Non sono un liturgista, e nemmeno un esperto di teologia sacramentaria, ma ha suscitato la mia curiosità l’iter istituzionale che ha seguito la questione relativa alla benedizione delle coppie omosessuali. L’ultimo atto (per il momento) di questa sceneggiatura, la Dichiarazione Fiducia supplicans dello scorso 18 dicembre 2023, richiama brevemente la trama che l’ha preceduto, ovvero un Responsum dell’allora Congregazione per la dottrina della fede del febbraio 2021 la risposta a uno dei cinque Dubia sollevati da alcuni cardinali nel luglio 2023. Il primo atto stabilisce chiaramente la non liceità delle benedizioni per persone dello stesso sesso in quanto «implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio» e gli «elementi positivi» che in questa relazione potrebbero anche esserci, non sono in grado di «coonestare» la relazione stessa, che rimane «al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore». Il secondo atto, a firma dello stesso papa Francesco, ribadisce questa dottrina, per cui ciò che è da tutelare è la realtà del sacramento del matrimonio, e quindi bisogna evitare qualsiasi rito o sacramentale (benedizioni incluse) che possa «far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è». D’altra parte, s’introduce anche un altro criterio, vale a dire la «carità pastorale», per cui la difesa della verità dev’essere accompagnata dall’amore per il prossimo, dal riconoscimento della singola situazione particolare, senza voler dare necessariamente forma istituzionale a una determinata pratica rituale o sacramentale. Si apre quindi la strada, seppur timidamente, alla ricerca, guidata dalla «prudenza pastorale», di «forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano una concezione errata del matrimonio».
Giungiamo così, dopo questo veloce excursus, all’ultimo atto, interessato al senso pastorale delle benedizioni e, in questo contesto, al “problema” delle coppie omosessuali. Scorriamo veloci il documento Fiducia supplicans fino al n. 31, in cui ritroviamo la declinazione al caso concreto di quanto esposto teoricamente e biblicamente nei numeri precedenti. Per non «produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio», si può evitare la fissazione rituale e invocare una benedizione sulle coppie, ovvero una richiesta di aiuto da parte di Dio, senza implicare così il riconoscimento di uno specifico status. Questa distinzione passa attraverso un diverso “stile” liturgico, «non attraverso le forme rituali proprie della liturgia, bensì come espressione del cuore materno della Chiesa», dunque una benedizione che «mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio».
Questa, molto velocemente, è la storia. Che interpretazione potremmo darne? Ripeto, non sono un liturgista e nemmeno uno studioso di teologia sacramentaria. E nemmeno penso sia necessario. Mi sorprende in realtà il modo in cui il problema legato a quello che potremmo definire il “riconoscimento” della relazione d’amore tra persone omosessuali sia stato direttamente collegato, o quantomeno se ne proponga una qualche accoglienza nella compagine ecclesiale, dirottando il baricentro della questione sulle benedizioni, sul loro significato e sulla loro diversa declinazione, meno istituzionale e più attenta a una certa “carità pastorale”. Il problema, quindi, verrebbe risolto (di nuovo) ignorando ciò di cui si parla e sviluppando nuovi cavilli attorno al “modo” in cui se ne parla. Evitiamo di parlare di omosessualità e concentriamoci, piuttosto, su cosa significa “benedizione”, e vediamo di far quadrare i conti.
Parlo a titolo personale, questo è chiaro, ma siamo davvero convinti che la richiesta di coloro che vorrebbero essere guardati con occhi diversi, sentirsi accolti e riconosciuti nella propria fede, nella propria comunità, come discepoli di Gesù, con tutte le loro esperienze e delusioni d’amore con il proprio partner o la propria partner omosessuale possano essere anche solo lontanamente soddisfatti da questa “soluzione”? Realmente non ci accorgiamo come, alla fine, comunque ciò che loro vivono come amore concreto, in una storia che ai loro occhi riflette realmente quello stesso amore che da sempre Dio è e che in Gesù si è rivelato, non viene per nulle preso in considerazione, e ancor meno è riconosciuto nella sua bontà, nella sua liceità e nella sua capacità di essere segno nel mondo della presenza amorosa di Dio?
