In un reel del 18 aprile, Arianna Porcelli Safonov si esprime così a proposito della musica: «Io sono sopravvissuta grazie alla musica. Quanti di voi sono sopravvissuti grazie a una sola canzone? … Quale farmaco riesce a penetrare nelle nostre profondità emozionali in modo così invasivo [ma] senza controindicazioni? … La musica è l’unica malattia che cura. È un farmaco omeopatico secolare che ha un antidoto per qualsiasi tipo di sentimento». Non stupisca la citazione della nota comica su queste pagine, dato che essa ancora di recente, in un post del 24 aprile, ha parlato della Adriana Zarri (a proposito del suo Teologia del quotidiano) nei seguenti termini: «giammai in Italia ha vissuto e operato, una testa femminea così tagliente, arguta e colta, capace di sprofondare nel quotidiano per renderlo altissimo».
Questa vicinanza temporale tra le testimonianze della Safonov circa la capacità terapeutica della musica e la quotidianità della (vera) teologia mi ha fatto sentire meno solo – e anche un po’ meno folle – nei miei consueti accostamenti tra canzoni e racconti biblici che mi fanno emozionare e mi danno da pensare. Anzi, debbo ancora una volta riconoscere che spesso sono tali canzoni (e i loro testi) a ridare vitalità o a rivelare un nuovo dettaglio o una nuova prospettiva a dei racconti che, con il passare dei secoli, hanno sempre più bisogno di essere dischiusi dall’esterno per rivelare tutta la loro profondità.
A tal proposito, tutti sappiamo che il tempo pasquale dovrebbe risplendere della gioia che promana dai testimoni del risorto (Lc 24,52). Ma è anche vero che gli eventi tragici in cui siamo immersi allungano su tale gioia le ombre tristi provenienti dai volti dei discepoli di Emmaus (Lc 24,17), nella cui lentezza a comprendere – e quindi a gioire – possiamo riconoscerci oggi più che mai (Lc 24, 25). Forse per questo il recentissimo brano di Neffa e Fabri Fibra ha risuonato in me come se fosse la colonna sonora dell’ancora attuale traversata verso Emmaus.
Se i due discepoli che stanno camminando (e conversando) verso Emmaus sono tristi perché pensano che la morte da maledetto subita da Gesù li abbia definitivamente privati di quello che consideravano il messia portatore di una speranza politica (Lc 23,13-14.17-21), l’intro cantato da Neffa può rappresentare – in altri termini e con altre immagini – quanto stanno pensando e provando Cleopa e il suo compagno di viaggio circa la fine tragica del loro maestro: «forse avrò pensato a te senza avere le risposte / camminando su una via fatta con le foglie morte / dietro gli angoli della mia mente te ne vai / senza illudermi che anche stavolta tornerai».
Sì, il cammino verso Emmaus si copre, passo dopo passo, di foglie morte, al punto che la mente dei due discepoli – dominata da un lutto non ancora elaborato – è incapace di riconoscere il non più morto, è incapace di credere che egli sia risorto (Lc 24,15-16). Le due strofe della canzone, allora, possono essere ascoltate come se stessero mettendo in musica e versi alcune possibili reazioni e considerazioni che si agitano dentro i discepoli di Emmaus, ormai disillusi e privi di risposte, ma con un tarlo suscitato dalla testimonianza di cura/amore offerta dalle donne (Lc 24,22-24).
In fondo, anche tra noi cristiani dell’ultima ora, chi – come confessa Fabri Fibra nella prima strofa – amando o seguendo un ideale non ha avuto i propri «sensi di colpa» o detto le proprie «bugie»? Chi non ha indossato una «maschera» soffocante o non si è rinchiuso nella propria «bolla» asfissiante? Chi non ha pensato «d’essere molto più forte», per evitare di dire «non voglio rеstare solo, accettami per ciò che sono»? Chi – come riconosce Neffa nella seconda strofa – amando o seguendo un ideale non ha mai fatto «finta» o non ha vissuto una storia «che ora ha preso un’altra strada»? Chi non ha mai avuto uno «spasmo» o «il cuore a pezzi»?
