“Tutte le cose che ho perso. Storie di donne dietro le sbarre”, edito da Villaggio Maori Edizioni, è il nuovo libro di Katya Maugeri, giornalista catanese, interamente dedicato alla lettura di genere del fenomeno carcerario, con un focus sulla detenzione al femminile e con un approccio nuovo: le storie autobiografiche, ciascuna scandita dal numero di cella, sono raccontate in prima persona e rendono le detenute soggetto e non oggetto della ricerca sociale.
«Sono storie – si legge nell’Introduzione – che ruotano intorno al poco interesse verso l’abisso di questa dimensione. Un non tempo che ti costringe a contare le mattonelle della cella, a introdurre riti scaramantici e abitudini che non appartengono a un tempo definito, scandito da ore. Sono lancette che ruotano in senso contrario, bizzarro, difficile da comprendere per noi, esseri umani liberi, che viviamo una quotidianità lontana dalle restrizioni. Sono donne che hanno vissuto la loro detenzione tra le mura della Casa circondariale di Rebibbia».
Attraverso testimonianze forti e suggestive, si passa all’analisi di argomenti inediti che sono un grido di denuncia sociale: impossibile continuare a ignorare la peculiare realtà carceraria femminile in Italia senza dar voce a chi la vive in prima linea. Una delle funzioni privilegiate del giornalismo è proprio quello dell’inchiesta sociale, specie quando da essa possano sorgere vere e proprie indagini su aspetti da troppo tempo sottaciuti o assimilati a fenomeni più generali, creando emarginazione e discriminazioni a più livelli, a partire da quella di genere.
Questo libro si fregia della prefazione del magistrato Francesco Maisto, Garante dei detenuti del Comune di Milano, che scrive: «Katya Maugeri, muovendo dalla domanda “Perché varcare la soglia di queste vite?”, ci propone un percorso introspettivo all’interno di solitudini intrise di rabbia, un desiderio di riscatto con il retrogusto amaro della sconfitta. Bastano le voci narranti di sette “celle” per capire che “le donne non smettono mai di raccontarsi”». Nella postfazione, la sociologa Eleonora de Nardis afferma: «Nei penitenziari italiani le donne sono 2392, appena il 4 per cento del totale della popolazione carceraria. Hanno un livello di istruzione medio-basso e circa un terzo sono di origine straniera. È questo lo spaccato che emerge dal primo rapporto esclusivamente a loro dedicato dall’associazione «Antigone» e presentato in occasione dell’8 marzo 2023. Così, leggendo i numeri, sembra quasi di poterle visitare queste quattro carceri femminili, le uniche in tutta Italia, Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia, che ospitano 599 donne, pari a un quarto del totale. Le altre 1779 donne sono invece distribuite nelle 44 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili, create per ottemperare al diritto a scontare la pena in un carcere prossimo alla famiglia e ai propri riferimenti sociali. E sono questi numeri a indicare le priorità per il miglioramento della situazione delle donne in carcere. Perché, se la bassa incidenza statistica sul totale della popolazione detenuta potrebbe far illudere su una maggiore attenzione istituzionale nel costruire percorsi di reinserimento sociale ad hoc, nella pratica far parte anche tra le sbarre di una minoranza si traduce invece in una causa di ulteriore discriminazione».
“Tutte le cose che ho perso. Storie di donne dietro le sbarre” è un lavoro che vuole tracciare un percorso sul quale riflettere: una minoranza (in termini di percentuale) non può e non deve significare poca attenzione, anche se «macchiate» e non «pure», anche se spezzate e in penombra. Sono vite e, anche sottovoce, è importante saperle ascoltare.