In un libro passato, forse giustamente, sotto traccia, ho provato ad affrontare il tema dell’amore e del matrimonio secondo una diversa chiave cristiana. Sarà di certo un testo da riprendere e che vorrei ampliare, soprattutto in merito a questo argomento. Qui mi limiterò a sottolineare come chiaramente l’amore omosessuale si distingue da quello eterosessuale per l’impossibilità di aprirsi in sé alla generazione. Questo, a mio modo di vedere, ne fa “qualcosa” di diverso dall’amore eterosessuale, ma pur sempre una forma specifica di vero amore. Mi chiedo però: è possibile ridurre il senso della generazione al solo processo fisico-biologico che può dare alla luce un figlio o una figlia? È possibile riconoscere il medesimo significato simbolico, che biologicamente si riscontra nel concepimento di una nuova vita, quando parliamo ad esempio di un’adozione? Non si tratta anche in questo secondo caso di accogliere qualcuno, certo già generato da altri, in una sorta di ri-generazione, di nascita a una nuova vita, aprendolo a una vita buona e facendosi carico di questo stesso bene che viene promesso? In altre parole, nel caso della generazione biologica eterosessuale, così come nell’adozione (in questo caso omosessuale), non si tratta sempre e comunque di mantenere una promessa di bene verso qualcuno che ci viene affidato e che in sé è oggetto (e simbolo) del nostro amore (e di quello di Dio)?
Il discorso è certo complesso, ma credo valga la pena iniziarlo e svilupparlo, soprattutto perché penso sia decisamente urgente inizia a guardare all’amore omosessuale non come a un problema in sé o come a una clausola che si può risolvere in maniera quasi grottesca, muovendo strane leve in materia di teologia sacramentaria, canonistica o liturgica. Parliamo di persone, di storie, di relazioni che in quanto tali devono essere riconosciute, accolte e custodite nella propria singolarità amorosa. Sono il primo (e l’ho detto in Il custode di questa storia) a sostenere come si debbano distinguere le diverse forme di amore, ma credo che in quanto tali vadano affrontate e considerate. Non stiamo dando un “contentino” a qualcuno, non si tratta di eccezioni scomode da incasellare secondo schemi in cui, da bravi Azzeccagarbugli ecclesiali, ci troviamo a nostro agio ma che, francamente, non toccano nessuno, ad eccezione degli addetti ai lavori (quanti conoscono la differenza tra sacramento e sacramentale?). C’è un’antropologia della fede, dell’amore e del matrimonio da riscrivere, tutelando la singolarità e la verità di ciascuno, di ogni relazione, nella profondità che è propria a ciascuno, con la trasparenza, il coraggio e la consapevolezza storica dei tempi che stiamo vivendo, perché alla fine è solo questo l’unico modo che abbiamo di rendere ragione oggi, come in ogni tempo, della fede, della speranza e della carità che è in noi, in ciascuno di noi.
L’adozione da parte di coppie dello stesso sesso di un bambino priva quel bambino del suo diritto alla famiglia naturale ricca della diversità maschio/femmina e capace dell’ amore del padre e della madre.
Chi ci dà il diritto di negare una delle due figure ad un bambino che ha già perso tutto?
E non finiamo nella solita storia che “meglio” due uomini dell’ orfanotrofio perché è una falsità usata come grimaldello per sdoganare l’adozione come diritto degli adulti e non dei bambini.
Insomma inutile girarci intorno!
Come scrive Maria Cristina IL problema si riduce agli atti sessuali “out of standard”
OK?
Ci mancherebbe che avessimo da eccepire sull’Amore tra due creature (cfr B16 Dio è Amore!)!!!
