Sono parole di semplice constatazione quelle che Pietro pronuncia all’evento della Trasfigurazione: «È bello per noi essere qui». Constatazione di un sentimento, di un bello vissuto e goduto e che si vorrebbe anche prolungato: «Facciamo tre tende» (più aderente a ‘tenda’ il termine greco σκηνή, recentemente reso in ‘capanna’, perdendo però l’immaginario della biblica tenda del deserto).
Quante volte, nel nostro vivere, abbiamo vissuto sentimenti simili a quelli di Pietro: «è bello per noi essere qui»: un incontro, un luogo, un momento diventano fonte di pace, quiete, bellezza, serenità, piacere. Potremmo forse sfogliare un album di fotografie, una cartella di immagini, una serie di fotogrammi della memoria, evocando quel «è bello per noi essere qui», come il discepolo di fronte alla manifestazione misteriosa del divino.
Tra tanti, il ricordo di un luogo si fa strada — seguendo quell’espressione di Pietro — e riguarda una delle più belle mete che abbia mai potuto toccare in montagna: le Pale di san Martino, al confine tra Veneto e Trentino. Una mattina di agosto, abbastanza presto, ero salito da san Martino di Castrozza fino al rifugio Rosetta; da lì, seguendo il sentiero che attraversa il magnifico altopiano dolomitico, avevo compiuto un giro ad anello, toccando il rifugio Pradidali, per poi tornare al punto di avvio.
Camminavo in solitaria, il sole si alternava alle nuvole, l’aria era fresca; lo spettacolo in cui ero letteralmente immerso, circondato da cime di maestà e splendore, mi lasciava senza parole. Rare volte ho goduto della vertigine della bellezza come in quelle ore, tra quelle pietre. Mi risuonavano le parole del Vangelo: «È bello per noi stare qui». La gioia sommessa di Pietro diveniva familiare, giusta, opportuna. Così le soste erano più per contemplare che per riprendere il ritmo del respiro e dare un poco di ristoro dalla fatica. Cime, rocce, colori: un paesaggio lunare di pietra mi accoglieva, nella sua durezza affascinante. Fermarsi, osservare, farsi parte di ciò che è attorno, apprezzare l’indugio: sono desideri che ognuno sperimenta di fronte a spettacoli altissimi.
Ammirazione, stupore, gratitudine. La ricchezza e l’assoluta bellezza della creazione lì mi si palesavano, facendo scaturire, spontaneamente, il profondo desiderio della permanenza, del prolungarsi dell’istante, del «bello è restare», quanto più a lungo possibile, dilatando il tempo esteriore in obbedienza al tempo interiore; la luce, nello svolgersi cangiante delle ore, era compagna di sguardo, di fronte all’essenza stessa della montagna: «Non monti, anime di monti sono / queste pallide guglie, irrigidite / in volontà d’ascesa» (Antonia Pozzi, Dolomiti).
(ph Sergio Di Benedetto)
Possono apparire massi, Monti pallidi, ma anche come la Croda rossa, o quel sasso che ho raccolto una pietra rossa, come quella fenditura rossa che si vede stagliarsi tra il grigio, così anche si è vista dopo una frana, anche una montagna di pietra sembra essere ferita che sanguina. Le Dolomiti sono una bellezza della Creazione, quando su un prato verdeggiante si elevano massi come le Odle, o il Putia, solenni in un paesaggio che come per il deserto il cielo sembra così ampio infinito vicino fondersi con la terra. La Trasfigurazione descritta dal Vangelo può avere in questa realtà di paesaggio montano somiglianza con il Tabor, monte di Gesù per pregare e dialogare con il Padre, una porta spalancata di quel Regno possibile a essere aperto anche ai comuni mortali. E’ poi così incredibile pensarlo possibile? La bellezza di prati non concimati, dove le api ancora trovano fiori cui cibarsi del nettare per il dolcissimo miele?sono realtà cui beare lo sguardo