Nel buio della notte, la luce della Luna…

Il buio (e la paura di esso) ci accomuna tutti in quanto esseri umani, così come la ricerca in esso di una luce che lo illumini: ma tutte le luci sono uguali?
2 Aprile 2024

Nell’undicesima stazione della Via Crucis, Papa Francesco così medita: «Gesù, gridi al Padre il tuo abbandono per immergerti fino in fondo nell’abisso del nostro dolore, affinché io, quando vedo solo buio, quando sperimento il crollo delle certezze e il naufragio del vivere, non mi senta più solo» e «nel buio dei miei perché, ritrovo te, Gesù, luce nella notte». Lo stesso Pietro, ricorda il vescovo di Roma nell’omelia della messa del crisma, «cominciò a conoscerlo [Gesù] quando, nel buio del rinnegamento, fece spazio alle lacrime della vergogna [e] del pentimento». Infine, le donne che si recano al sepolcro, nella lettura che ne dà Francesco, «avevano il buio nel cuore… dentro di sé conservano il buio della notte… paralizzate dal dolore, sono rinchiuse nella sensazione che ormai sia tutto finito» (Omelia della veglia pasquale).

In effetti, la morte di Gesù sulla croce avviene in quello che dovrebbe essere il momento più assolato (e caldo) della giornata: mezzogiorno – lo stesso orario in cui la Samaritana si recava a prelevare l’acqua dal pozzo (Gv 4,6). Ma i tre vangeli sinottici raccontano che per ben tre ore si fece buio su tutta la terra (Mt 27,45; Mc 15,33; Lc 23,44) – forse per un’eclissi del sole (Lc 23,45). Giovanni non vuole essere da meno ma, non avendo fatto alcun accenno al buio durante la morte di Gesù, “rimedia” precisando che Maria di Magdala si reca al sepolcro quand’era ancora buio (Gv 20,1).

Insomma, dai vangeli al Papa, il cristianesimo ha ben chiaro il ruolo che nella vita ha il buio (skotos in greco, traducibile anche con tenebra e oscurità). D’altronde, come potrebbe non essere se al buio sono associate alcune delle nostre paure più ancestrali? Se la dialettica tra buio e luce (phos) è altrettanto primordiale? Perciò non dobbiamo neanche stupirci di ritrovare questa dialettica nella canzone di Marracash che più di tutte si muove – o meglio «danza» – sul confine tra morte e resurrezione.

 

«Ho paura del buio», confessa senza imbarazzi Marracash. Perché, sin da bambini, «quando fissi il buio ci vedi sempre qualcosa». Mentre da adulti la questione si complica e la paura si estende ad altre forme di esso. In primo luogo «quello degli altri», canta il rapper milanese (che ne ha raccontato il contesto di amore tossico nel brano Crudelia), per poi proseguire con il buio dei «vuoti che (…) non si colmano», sia quelli «messi in ombra», sia quelli «perduti in corsa».

È interessante notare come anche Papa Francesco, nell’omelia della veglia pasquale, parli di «vuoti incolmabili» causati dalle «sofferenze che ci toccano» o dalle «morti delle persone care». Il paragone non si ferma qui se accostiamo le «amarezze» e le «delusioni» che «rubano l’entusiasmo e la forza di andare avanti», cui accenna il vescovo di Roma, allo stato d’animo cantato da Marracash «quando ti senti giù» e «ti spegni».

Anzi, il legame proposto dal vescovo di Roma tra questi «macigni della morte» e certe nostre scelte etiche, mi ha offerto una chiave di lettura ulteriore del testo di Marracash. Se Papa Francesco evoca le «chiusure» e i «muri di gomma dell’egoismo» o le «macerie del fallimento» personale, Marracash riconosce dentro di sé che «ti sei fatto amare, però non sai affatto dare», rischiando di concludere che «forse tu sei fatto male» o «non sei niente di speciale».

In realtà, pur sentendosi a volte «tenuto in pugno dal mio lato più oscuro» o, nei termini del vescovo di Roma, imprigionato «sul fondo oscuro delle nostre attese e delle nostre morti», il rapper siculo-milanese si pensa come un «animale notturno» che deve, che vuole «uscire dal buco». Certo, resta il problema sollevato anche da Francesco (sulla scia dei vangeli) di «chi farà rotolare via la pietra dal sepolcro», ossia tutti quei «macigni della morte» che ostacolano la via verso la luce della vita.

