Cartolina da Inisherin: ritorno all’isola degli spiriti – 1

Spesso non crediamo veramente che qualcosa o qualcuno possa travolgere il tempo in cui viviamo, inabissando con sé persone, cose, esseri viventi. Forse dovremmo...
5 Febbraio 2024

Una delle più note metafore derridiane sul pensiero riguarda quella cartolina postale che, quasi casualmente, non giunge a destinazione: non soggiace pertanto al comune destino di essere letta frettolosamente e riposta in un cassetto (o, nel migliore dei casi, come segnalibro in un volume). La cartolina prosegue il suo viaggio: non cessa il suo essere evento, rimane aperta alla disseminazione di differenza e di senso.

Allo stesso modo, a un anno esatto di distanza dall’uscita nelle sale italiane di una delle narrazioni più dense e significative della passata stagione cinematografica (2 febbraio 2023), può essere utile tornare a scandagliarne possibili tracce di dischiusure: di spunti, suggestioni, contaminazioni con l’umano e la realtà sociale, ecclesiale, storico-politica.

Si tratta della produzione anglo-irlandese Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), che ha riproposto la collaudata collaborazione di un cast tutto irlandese: il regista-sceneggiatore Martin McDonagh, che si avvale come in passato delle straordinarie interpretazioni di Brendan Gleeson e Colin Farrell, rispettivamente nelle vesti di Colm Doherty e Pádraic Súilleabháin (amici inseparabili sino al giorno precedente la prima scena del racconto).

Ai due protagonisti si affiancano la bravissima Kerry Condon (il luminoso personaggio di Siobhán, sorella di Padraic, con il quale ormai da anni condivide casa e reciproco sostegno, dopo la morte di entrambi i genitori) e Barry Keoghan, che interpreta mirabilmente uno dei personaggi-chiave della storia (il giovane Dominic, figlio abusato dal violento agente Peadar Kearney, unico ufficiale dell’ordine pubblico sull’isola di Inisherin).

Presentato in concorso alla mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel settembre 2022 (migliore sceneggiatura, migliore interpretazione maschile per Colin Farrell), il film ha ricevuto ben nove candidature agli Oscar e otto al Golden Globe 2023: anche in quest’ultimo caso la pellicola si è aggiudicata il premio per la migliore sceneggiatura e migliore attore protagonista. Il riconoscimento più prestigioso è stato indubbiamente quello di miglior film commedia o musicale: la categoria risulta con ogni probabilità inappropriata al genere del nostro racconto, ma le circostanze vedevano in corsa per lo slot più confacente – quello di miglior film drammatico – l’ottima opera autobiografica spielberghiana (The Fabelmans).

Le libere tracce di riflessione qui proposte non hanno certamente alcuna pretesa di esaustività: né rispetto alla complessità della trama e dell’intreccio, né allo spessore psicologico e introspettivo dei personaggi. La distanza temporale dall’uscita del film offre una maggiore libertà anche riguardo ai possibili elementi puntuali di spoiler: assumiamo con buona approssimazione l’ipotesi che il lettore interessato abbia già potuto gustare il film (nelle sale cinematografiche o sulle piattaforme). Per coloro che ancora non abbiano potuto vederlo, queste in-compiute riflessioni potrebbero contribuire a quell’accadimento imprevedibile cui alludevamo al principio dell’articolo: la cartolina proseguirà il proprio viaggio, verso dischiusure e disseminazioni di senso ben più feconde e arricchenti.

L’intreccio si impone, sin dall’ingresso in scena dei protagonisti, come misterioso e perturbante nella sua apparente semplicità del dipanarsi. Lo spettatore immagina a più riprese di essere sul punto di assistere finalmente a una svolta: all’emergenza improvvisa di un non detto, alla rivelazione di un pregresso noto al narratore ma non allo spettatore, di una via di uscita o di fuga.

Al contrario il dato iniziale dell’improvviso, imprevisto e inatteso conflitto tra i due amici senz’altra motivazione – apparentemente persino senza inconscio – si ripete e inabissa a cerchi concentrici, mise en abyme che tocca via via i registri della sorpresa, del dolore, della compassione, del paradosso, dello sdegno, del grottesco, della bassezza, dell’orrore; della disperazione, della follia, della coazione-condanna a ripetere. Travolgendo, oscurando e inabissando con sé persone, cose, esseri viventi.

