La gioia di quale presenza?

Con quali sentimenti è possibile cominciare questo anno scolastico che ci vedrà di nuovo tutti in presenza, pur senza che siano stati risolti i problemi esplosi con la pandemia?
13 Settembre 2021

Oggi si ritorna a scuola: tutti, ma proprio tutti, in presenza.

Finalmente! Possiamo dirlo ad alta voce…

Potremmo proseguire poi in modo poetico e sognante: con al centro, in questo primo giorno di scuola, la gioia della relazione ritrovata.

Ma, come avevo già segnalato qui, siamo costretti ad essere prosaici, forse noiosi e, sicuramente, a rischio di essere bollati come “lagnosi” da coloro che utilizzano le metafore di Francesco come “martelli” per giudicare il prossimo…

E la gioia o la gaiezza, come condizione esistenziale, è – a leggere Kierkegaard e Ricoeur (se non anche gli scritti neotestamentari) – più un traguardo che un punto di partenza…

Sottovoce, allora, senza voler rovinare l’idillio del reinizio, non possiamo nascondere alcuni ma.

Dopo un anno e mezzo di pandemia, come era facilmente prevedibile, non ci sono state modifiche significative riguardo i problemi di aerazione delle aule, sovraffollamento delle classi e trasporti pubblici (soprattutto nelle grandi città).

Si potrà tornare tutti in classe, quindi, solo perché, accanto alla decisione politica di farle rientrare in presenza al 100%, è restata operativa la deroga del distanziamento di un metro stabilita dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS) – con l’obbligo di mascherina e di apertura permanente delle finestre (a prescindere dalla temperatura esterna). Tutto, in definitiva, è affidato alla speranza (alla previsione scientifica?) che i vaccini abbassino in modo significativo le probabilità, non solo di morte o di ricovero, ma anche di contagio. Non ci si stupisca, quindi, che siano i giovani i primi ad essere preoccupati: lascia perciò perplessi il fatto che, in caso di contatto con persone “positive” all’interno dell’ambiente scuola, siano ad oggi ancora incerte le procedure e le modalità di quarantena.

Mi sembra, invece, addirittura grave il fatto che quest’anno i lavoratori che dovranno essere sottoposti a quarantena saranno considerati semplicemente in malattia (con decurtazione dello stipendio per i primi dieci giorni sino a un totale di 50 euro a quarantena): ammesso (e non concesso) che la tecnica della decurtazione lineare sia un metodo efficace per combattere l’assenteismo mascherato da malattia, nel nostro caso l’assenza è resa obbligatoria dallo Stato e nessun docente o altro personale scolastico potrebbe fingere o auspicare di trovarsi nelle condizioni di infezione da Covid-19 che costringono alla quarantena. Ecco, non mi sembra questo, nel nostro e negli altri lavori, un modo adeguato da parte dello Stato di esercizio della propria paternità. Come nel caso della questione relativa all’obbligatorietà (o meno) dei vaccini (e, di conseguenza, al senso del green-pass), credo si possa affermare con serenità, senza timore di essere etichettati come no-vax o complottisti, che esercitare seriamente la paternità statale dovrebbe comportare, insieme all’obbligo vaccinale e della quarantena, la totale (e semplice da usufruire) protezione economica delle persone eventualmente danneggiate.

Sul numero di alunni nelle classi, poi, sembra non esserci alcuna intenzione di intervenire sulla normativa (del 2009 – ministra Gelmini) che stabilisce (ad es. alle superiori) numeri minimi non inferiori ai 27 alunni. Almeno gradualmente – ossia per il primo anno del biennio e del triennio – questo sarebbe stato un cambiamento doveroso sin dallo scorso anno (per i motivi qui espressi). Ma le motivazioni contrarie (o scuse?) addotte (mancanza di aule e necessità di aumentare il corpo docente) e le soluzioni (o scappatoie?) di lungo periodo prospettate (diminuzione delle nascite, spazi ridisegnati, classi per “livelli”, etc.) fanno in realtà capire che l’obiettivo di risparmio della spesa pubblica all’origine di questo problema è ritenuto immodificabile da ogni governo, nonostante i (promettenti?) discorsi sul «debito buono». A tal riguardo, per me resta un mistero il motivo per cui, da ormai più di dieci anni, almeno i genitori non si facciano sentire dalle forze politiche (qualsiasi esse siano) di cui sono elettori per porre termine a quello che resta il principale ostacolo ad una relazione educativa veramente inclusiva.

