Quanto vale il corpo?

Quanto vale il corpo?
9 Dicembre 2019

E’ il terzo anno che ho la classe. Il primo anno abbiamo speso il primo quadrimestre a provare a fidarci reciprocamente. Nel secondo purtroppo sono stato lungamente assente per malattia. L’anno scorso abbiamo approfondito la fiducia mettendola alla prova spesso con posizioni dialettiche e anche oppositive a volte. Quest’anno sono cresciuti nella capacità di ascoltare ed accettare anche idee diverse dalle proprie e fare lezione con loro è davvero bello e produttivo.

Alla fine del primo modulo sulla coscienza, legge, libertà, valori chiedono di poter applicare quanto visto al tema dell’omosessualità. Metto lì alcuni numeri, frutto delle ricerche a livello mondiale di ONU e LGBT+ di questi ultimi anni. Scoprono una inattesa sproporzione tra % solo etero (attorno al 90 e) % non solo etero.

Gianpiero da sinistra interviene secco: “Ecco, visto prof. il discorso sull’omosessualità è già chiuso”. Replico: “Oddio, veramente siamo solo all’inizio, perché dici questo?”. “Perché con una sproporzione così come si fa a dire che essere etero ed essere gay non fa alcuna differenza”. Si scatena la bagarre. Dal mezzo dell’altra ala della classe Diletta non ci sta: “Ma sei il solito! Cosa centrano i numeri con la tua voglia di discriminare i gay?” “Ma io non discrimino nessuno – ribatte Gianluca – se uno è gay che si viva pure quello che vuole. Dico solo che non può pretendere che la sua situazione possa essere considerata nello stesso modo di quella etero”. “E perché no?? – Annarita, tra il serio e l’ironico, arriva in soccorso di Diletta – Mica è una scelta sua e nemmeno una malattia. E allora perché li dovremmo trattare diversamente?”

Intervengo: “Gianluca non ha detto che devono essere trattati diversamente, … dimmi se sbaglio.” Lui annuisce. Riprendo: “Provo a tradurre con le mie parole il pensiero di Gianluca. Non si mette in discussione che una coppia gay possa vedere riconosciuto dallo stato la propria condizione di coppia, ma restano dei dati oggettivi che non consentono ad una coppia gay di poter raggiungere tutti gli obiettivi di una coppia etero”. “Ma allora anche lei prof. li discrimina! – Diletta sormonta con foga le mie ultime sillabe – Ma quali dati oggettivi?” “Beh, una coppia gay senza intervento artificiale non possono avere figli. E non è colpa loro, è una condizione naturale, è un dato oggettivo. Il corpo di un uomo non è fatto per entrare in un corpo di un uomo e generare un figlio”. C’è un attimo di silenzio e sui visi dei ragazzi riconosco che sentono ciò che dico innegabile.

Poi Annalisa riparte: “Ma prof. ma il corpo è così importante? Proprio la religione dice che quello che conta è l’anima. Che senso ha dare così importanza al corpo?” “Eh, Annalisa – rispondo – se per religione intendi il cristianesimo, allora devo dirti che su questo la religione ha sbagliato parecchio. Per secoli abbiamo detto che quello che importa è l’anima, dimenticandoci invece che Cristo è risorto nel suo corpo, che a messa mangiamo il suo corpo risorto e che tutti noi dopo la morte risorgeremo con il corpo. Purtroppo su questo il cristianesimo deve recuperare una parte molto importante delle sue radici. Perché ciò che si vive nel corpo ha sempre a che fare con l’anima, non sono due lati separati dell’essere umano, ma due punti di vista globali su di lui”. Il silenzio diventa palpabile e pure la loro sorpresa.

“Perché fate quelle facce, cosa vi stranisce di questo?” “Ma prof. – ancora Diletta – io non ha mai sentito dire da un prete che il corpo sia così importante, Boh, mi sembra strano”. “Posso capirlo Diletta, ma ti assicuro che è così e purtroppo, alcuni preti su questo non conoscono sufficientemente la teologia. E il bello della faccenda è che molti di voi hanno la stessa considerazione del corpo di quella di questi preti: uno strumento per vivere e basta. Il prete lo intende come strumento spesso da tenere a freno o da sacrificare, voi lo ritenete spesso come la sala giochi di tutti i vostri desideri.

E ipotizzate che ogni desiderio sia un diritto, che perciò debba per forza essere riconosciuto da uno stato che deve permettervi di fare ciò che volete. Faccio un esempio che non centra nulla, ma per capire. Tu puoi drogarti e questo non è reato di per sé, perché lo stato non può permettersi di decidere quali sono i tuoi desideri buoni e quali no. Poi però, quando stai male per questo, chiami lo stato e gli chiedi di curarti, pensando che uno stato democratico debba lasciarti fare quello che vuoi fino a che non fai male agli altri, ma poi deve intervenire a “sistemare” gli effetti dei tuoi errori. Non vi sembra sia un po’ contraddittorio?”

Mi ha colpito soprattutto la chiarissima messa in discussione del “peso” del corpo al fine di salvare ad ogni costo il dogma culturale della volontà del singolo, eretta a fondamento esclusivo e assoluto dei diritti della persona. Quanto siamo stati bravi come cattolici a depauperare il valore del corpo e delle sue indicazioni, tanto da trovarci oggi a fare i conti con una deriva che noi stessi abbiamo contribuito fortemente a rendere possibile?

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