Escorial, dove si manifesta la fugacità della vita

Geografie della Parola /7: nell’enorme monastero dove sono sepolti i sovrani di Spagna, il ricordo di una domanda evangelica che sfuoca l'illusione e ristabilisce il valore di ogni esistenza.
12 Agosto 2023

«Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?» (Lc 12,20): è una domanda forte questa del Vangelo, una domanda che scoperchia il desiderio di non considerare la fine della vita, di ignorare la morte e quello che essa porta con sé, inevitabilmente. Ed è una domanda che ho sentito echeggiare non poche volte in me, ma soprattutto in un luogo che è un ossimoro, emblema massimo di potere e di austerità, di forza e di umanissima fragilità, ossia l’Escorial, l’enorme monastero fortezza edificato a qualche decina di chilometri da Madrid. Voluto da Filippo II nel secolo dell’apogeo spagnolo, quando Madrid governava buona parte del mondo, il grandissimo complesso è stato ambiente di governo e di preghiera, di spiritualità austera, dura, cupa anche — in accordo con parte di quella stessa cultura dell’ossimoro che fu il Barocco – e di direzione del mondo. Là, nel cuore dell’enorme struttura, si trova la cripta dei re di Spagna, dove i sovrani sono stati sepolti in arche semplici, tutte uguali, senza distinzione di monumento. «E quello che hai preparato, di chi sarà?»: Carlo V, l’uomo che estese il suo potere su più continenti, colui che governò un impero immenso “dove non tramontava mai il sole”, che tenne in mano il destino del mondo; e poi Filippo II, e così via, per secoli, sovrani e consorti, tutti uguali di fronte alla morte, tutti racchiusi in tombe semplici, senza orpelli speciali e unici che designino il maggiore o minore prestigio del corpo custodito.

Lì, più che nella famosa cripta dei Cappuccini di Vienna (dove regna un simile senso di morte, forse ancora più oscuro e umido, pur nelle notevoli differenze di monumento, come ricordò benissimo Joseph Roth), mi si è fatto incontro il comune destino di ogni persona, l’inevitabile chiusura di ogni esistenza, e il monito evangelico a non ignorare il termine, a non vivere come se la parabola di ognuno dovesse procedere all’infinito: «Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Eredità e potere, forza e potenza, tutto è chiamato farsi da parte: su cosa giocare la vita, nei ruoli, nei momenti, nelle scelte di singoli uomini o donne?
Un senso di paura più che di abbandono serpeggia per i corridoi dell’Escorial, in accordo con la spiritualità del tempo.

Alta la domanda evangelica si manifestava nella cripta reale dell’Escorial, dove domina un crocifisso scuro: la risposta è nella coscienza di ognuno, data con maggiore o minore serenità, angoscia, rassegnazione, fede, verso là dove ricapitolazione e bilancio, lascito e timore, mistero, speranza o disperazione attendono ognuno, nella consumazione del tempo: «per possedere ciò che non possedete / dovete andare per la via della privazione.  / Per arrivare a quello che non siete / dovete andare per la via in cui non siete» (Thomas S. Eliot, Four Quartets, East Coker).

(ph Sergio Di Benedetto)

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