Infine, la sostanziale assenza di volontà di creare «debito buono» per assicurare trasporti pubblici locali in grado di assicurare corse totalmente riservate per gli studenti e le studentesse che si muovono con essi (pensiamo che in alcune regioni solo quest’anno si procederà con veri e propri sondaggi per individuare con precisione le linee utilizzate dagli studenti), costringerà questi ultimi e il personale scolastico – ancora una volta – ai massacranti doppi turni orari. Solo chi non è stato in classe, o non ricorda cosa significhi ciò, può pensare che si possano svolgere per un anno lezioni di qualità (nel livello di spiegazione e attenzione), fino al primo pomeriggio, senza alcun contraccolpo fisico e psicologico nei nostri ragazzi, salvo non pensare – come non pochi teorizzano – ad una drastica riduzione del tempo da dedicare allo studio autonomo (cosa ben diversa dai compiti a casa) o di quello libero (anch’esso  da pensare e vivere più nel senso dell’otium latino che del vagabondare postmoderno). Anche qui un eventuale rimedio – quello della riduzione dell’unità oraria di lezione a 50 (o 55) minuti – non solo è un mero palliativo, ma incontra le resistenze incrociate di molti e per i motivi più disparati: la paura dei dirigenti di vedere aumentare i ricorsi a fine anno in caso di bocciatura o di recupero dei debiti scolastici, l’ansia dei colleghi di non poter completare le loro programmazioni, l’incertezza di tutti circa le necessità o meno di recuperare il tempo ridotto.

D’altra parte, qualcuno manifesta ottimismo pensando alle risorse che il PNRR dedicherà alla scuola. A tal proposito, è necessario smorzare gli entusiasmi anche solo ricordando la recente inchiesta della procura di Roma su una presunta corruzione, nell’affidamento di appalti, avvenuta nel ministero dell’Istruzione (con conseguenze inizialmente drammatiche per un suo alto dirigente). Le persone più sensibili al problema si sono già sentite in dovere di ricordare che il mondo della scuola (oltre a quello dell’università) non è immune da esso. Soprattutto negli ultimi anni, da quando i dirigenti (anche delle scuole) hanno potuto procedere con affidamenti diretti di appalti in caso di cifre sempre maggiori, sino agli attuali 40000 euro; soprattutto ora, dato che con il PNRR le scuole potranno trasformarsi in vere e proprie «stazioni appaltanti». In tal senso, a proposito della pressante richiesta da parte della Corte dei Conti di applicare anche ai dirigenti scolastici (e loro collaboratori stretti?) la rotazione degli incarichi (ogni 9 anni), mi sembra quantomeno imprudente la decisione dei diversi ministri di avallare, sino ad oggi, la lettura dei sindacati e purtroppo dell’ANAC stesso, i quali valutano la scuola un ambiente «a basso rischio» di corruzione. Come abbiamo visto anche nelle recenti vicende ecclesiali, non può e non deve sfuggire a nessuno quanto gli aspetti corruttivi presenti all’interno di un’istituzione siano in grado di influenzare decisioni sostanziali della e per la sua vita – e in fondo siano temi che rientrano a pieno titolo nella cosiddetta educazione civica.

Premesso tutto ciò che non funziona già dal primo giorno di scuola – e che comunque quantomeno addolora – non vi preoccupate: ci recheremo in classe senza alcuna tristezza, alla fine “facendo finta di dimenticare” quanto di vero e condivisibile vi sia nelle parole di chi ci mette in guardia da coloro che sfruttano la sottile linea di demarcazione tra aspetti professionali dell’insegnamento e quelli missionari – ossia vocazionali – per coprire il disinvestimento degli ultimi decenni nel servizio pubblico. Ci dedicheremo con letizia ai nostri e vostri studenti e studentesse – e anche a chi, sempre di più, richiede che si scriva e ci si rivolga, semplicemente, «ai nostr* e vostr* student*». Molti di noi, però, rifiutandosi – non a torto – di considerarli mero «capitale umano» invece di persone.

Sì, cominceremo e porteremo a termine anche quest’anno scolastico, facendo del nostro meglio. Solo, se credenti, potremo in aggiunta sussurrare la rassicurazione biblica «perché la gioia del Signore è la vostra forza» – e scusate se è poco…

 

Una risposta a “La gioia di quale presenza?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Da outsider, penso che proprio per amore all’insegnamento, sia di fare “di necessità virtù”, con gli allievi , fosse anche a discutere su come fosse possibile risolvere i problemi che certi studenti magari hanno, dandosi una mano reciprocamente mettendosi disponibili. Ma c’è un problema di cui può interessare il dialogo iniziale, parlare del concetto di libertà in tempo di Covid.tanto il tema viene dibattuto sulle prime pagine dei quotidiani, con personalità anche del mondo dell’Istruzione che eccepiscono sulle decisioni governative. Il Green Pass come discriminazione sulla libertà di scelta, Renderlo obbligatorio suscita reazioni e positive e negative. Credo possa essere tema interessante dibatterlo anche anche essere una opportunità di spaziare su quanto sia possibile il dialogo a livello europeo su un problema che tutti ci coinvolge a corrispondere al benecomune
    .

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