È stata un’estate pesante per la generazione Z? A guardare la cronaca si direbbe di sì. Negli ultimi due mesi le notizie di stupri, violenze, omicidi in cui i giovani under 30 sono stati, purtroppo, vittime e carnefici, si sono intensificate in modo inatteso. Per chi, come me, lavora in ambito educativo forse, però, non è stato così inatteso.
Voglio dire che gli episodi che ultimamente hanno riempito la cronaca, purtroppo, mi appaiono come un’intensificazione e una recrudescenza di uno stile di vita che però è ormai molto diffuso, ben da prima di questi eventi, quasi da considerarsi abitudine, in questa ultima generazione, anche se si esprime in gradi molto minori di violenza. Questo mi fa pensare che si possano evidenziare in questi eventi alcuni caratteri con cui questi giovani stanno vivendo, che, in qualche modo, ci aiutino a capire che questi episodi ultimi (vedi Caivano!) hanno una logica e non sono frutto di follia.
Il primo carattere è quello della frammentazione antropologica: in tantissime persone, soprattutto giovani, ma non solo, testa cuore e corpo vivono da separati in casa. Le capacità razionali, le dimensioni emotive e gli istinti e pulsioni sono talmente slegati dentro gli individui che non riescono più a produrre una sintesi interiore in cui l’intenzione si dia come risultato unitario di tutte queste componenti. Perciò le azioni possono essere messe in atto, consapevolmente, come risultato anche di una sola di queste capacità. E quando a produrre le azioni sono gli istinti e le pulsioni, non sempre la persona è in grado di dare ragione del suo operato. C’è responsabilità, nel senso classico della parola, cioè il soggetto sa che quella azione è stata fatta da lui stesso, ma non è in grado di articolare un pensiero comunicabile che possa dare ragione del perché l’ha fatta.
Se la generazione dei millenials si poneva ancora il problema della riconciliazione interna di queste dimensioni, la generazione Z ha accettato il dato di fatto della frattura interna e ci prova sempre meno a trovare vie per uscirne. Fino a considerare che azioni fatte sotto il dominio dell’istinto o per pura razionalità o per un immediato slancio emotivo possano essere considerate normalità e non follia.
Un secondo carattere che emerge è quello della inversione del valore dello spazio e del tempo. Più semplicemente, oggi molti avvertono che il tempo vale solo per il presente, relegando il passato e futuro a inevitabili “scorie” del qui e adesso. E, a rovescio, lo spazio, l’essere nato in una certa zona geo culturale, viene sempre più percepito come un contenitore vuoto di significato, perché spesso si abita lo spazio del virtuale e non quello reale. L’effetto è che il rapporto causa effetto, cioè che un’azione abbia delle conseguenze irreversibili nel mio spazio reale, viene compreso razionalmente, ma non è più in grado orientare le intenzioni, perché la vita è qui e adesso, ovunque io sia. La vita piena c’è se si vive il presente, in qualsiasi posto, come se non ci fosse un domani.
Se la generazione dei millenials restava a metà del guado tra il desiderio di vivere il presente e quello di costruire un futuro, la generazione Z sembra aver optato chiaramente per la prima scelta. Il futuro è una ipotesi, e ci si penserà quando arriverà. E quindi azioni che nel presente possano far vivere l’intensità emotiva o pulsionale da cui derivano, come se non ci fosse un domani, tendono ad essere percepite come sensate.
Il terzo carattere che si può evidenziare è la corrosione della fiducia istituzionale. Moltissimi oggi sono convinti che non ci si possa più fidare delle istituzioni: stato, con annessi e connessi, chiesa, con annessi e connessi, scienza, scuola, il web stesso, per non parlare poi della tv. Questo produce la percezione di non sentirsi più ricompresi e riconosciuti da ciò che dà forma al governo della società e di doversi e potersi permettere una ricostruzione tribale dei rapporti sociali. E la storia ci insegna che a livello tribale la violenza non solo sia permessa, ma spesso richiesta come strumento non solo di gestione del potere della tribù, ma anche come luogo per verificare la fedeltà al capo di turno. Meccanismi spesso inconsapevoli, in cui però molte persone oggi sembrano lasciarsi vivere, senza opporre resistenza.
