto, ma anche perché il nostro frutto “rimanga”. È lui che ha l’iniziativa, è da lui che tutto parte, non da noi, dalle nostre psicologie, dal nostro limitato punto di vista. A noi basta essergli amici. E cos’altro dovremmo sperare, se non di portare frutto e che quel frutto rimanga?

In più, Gesù annuncia che «tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concederà». È una affermazione forte, è quello che Francesco ha definito «un assegno in bianco». Ma se Lui per primo ci ha scelti per amarci, perché poi dovrebbe abbandonarci?

3 risposte a “La vera gioia è nell’amore. Il suo e il nostro”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Concordo con MCV e sottolineo che imo Il Cristiano si DEVE distinguere NON certo x i molti pensieri, Ma x le molte (giuste) AZIONI!!
    (( SE NN SI CAPISSE LA botta ę x la DIGNITAS. CHe ora passo a leggere,
    ((( Purtroppo eono partito dal fondo—> inorrridito dal numero di citazioni!!!)))
    PS.il n+ delle “r” significa che imo vogliono dirci;
    Ma guarda che nn sto dicendo NULLA di NUOVO!!!
    VERGOGNA!

  2. Maria Cristina Venturi ha detto:

    Siccome ,nella pratica, la maggior parte di noi cristiani NON seguiamo i suoi comandamenti , vuol dire dunque che non l’ amiamo. Nonostante tutte le nostre belle parole e i nostri sinodi , le nostre azioni ci smascherano come ipocriti: ci diciamo cristiani e nella vita di tutti i giorni facciamo l’ opposto di quel che Lui ci ha comandato. E’ come si dice amico e poi fa tutto il contrario. Questo e’ ormai evidente a tutti ,soprattutto ai non credenti : si dicono amici di Cristo e poi rubano, violentano i bambini, hanno sete di potere , mentiscono ,eccetera eccetera

  3. ALBERTO GHIRO ha detto:

    …riflettendo, in effetti se si volesse cercare un legame paritetico con Gesù, l’amicizia ha più senso della fratellanza che invece lega gli esseri umani. Entrambi i legami superano il rapporto utilitaristico di dipendenza in cui viene meno la libertà degli individui ed entrambi soddisfano anche il bisogno di avere un’identità tramite l’essere amici e l’essere figli di Dio, quindi fratelli. Se l’amicizia di per sé genera vita, la fratellanza che ci dà un’identità è però incline al peccato che danneggia la vita e ha bisogno di amore e amicizia per superarlo.

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