A Greccio, il piccolo del Regno dei cieli

Geografie della parola/3: in cammino da Assisi a Roma, una sosta a Greccio, per ricordare il senso concreto di una voce in lode dei piccoli.
15 Luglio 2023

«Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4): c’è un luogo che più di altri mi ha rivelato il senso di questo versetto evangelico, ed è Greccio. Come è noto lì, a Natale del 1223, Francesco mise in scena il primo presepio, rievocando tanto nelle parole quanto nei gesti quanto accadde a Betlemme di Giudea alla nascita del Bambino Gesù: «In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà» (così annota Tommaso da Celano nella sua prima biografia del santo). Arrivavo a Greccio a piedi, in cammino da Assisi a Roma, e il piccolo borgo era sul percorso, suggerito anche come luogo di sosta e riposo.

Il santuario di Greccio è incastonato nella roccia, si arriva dai boschi, dall’alto per chi giunge camminando dall’Umbria, e ci si trova all’improvviso di fronte alla chiesa, con il complesso del convento.

Il luogo in cui, secondo la tradizione, Francesco ha allestito la scena natalizia e su cui è stato edificato l’eremo è semplice, piccolo, con un affresco della Natività in cui Maria allatta il Bambino: una grotta divenuta luogo di preghiera, dove alla sera, quando i visitatori lasciano la chiesa, diviene suggestivo spazio di silenzio e preghiera. «Chiunque si farà piccolo…»: poche parole che lì assumono un senso concreto, pratico, non metafisico: un Dio Bambino, un santo che ha fatto della piccolezza vera, nei gesti, il segno della vita cristiana, a imitazione appunto del Cristo incarnato.

Lì si possono gustare e percorrere le personali vie della piccolezza, di fronte a quella, unica e profondissima, scelta da Francesco. Ognuno è chiamato a trovare la sua misura, perché la sequela è farsi, in cammino, «piccolo come questo bambino»; certo, sono parole pronunciate da Gesù adulto, ma dall’inizio della vicenda del Figlio la cifra è quella dell’umiltà, della piccolezza. Non dovremmo dimenticare che umiltà deriva da humus, terra: è una dimensione che portiamo con noi, quella terrestre, e che è benedetta perché scelta da Dio nel mistero della sua Incarnazione, che troppe volte abbiamo quasi ignorato.
La sequela è partire da ciò che è piccolo perché è lì che si schiude la grandezza del Regno dei cieli: tendiamo a dimenticarlo, ma quella è la dimensione del Vangelo.

Lì, come il poeta, si può sfiorare il piccolo farsi grande e il grande farsi piccolo: «Io ritrovo, passando, l’infinito dell’umiltà» (Umberto Saba, Città vecchia).

 

(ph di Sergio Di Benedetto)

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