Emmaus, però, non è il luogo dello svuotamento nichilista. È semmai kenosi, annichilimento rivelativo (Ef 2,5-9), mediante cui un Gesù discreto dapprima spiega ai due discepoli il senso di tale morte, al punto da far ardere il loro cuore (Lc 24,26-27.32.45), per poi farsi riconoscere – prima di sparire lontano nella notte – con il gesto dello spezzare il pane seduto a tavola con loro (Lc 24,28-31). Allo stesso modo Neffa (nel post-ritornello) desidera una «notte» in cui tutto sia ancora possibile e corporalmente tangibile: «puoi sognarmi questa notte, le mie mani poi ti tengono / puoi trovarmi questa notte dove in tanti poi si perdono / puoi cantare la canzone con il vento anche se non ti sente / sulle spiagge più lontane dove il tempo sembrerà per sempre».
Non a caso il finale di entrambi i testi è caratterizzato da una comune ripartenza: se i discepoli di Emmaus partirono senza indugio (Lc 24,33) – sulla scia della corsa della Maddalena, di Pietro e Giovanni (Gv 20,2.4) o della fretta con cui Maria si recò da Elisabetta (Lc 1,39) – i due rappers concludono così le rispettive strofe: «ho cominciato a correrе per strada» (Fabri Fibra), perché quel cuore, nonostante sia a pezzi, «non volta pagina / corre fino a te / mentre sanguina / con le stigmate» (Neffa). Se non è speranza questa, è almeno resistenza – che non è poco di questi tempi…
Come accade spesso uno girovaga per la rete in cerca di qualcosa che gli occorre e… trova parole come queste.
Grazie!
Grazie dal credente, e grazie dall’appassionato di canzone e grazie persino dal “cantautore” che nel mio caso sarebbe quasi da non usarsi, se non fosse che manca il termine per dire cosa faccio con le parole e la musica.
E allora scambio!
Se ti va ascolta/leggi questa mia che da alcuni fini esegeti dipende.
https://m.youtube.com/watch?v=DJWK-dHLr6Y
Un viale di foglie morte era quello che portava al cimitero il 2 novembre sole, ma anche tanta pioggia volti tristi sotto gli ombrelli ma con nel cuore ricordi di persone care. Oggi il mondo a primavera cammina per strade dove si vedono cadere uccisi uomini sul lavoro, in conflitti senza perdono, inermi senza riparo. E ancora si pretende vantare con favore una legge che consente di abortire un incolpevole di esistere. Ma questo non è anche mancanza di responsabilità? Perché il dovere di salvare vite umane diventa secondario rispetto a quelle motivazioni che hanno originato il conflitto? Ma quale Dio può approvare tutto questo? Siamo tristi come i due di Emmaus
Solo riferendosi alla parabola, i due di Emmaus prendono le distanze dal fatto che li cruccia; speranze deluse, di più, quel Gesù Profeta di un cambiamento è morto, una illusione ? Capita a tutti nella vita che un cammino intrapreso si riveli sbagliato, o la salute crei problemi, vivere di ansia come e l’oggi con guerre che hanno rotto sicurezze,amicizie, reso iil dialogo anche tra Paesi amici diffidente, cauto, quando anche opposto. Cristo, la sua Parola si fa difficile a ricordare, presi dal seguire i propri ragionamenti, come difendersi magari inventando nuove armi a gittata più profonda, così perfette rispetto a. Quelle nemiche da far progredire il conflitto invece che arrendersi a una realtà, alla saggezza del cuore, quella superiore il risparmio di vite umane !!. Non si realizza la Parola perché non si crede in Dio, così come i due apostoli nella Risurrezione del Maestro. Siamo come loro a questo punto? Spe Salvi