Ecco la riflessione dirimente:
Se invece quegli atti fossero fatti da una coppia etero…basta una confessione?
E poi: il confessore dovrebbe davvero entrare in certe intimitá, intromettersi nel talamo?? MC cita gli ortodossi..Padre Eudokimov, ortodosso. Lo rifiutava!
PS ovvio che se fosse vizio invece che Amore…
Concordo.
Noi, secondo me, esprimiamo con il corpo ciò che sentiamo dentro, che ne denota il valore.
Credo che se Dio si fermasse ai nostri atti esteriori, senza giudicare cosa li ha mossi, sarebbe un Dio che non ci considera persone ma macchine.
Ad un robot puoi dire cosa deve o non deve fare a livello di azione esteriore, non puoi dirlo ad una persona dotata di coscienza.
La benedizione all’amore in ogni forma questo si esprima, significa, secondo me, ammettere che prima venga il Pensiero cosciente, come persino la scienza inizia a capire..
Un Dio che chieda di reprimere una parte di me, non è un Dio che ama la persona che sono, è un Dio che vuole un mondo al suo servizio per il proprio potere. Non è un Dio come Spirito del mondo, che dona il Suo Respiro affinché questo possa esprimersi liberamente, ma il dio della materia del mondo, che ha bisogno di creare un mondo materiale a sua immagine per compiacersi di sé.
Ma perché cercare una benedizione inefficace se non nella condizione che questa richiede? Gesù quando guarisce accogliendo la richiesta lo fa ma avendo constatato la Fede. Egli ha operato alle nozze di Canaan perché quel miracolo serviva a un compiersi il disegno di Dio Padre, dare testimonianza finalizzata a un bene, dare all’amore una identità superiore, non l’amore che si esaurisce tra i due, ma che si apre a nuova vita, un nuovo essere le cui caratteristiche derivano da una completezza di due persone diventate una.. . Maria e Giuseppe si sono completati spiritualmente allo stesso modo, con la loro adesione al disegno di Dio, seguendo ciò che la volontà di Dio ha loro suggerito, con il loro prendersi cura del Figlio di Dio, hanno donato al mondo quella Luce che fino ad oggi è guida e farò sicuro al mondo, cui guardare per avere vita. E’ per la luce di Cristo che coloro che sono in Lui hanno la vita eterna.
E che diremo noi a tutti gli altri fratelli cristiani ,gli ortodossi, i copti : Noi soli abbiamo la vera fede ,nel vero Dio che e’ il Dio arcobaleno ? https://www.ilmessaggero.it/vaticano/coppie_gay_copti_tawadros_relazioni_ecumeniche_vaticano_papa_francesco_fiducia_supplicans-7990064.html
Il problema non sono le gaie benedizioni fra noi, il ” permesso” del prete , il problema e’ riflettere se davvero il Dio in cui crediamo, Dio di Gesu’ Cristo e come diceva Pascal ,il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e non dei filosofi, se davvero questo Dio in cui crediamo appprovi e benedica certi atti sessuali che non sono quelle che da milioni di anni ( da quando esiste l’ uomo) sono benedette dalla natura stessa delle cose: cioe’ unioni sessuali feconde, che portano alla nascita di un altro essere umano.
Puo’ il Dio in cui crediamo benedire accoppiamenti anali, orali o di altro tipo effettuati solo.per il.piacere e non per la procreazione di altre creature? Se si risponde di si’ ,c’ha a Dio va bene tutto., rimane la domanda perche’ Dio ci ha creato maschi e femmine ?
Da ex_ agit prop x il divorzio:
1) ok al divorzio
2).MA Oggi metterei dei paletti SE ci sono figli ( propri o adottati come coppia). Tipo anche il loro ok
e stringenti responsabilità sui facente funzioni non importa se etero o omo.
PS ma nettamente CONTRARIO alla maternità surrogata, favoriamo invece le adozioni.. ci sono famiglie che non sono degne dei figli!!