Se i millenials erano nel dilemma sul come poter ricostruire istituzioni che fossero capaci di un governo sociale in grado di permettere la realizzazione degli individui, la generazione Z ha optato per l’impossibilità di ciò e sta cercando di trovare modi di autogoverno tribale sufficienti, in cui però è scontato che alcune persone, o alcune parti delle persone, non potranno realizzarsi. Fino a percepire che l’uso della violenza sia un elemento strutturale e non “eccessivo” per la convivenza sociale.
Se queste considerazioni hanno un senso, la loro sommatoria porta alle domande centrali che stanno dietro agli equilibri squilibrati che generano questi eventi: chi sono io? Esisto davvero? C’è qualcuno per cui io valgo? La necessità assoluta della definizione della propria identità assorbe ormai la stragrande maggioranza delle energie di questi giovani, fino a ipotizzare che anche attraverso la violenza io possa sapere chi sono. Ecco perché posso arrivare a filmarmi nella violenza e a pubblicarmi sul web, ottenendo, nei likes che arrivano, la sensazione di essere vivo.
L’analisi del circa il vivere il tempo presente perché “del diman non v’è certezza” che significa non contare sul futuro sembra essere realtà oggi Questo accade a una età della vita quando si dovrebbe già avere acquisita una educazione alla libertà, aver percezione di ciò che vale e fatto proprio questo sapere con responsabilità di saper scegliere dare un indirizzo alla propria vita. Importante avere esperienza di amore dato e ricevuto, e questo non sta nella fretta imposta da uno stile di vita famigliare e sociale dove prioritari sono avere mezzi per acquisire “cose” beni e questi a dare valore alla persona; Se dalla scuola famigliare o di istruzione collettiva ‘l’interesse alla persona non trova tempo, valori utili a dare un senso al proprio vivere ed esistere, prevale un vuoto verso cosa tendere a un = futuro, La situazione può condurre a depressione, e si fanno strada altre reazioni emotive anche di violenza.
Al di là di tutte le allarmanti analisi sociologiche, psicologiche, pedagogiche… che abbiamo letto per tutta l’estate, pare che i dati statistici confermino chiaramente che la generazione Z, dal punto di vista criminologico, non sia peggiore di tutte le generazioni che l’hanno preceduta.
Si vedano, da ultimo, gli articoli di Cerasa sul Foglio del 30/8 (“I dati ci dicono che è ora di combattere l’abuso della cronaca nera”) e di Luca Ricolfi su La Stampa del 1/9 (“Cosa dicono i numeri sulla violenza di genere”).
Un conto è la realtà vera, un conto quella percepita, indotta dai fari accesi su certi fenomeni di cronaca morbosa che spopolano sui giornali, specie d’estate.
Poi, ci mancherebbe, combattiamo stupri e femminicidi, anche se i numeri sono in calo da anni, ma non si tratta di novità dei cattivi tempi moderni!
Sempre molto stimolante l’analisi di Gil, soprattutto nella descrizione della Realtá.
Mio skill é la sintesi, la messa in causa/effetto: qui lancio UNA causa:
La mancanza di futuro, con una precisa connotazione: io sono nella m…
Se mi guardo intorno ci sono speranze?
Posso credere il cambiamenti?
Buio piû assoluto, sia dalla politica che dal mio ambiente sociale.
Quindi:
Senza futuro mi resta solo il PRESENTE.
Senza futuro tutto é bloccato: a COSA dovrei applicare la RAGIONE??
E fopo aver capito tutte qs Veritá.. sto meglio o peggio.. cioé la veritå serve a q.cosa?
La testa é rotolata via, come quella di Giovanni.. meglio: si nutre solo degli stereotipi del web..
Buio. Nebbia, rassegnazione io sono vicino solo a quanto di baseo/peggio/istinto e forse una bestia é più saggia di me.
PS di giovani SENZA FUTURO si parla da oltre 50 anni.