Non a caso, è questo il punto in cui le strade degli esseri umani cominciano a divergere, o meglio in cui ciascuno parla dal punto di vista del luogo in cui il proprio percorso è giunto. Il cristiano ovviamente – e nello specifico il Papa – restituisce ciò che vede da un osservatorio in cui si è già sperimentato il finale positivo che illumina, con la gioia e la speranza che ne scaturisce, il vissuto negativo. Mentre Marracash rappresenta l’essere umano che indugia, come del resto la maggior parte dei primi discepoli maschi di Gesù, nel «panico» delle proprie «paranoie»: «vago d’impulso, iridi simili a un lupo», «giro confuso, sibili, timidi sguardi».

Sulla base di questa precisazione, anche nell’animo di chi si riconosce nelle incertezze del nostro rapper potrebbe risuonare bene quell’«alziamo lo sguardo» di Papa Francesco verso «il Dio dell’impossibile (…) che ci fa passare dal buio alla luce», verso quel «vestito bianco» (Mc 16,5; Gv 20,12) «sfolgorante» (Lc 24,4) «come la neve» (Mt 28,3) che annuncia «nel buio il grido inatteso»: «la vittoria della vita sulla morte», «il trionfo della luce sulle tenebre».

Sulla stessa base, possiamo comprendere (e interpretare come tale) il passo in avanti compiuto da Marracash nella consapevolezza della differenza tra vera e falsa luce. Egli confessa con parresìa che il suo desiderio di uscire dall’oscurità e dal buio che lo imprigionano è ingannato dall’immaginare come «unico scudo» difensivo quello di «distrarsi» con «luci dei club, baci dei flash / ori e gioielli che accecano i re / … luci dei brand, stelle di led / fari allo xeno, semafori e…». La stessa Elisa, nel ritornello, conferma la convinzione dell’amico Marracash secondo cui questo suo atteggiamento di fuga rientra tra gli «sbagli» commessi: «tu resti dove la luce balla / il neon brilla, sembra una danza / … ma resti dove la luce balla / chiudi il cielo nella tua stanza».

Perciò possiamo comunque riconoscere che la speranza genuina di Marracash è identica a quella evocata da Papa Francesco: se quest’ultimo, infatti, parla di «uno squarcio infinito di luce per ciascuno di noi», il primo desidera delle «ali» – al di là dei «neon» – che «squarciano il cielo e le paure che ho». D’altronde, suggerisce ancora Elisa, presto o tardi «la festa finirà» e con essa tutti i suoi luccichii illusori: «solo la luna» resterà a parlarci, in attesa che «la notte poi se ne va». Che gli uomini e le donne della Chiesa, allora, possano trovare le parole e le azioni giuste per incarnare quella luna, quel «mysterium Lunae», che sin dall’inizio i Padri della Chiesa esortavano i cristiani ad essere di fronte al mondo che «danza» tra buio e luce, tra morte e resurrezione.

 

4 risposte a “Nel buio della notte, la luce della Luna…”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Magnifico!
    Signi-ficante dalla prima all”ultima riga…
    Bravo Sergio!
    Lasciami solo aggiungere che la Sua Luce é altro anche dalla Luna
    Noi manco sappiamo cosa sia quella alla cui luce vediamo…cosa?
    La Sua Luce…
    Ma davvero COSA vediamo. Dio mio?
    Vediamo. Viviamo lo Spirito!
    Cosa forse non umana…
    Ma CRISTIANA sì.
    DEVE esserlo.

    • Sergio Ventura ha detto:

      Grazie Pietro per le belle parole… e sì, la Chiesa sarebbe Luna perché dovrebbe riflettere la Luce del Sole che è Lui… dovrebbe….

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La Pasqua non è da confondere con una festa pagana. Si fece buio su tutta la Terra, certo moriva l’amore crocifisso, era stato ucciso un Uomo giusto, buono, innocente che aveva solo vissuto insegnando un altro modo di vivere per non morire. Altro esempio di umana esistenza cercando un senso più vero di vivere, non supponendo il trovarlo senza sacrificio,. Le luci fluorescenti, il brillio di ornamenti, effetti creati dalla fantasia , arte per sentirsi umanamente vivi, quando si chiude il sipario o le note della canzone e dopo i battimani la gente se ne va e l’artista torna solo nell’ombra a reinventarsi un altro nuovo canto. L’uomo è ha la libertà di scegliere e quale luce va cercando; la natura vive di luce, il sole illumina e scalda, la luna e le stelle di notte danno riposante luce, da far incantare. Il massò è stato rimosso dalla potenza della luce del Risorto ed e’quella la sola luce nella quale l’uomo può trovare la gioia di vivere,

    • Sergio Ventura ha detto:

      Certo “la Pasqua non è da confendere con una festa pagana”, ma su di un rito naturale di passaggio essa comunque si innesta. Se non riconosciamo questo, ogni “sola…luce…sola fede…sola Scrittura…sola etc. etc.” risulterà sterile perché disincarnata.

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