“Ma cosa preghi a fare? Tanto le cose non cambiano …”
Lei solleva gli occhi, il fazzoletto in una mano e il rosario nell’altra: “Forse è vero, forse pregare non cambia le cose. Di certo cambia me”.
Si è riaffacciato oggi alla memoria, vivido, questo dialogo a cui ho assistito molti anni fa, durante uno di quei giorni difficili che possono segnare la vita di una grande famiglia. E’ in tali momenti, in cui preghiera e lacrime facilmente si intrecciano, che emerge con particolare forza la domanda sul male, e sull’azione – o sul silenzio – di Dio di fronte ad esso: “Le lacrime sono il mio pane di giorno e di notte, mentre mi chiedono sempre: ‘Dov’è il tuo Dio?’ (Sal 42,4)”.
Però, che quell’intreccio dolente potesse essere posto al cuore di una liturgia voluta e guidata dal papa, confesso che non lo avrei immaginato. Fino ad oggi.
Oggi papa Francesco presiederà, in San Pietro, una Veglia di preghiera con lo scopo dichiarato di “asciugare i volti rigati dalle lacrime di una sofferenza fisica o spirituale portando consolazione e speranza”: così Consolare gli afflitti diventa Asciugare le lacrime, e l’opera di misericordia spirituale prende corpo, si fa gesto comunitario, corale, coinvolgente. La sua realizzazione non è più solo voluta, ma invocata, chiedendone la forza allo Spirito del Risorto.
Alla radice di questa proposta liturgica, che trovo semplicemente bella, mi sembra possibile individuare almeno due motivi cari a papa Francesco:
1. la fiducia nell’efficacia materiale della preghiera
Può sembrare un controsenso parlare di efficacia materiale di una prassi spirituale. O può sembrare, all’opposto, una visione ingenuamente miracolistica, per cui alla preghiera corrisponderebbe automaticamente una trasformazione delle cose. In realtà l’affermazione va compresa in maniera più articolata, ma paradossalmente anche più semplice.
Le dieci intenzioni di preghiera che saranno proclamate stasera ne sono uno splendido esempio: esse sono ritmate con l’invocazione all’intervento di Dio affinché, mentre consola gli afflitti, non manchi di convertire i cuori. È quasi un duplice versante, la storia degli oppressi e la storia degli oppressori vengono assunte e poste in dialogo, facendo emergere fiducia nel Consolatore ma anche concretezza di responsabilità, e possibilità di azione personale: non siamo invitati solo a pregare perché il Signore dischiuda la salvezza da fuori e dall’alto, ma anche perché agisca in noi rendendoci capaci di collaborare con Lui a cambiare le cose da dentro e dal basso.
Ed è in questa direzione che è possibile sperimentare la potenza trasformatrice della preghiera, che agisce come veicolo di bene dapprima nella coscienza, e poi nella vita di ciascun singolo: “Pregare cambia me”, mi apre alla vocazione ad agire, per quanto possibile qui e ora, per rendere il mondo un pochino migliore di come l’ho trovato, fosse anche solo passando un fazzoletto su un volto rigato dal pianto.
2. la pedagogia delle lacrime
Francesco era papa da appena venti giorni quando parlò della grazia delle lacrime:
“possiamo anche noi domandare al Signore la grazia delle lacrime. È una bella grazia. Una bella grazia. Piangere è frutto di tutto: del bene, dei nostri peccati, delle grazie, della gioia pure; piangere di gioia! Quella gioia che noi abbiamo chiesto di avere in cielo e che adesso pregustiamo. Piangere. Il pianto ci prepara a vedere Gesù”.
Alle lacrime egli attribuisce una forte carica simbolica: sono sempre segno di qualcosa di grande, gioioso o doloroso, un traboccare del nostro sentire più profondo, capaci di purificare lo sguardo quasi ‘battezzando’ i nostri occhi per aprirli a una luce nuova, fino a prepararli a vedere Gesù.
Ma se piangere dischiude i nostri occhi, possiamo inferire che prestare ascolto alle lacrime dei fratelli sia una scelta capace di dischiudere i nostri orecchi? Quanto feconda potrebbe essere un’azione di cura per la nostra capacità di ascolto degli altri, attraverso cui spesso ci raggiunge la voce dell’Altro?
Questa prospettiva ha un risvolto pedagogico molto ricco: quanto potrebbe incidere sulle relazioni amicali, familiari, ecclesiali, un’azione educativa volta non tanto ad esprimersi con il pianto, quanto tesa a far riconoscere il significato del pianto, nostro ed altrui?
Che le lacrime possano fungere da guida e rinviare ad una realtà più grande lo conferma un ulteriore elemento: alla Veglia sarà possibile venerare il reliquiario della Madonna delle Lacrime di Siracusa. Viene offerto ancora un segno concreto, un rimando alle lacrime di Maria, in cui i fedeli sono invitati a vedere amore materno e partecipazione alle vicende dei figli.
Toccare le lacrime per riconoscere l’amore, quindi; così come asciugare le lacrime per esprimere l’amore: in ogni caso, la Veglia propone una preghiera alla prova del corpo, personale ed ecclesiale.