La giornata di Padraic, di professione mandriano sull’isola di Inisherin a pochi chilometri dalla costa irlandese, inizia come tutte le altre: rasatura, sfogliatura del calendario. È il 1° aprile 1923. Un secolo esatto separa lo spettatore dall’inizio del racconto. Allora si combatteva la guerra civile anglo-irlandese; l’Italia da cinque mesi era entrata nel ventennio fascista; Adolf Hitler l’8 novembre successivo avrebbe tentato il suo primo (fallimentare) colpo di Stato a Monaco di Baviera. Assistiamo a una piccola storia di relazioni tra esseri umani, in un marginale angolo insulare di Europa: si dipana quasi del tutto ignara dei tornanti drammatici della grande storia dell’umanità, rappresentandone al medesimo tempo quasi un microcosmo.

Colm è lapidario con Padraic: “Non mi vai più a genio!” (I don’t like you no more). Da quel giorno in avanti, la birra consumata in comune a metà giornata – abitudine di una vita dei due amici – cesserà di essere un appuntamento quotidiano. Colm annuncia laconicamente al suo ormai ex-migliore amico che non ci sarà più dialogo, comunicazione tra loro. Padraic non si dà pace, ripercorre con la propria immaginazione tutte le ultime giornate: si domanda se una sua parola o espressione sia stata irrispettosa o offensiva nei riguardi dell’amico; se si tratti semplicemente di una “giornata-no” di Colm, o di un suo momento di acuta depressione (Colm soffre da tempo di “despair”). Arriva a ipotizzare perfino uno scherzo: è il 1° aprile! Niente di tutto ciò.

Colm apre il suo animo con la sorella di Padraic, Siobhán: donna intelligente, profondamente empatica e appassionata lettrice.
Le spiega: “Voglio usare il mio tempo per pensare e comporre, così da lasciare nel mondo qualcosa che non ci sarebbe stato se avessi passato il mio tempo a parlare di sciocchezze con un uomo limitato”.
“Non puoi chiudere con un amico così, all’improvviso!”, ribatte Siobhán.
“È noioso (dull), Siobhán”.
“Ma è sempre stato noioso. Cos’è cambiato?”
“Sono cambiato io. Non c’è più spazio per la noia nella mia vita. Non più!”.
“Ma vivi su un’isola davanti alla costa dell’Irlanda, cosa speravi di avere?”
“Un po’ di pace, Siobhán. Nient’altro. Un po’ di pace per il mio cuore. Tu puoi capirlo, vero?… Vero?”

La sera al pub Padraic cerca il confronto diretto con Colm: rivendica appassionatamente che l’unica realtà che abbia davvero valore nella vita e che possa essere ricordata anche oltre la morte è la gentilezza (niceness). Colm si limita a rispondere: “Music lasts, painting lasts, poetry lasts”. Ciascuno ha le proprie ragioni: Colm chiede “solo” la libertà di chiudere qui una relazione di amicizia durata una vita.

Dominic Kearney, ragazzo semplice ma buono d’animo, costantemente abusato dal violento padre Peadar – unico pubblico ufficiale dell’isola – comprende e confida a Padraic con la trasparenza e sincerità degli umili quanto Padraic si ostina a non volere riconoscere e accettare: “Ieri sera non sembrava che Colm avesse ricevuto una brutta notizia, ma che si fosse tolto un peso dalle spalle!”.

Intenso e diretto il dialogo fraterno tra Padraic e Siobhán:
“Sono davvero noioso Siobhán?”
“No, sei gentile”.
“Sono debole?”
“No”.
“Chi è il più debole dopo Dominic?”
“Non sono solita giudicare le persone in questi termini. C’è già abbastanza gente che giudica in quest’isola”.
“Ma provaci”.
“No, non ci proverò. Non sei debole, sei un brav’uomo. Quindi volta pagina! (So move on!)”

Invece no. Padraic non riesce a “superare”, a voltare pagina, a guardare avanti: non riesce a credere di potere ritessere un senso alla propria esistenza e relazioni umane dopo la separazione subita da Colm. Non può immaginare una vita senza il suo amico.

Colm, per compassione e umanità – ma senza alcuna intenzione di riallacciare i rapporti con Padraic – risolleva da terra l’ex-amico malmenato dall’agente Peadar Kearney (cui Padraic aveva rinfacciato gli abusi e violenze da questi compiute ai danni del figlio Dominic), e lo accompagna sino al bivio che segna l’imbocco del centro abitato (in cui campeggia accogliente una statua della Vergine). Toccato da questo gesto solidale di Colm, Padraic si illude che il rapporto con l’amico possa riprendere vita in modo insperato e inatteso. Questa illusione sprofonda il suo animo in un progressivo e sempre più acuto accecamento.

Da questo momento in Padraic, l’uomo che gli abitanti del villaggio avevano definito sinora con piena convinzione “un pezzo di pane (a good guy)” – pur se meno “riflessivo” (thinker) di Colm e della sorella Siobhán – iniziano a insinuarsi gli “spiriti dell’isola”. Quei banshees of Inisherin riecheggiati dagli oscuri presagi dell’anziana signora McCormick: oracoli di sventura e di morte, secondo le arcaiche credenze isolane.

