Anche in principio di Avvento l’invito di Gesù è pressante: «vegliate», «vegliate», «vegliate» (Mc 13,33.35.37). Per tre volte viene ripetuta l’esortazione già ascoltata nelle settimane precedenti. Perché «non sapete quando è il momento» (Mc 13,33), come nel caso delle vergini stolte; perché «non sapete quando il padrone di casa tornerà» (Mc 13,35), come nel caso del servo impaurito. Vegliate, dunque, perché «non vi trovi addormentati» (Mc 13,36), come Pietro Giacomo e Giovanni nell’orto degli ulivi.
Cosa c’è di meglio, allora, di un bel canto per destarsi – o per non essere vinti – dal torpore del sonno sempre incipiente, per svegliarsi da quel sonno dell’attenzione che genera illusioni mostruose e catastrofiche. D’altronde, nell’originale greco del vangelo, quel vegliate è la traduzione di gregoréite – espressione che mi ricorda sempre il canto gregoriano della Chiesa di Roma. Potremmo allora liberamente tradurre l’esortazione evangelica con un «cantate dunque», per poi proseguire con le parole di un altro (cantautore) romano: «svegliatevi italiani brava gente».
Chi dovesse stupirsi della scelta di farci accompagnare, in questo inizio di Avvento, dalle note e dalle parole di Alessandro Mannarino può accostare la denuncia di quest’ultimo – «qua la truffa è grossa e congegnata» – all’analisi di Luigino Bruni sulla sempre più evidente (e liturgicamente invasiva) «religione capitalistica». Consapevoli che, mentre domenica scorsa estraevamo dal vangelo emozioni che ci spingessero a prenderci cura dei piccoli, questa settimana troviamo in esso un surplus di ragione per insegnare ai piccoli come evitare di finire affamati, assetati, nudi, malati, migranti e infine carcerati.
Se per il cantautore romano, infatti, lo scandalo è che in tempi di «lavoro intermittente», quando «pure l’aria pura va pagata», «in giro giran tutti allegramente / con la camicia nuova strafirmata» e «pensan tutti alla prossima rata», l’economista cattolico sostiene che il Black Friday – insieme al (precedente) Halloween e al (successivo) Sol Invictus – tradiscono ormai una strategia sostituiva del cristianesimo operata da parte del «nuovo culto consumista».
L’aspetto drammatico di questo presente illusorio è che le sue conseguenze disastrose colpiscono proprio coloro che dovrebbero essere i destinatari della buona notizia natalizia: i poveri. «Questo paese s’è indebitato» – canta Mannarino. Ma ciò non comporta quella messa in circolo di ricchezza che aiuterebbe la crescita di benessere in un paese. Anzi, il resto della strofa – dal senso certo criptico – sembra evocare la rete degli usurai quale destino di tale indebitamento: «soldi pesanti d’oro colato / questo paese s’è indebitato / soldi di piombo soldi d’argento / sono rimasti sul pavimento».
In effetti – avverte Luigino Bruni – soprattutto nei popoli «legati all’etica della vergogna e al consumo vistoso» questa nuova «religione universale (cattolica) e popolare» spingerebbe il fedele consumatore «ad indebitarsi per far festa». Convincendolo, inoltre, di stare partecipando al banchetto escatologico senza fine, dove il Dio-impresa si sacrificherebbe (con «lo sconto permanente») a favore dell’idolo-consumatore. – Quale rovesciamento mostruoso! – chioserebbe Girard. Tanto più ingannevole perché in realtà, prosegue Bruni sulla scia di un’analoga critica settecentesca del Muratori, «i nuovi sacerdoti si arricchiranno grazie ai loro ‘sacrifici’ e i poveri saranno sempre più distratti e sempre più poveri».
Sembra quasi non vi siano speranze se l’inganno è cosi antico e se lo stesso Mannarino riconosce che, mentre «giran tutti a pecorone (…) in fila con le buste della spesa», non c’è «nessuno che ti sente / parli inutilmente». Anzi, identica sorte a cui è destinato il Battista – la «galera» – sembra toccare oggi a chi come «Giovanni grida solo per la via: / “fermatevi parliamo di poesia”»: «tutti vanno avanti / contano i contanti / minaccian di chiamar la polizia».
Eppure Mannarino riesce ancora a stupirci, ad elevarci: nel bel mezzo di un rigurgito anticlericale – «tutti a pecorone / sotto i precetti della madre chiesa / in fila in processione / in fila in comunione» – individua l’unica risposta possibile nei confronti di quella che Bruni, sulla scia di Benjamin, definisce «una religione di sola prassi, di solo culto, senza metafisica»: nel «silenzio di questa galera» consumistica – su cui ipocritamente «si passa la cera» e, sempre per nasconderla, «si spreca la luce» – resta la consapevolezza che «la poesia cosa leggera / persa nel vento s’è fatta preghiera».
Invocazione. Meditazione. Pensiero…poetante. Poesia…pensosa. Questo rimane.
Che possiamo vivere allora il tempo di Avvento (s)vegliando e cantando per tutta la notte – nonostante sia notte, proprio perché è notte – affinché venga alla luce (della mente) almeno il germoglio di un nuovo modo di essere e di vivere insieme grazie al quale, veramente, si riesca a non lasciare indietro nessuno.