Quel mattino Padraic esce di casa, offre casualmente un passaggio sul proprio carretto a Declan, uno dei giovani violinisti irlandesi che lo hanno soppiantato nella compagnia di Colm nelle allegre serate musicali al pub del villaggio. Corroso dalla gelosia, mente subdolamente al giovane: gli annuncia la falsa notizia di un gravissimo incidente potenzialmente mortale occorso al padre di questi. Declan, lacerato dall’angoscia, si precipita sul primo battello per lasciare Inisherin e fare ritorno in Irlanda. Il buon Dominic quella stessa sera, ascoltando dalla confidenza di Padraic il racconto della vicenda, gli dichiara con animo profondamente deluso: “È la cosa più meschina (mean) che ho sentita. Pensavo che fossi il più gentile tra loro. Invece sei come loro!”.

Gli eventi precipitano e il dramma assume progressivamente i caratteri della tragedia. La pulsione di morte, vendicativa e autolesionista, prende il sopravvento nell’animo dei due uomini: in quello che era stato “buono” (good) e in colui che era stato “riflessivo” (thinker).

Colm annuncia pubblicamente a Padraic in presenza degli abitanti del paese: “Non parlarmi, né infastidirmi più Padraic. Per ogni giorno che lo farai, mi taglierò un dito della mia mano sinistra da violinista e te lo darò”. Padraic stoltamente non “crede” alla minaccia del vecchio amico. Al contrario, Colm mette in atto la promessa fatta: progressivamente si auto-amputa le dita della mano. In questo modo perde anche la possibilità di realizzare il suo desiderio-vocazione: suonare il violino e comporre sonate che possano “restare” per sempre nel tempo.

Siobhán, che nel frattempo ha deciso di emigrare in Irlanda grazie al posto di lavoro trovato in una cittadina rifiorente di vita (anche per la ricchezza della diversità portata dagli immigrati spagnoli), inutilmente cerca di convincere il fratello Padraic a seguirla e abbandonare Inisherin. La donna, in preda all’orrore alla vista delle dita e della mano sinistra mozzate di Colm, una volta di più cerca il dialogo con l’ex-amico del fratello:

“Cosa vuoi da lui Colm? Per chiudere la cosa”.
“Silenzio Siobhán. Solo silenzio. Inisherin non c’entra. Un uomo noioso deve lasciare in pace un altro uomo”.
“Siete tutti noiosi. Con le vostre lamentele sul nulla”, ribatte Siobhán.
“Cerco solo di divertirmi (con la musica), mentre rimando l’inevitabile (la morte). Tu no?”
“No, io no”.
“Sì, anche tu Siobhán”.

La vicenda si avvita sempre più tragicamente, quando l’amata asinella di Padraic – Jenny – muore soffocata dopo avere fortuitamente ingerito una delle dita autoamputate dalla mano di Colm. Padraic annuncia pubblicamente a Colm il proprio proposito di vendetta: “Domani, Domenica, giorno del Signore (God’s day), verrò a casa tua e le darò fuoco, e spero che tu sarai ancora dentro. Ma non controllerò! Questa cosa morirà con noi. O con uno di noi comunque”.

Gli animali dei due protagonisti incarnano un ruolo molto significativo nella storia. Il cane di Colm, il cavallo e il bue di Padraic colgono quasi istintivamente la progressiva dis-umanizzazione dei loro padroni, ma sono impotenti a entrare nell’animo umano. Possono solo assistere e osservare: esprimere intelligente empatia e preoccupata vicinanza. “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui”, scrive Derrida. Sofocle fa recitare al coro dell’Antigone: “Molte sono le cose straordinarie, ma nulla lo è più dell’essere umano”. “Straordinario” (δεινότερον), secondo Salvatore Natoli, indica indissolubilmente qualcosa di prodigioso e di terribile: il “pericoloso” per antonomasia. Nulla è più “pericoloso” dell’uomo: sempre sulla linea dello sconfinamento, della perdizione (linea mai oltrepassabile dall’animale, guidato invece infallibilmente dal proprio istinto).

Alla fine, sconvolto da tanta violenza, sarà proprio il giovane Dominic Kearney a lasciarsi morire affogato nel lago dell’isola di Inisherin: il presagio di morte evocato dalla McCormick ha colpito il più debole, abusato, indifeso e sensibile d’animo. Padraic dà fuoco alla casa di Colm, non prima di avere con cura portato in salvo il cane di questi. Colm, tuttavia, sopravvive.

Se e cosa sussurrino alla nostra epoca queste voci degli spiriti – o dello Spirito? – proveremo a decifrarlo domani…

[1^ parte]

 

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