Quattro amici di Haifa, poi trasferitisi a Tel Aviv, e ogni quattro anni un mondiale a cui ritrovarsi: l’occasione per riallacciare i rapporti che si erano sfilacciati, ma anche perché «così il tempo non diventa un blocco unico, e ogni quattro anni ci si può fermare a vedere cos’è cambiato» (p. 302), come dice tutte le volte il protagonista e voce narrante, Yuval, che ama filosofeggiare più degli altri. Un’occasione di incontro in cui, per gioco, scrivere i propri desideri su un foglietto, per vedere se a distanza di anni si saranno realizzati o meno. Un’occasione che scandisce il tempo della vita: ed è davvero una vita intera quella che Eshkol Nevo ne La simmetria dei desideri (2008, ristampato nel 2022 per Beat Edizioni) ci fa seguire attraverso gli occhi di Yuval, in un romanzo di formazione contemporaneo. L’amicizia tra Yuval, Amichai, Ofir e Churchill inizia, infatti, nell’adolescenza e ha la forza, inconsueta e rara, di durare nel tempo, fino all’età adulta, attraverso le vicende di chi sembra non cambiare mai e di chi inverte bruscamente rotta, di chi sembra avere davanti a sé una strada tracciata – salvo poi incappare senza preavviso nei rovesci della vita – e di chi invece una direzione sembra non riuscire a trovarla. Proprio Yuval, attraverso i cui occhi, inevitabilmente parziali, rileggiamo questa storia, è il personaggio che più fatica a trovare una sua strada, a realizzare le sue ambizioni e i suoi desideri. Annaspa alla ricerca della donna giusta e, credendo di averla trovata e poi perduta, ne insegue il fantasma; annaspa nel tentativo di realizzare le sue aspirazioni, come la laurea in filosofia, che non consegue lasciando incompiuta la tesi; annaspa nell’affrontare con decisione le difficoltà delle relazioni con la sua famiglia, ma anche con gli amici storici. Tutto questo brancolare alla ricerca di una direzione, assieme a una grande generosità, ci fa affezionare a lui e, in un mondo dominato dalle relazioni liquide e dalla difficoltà a fare scelte radicali di vita, ci fa immedesimare in lui. Ma anche le vite, apparentemente più lineari degli amici (le vite degli altri che, osservate da fuori, possono apparirci autostrade di luce, mentre brancoliamo nel buio) si scoprono irte di difficoltà e cadute, di passi avanti e brusche interruzioni o battute in ritirata: questi desideri che ci abitano, li avremo poi messi davvero messi a fuoco? sembrano chiedersi e chiederci i protagonisti.
Come spesso accade nella vita, poi, è sufficiente un breve attimo, un’intuizione, un granello di sabbia che sblocca il meccanismo inceppato, a far ripartire la vita e a darle velocità, fino a esiti imprevedibili. Scoprire, infatti, che i desideri non vanno inseguiti come ossessioni, ma hanno una loro simmetria (quale sia, lascio al lettore scoprirlo), e richiedono talvolta un passo di lato (non indietro) basterà a Yuval per imboccare una nuova strada, senza dimenticare che ogni passo di avvicinamento è stato prezioso e insostituibile. Come infatti scriveva nella sua tesi, rimasta incompiuta, «questo lavoro non verterà sulle teorie ordinate e conosciute dei vari filosofi, bensì prenderà in considerazione i loro momenti di confusione, i momenti di perplessità intellettuale ed emotiva. Non solo perché è possibile rinvenirvi frammenti di toccante umanità, ma anche in base al presupposto che proprio lì, nell’incespicare, nel pentimento a posteriori, nell’incertezza che porta al cambiamento, si può forse trovare la chiave alla comprensione della vera natura del pensiero» (p. 92). Ed è toccante davvero l’umanità di questi personaggi, il loro incespicare che è sempre kairòs per il cambiamento.
Di Eshkol Nevo non si può non apprezzare la delicatezza nel raccontare l’animo dei suoi personaggi, ma, in questo romanzo, anche l’insinuarsi nelle loro vite e nelle loro storie della Storia, quella di un paese, Israele, dalle mille contraddizioni: seguiamo così i quattro amici nel servizio militare che sono tenuti a svolgere nei territori palestinesi occupati, la vergogna e il senso di colpa nell’assistere e partecipare a soprusi gratuiti contro i palestinesi, la militanza di Ilana, moglie di Amichai, – personaggio secondario ma quanto mai prezioso – a favore di questi ultimi; ma anche la presenza dell’ebraismo ortodosso con le certezze e sicurezze che riserva agli affiliati, e con le sue durezze verso chi se ne allontana. Un quadro realistico di un mondo complesso, le cui sfide quotidiane fatichiamo forse ad immaginare.
Anche questo romanzo, come gli altri, si apre con un espediente caro all’autore, che sembra prendere le distanze, e invitarci a fare lo stesso, davanti al racconto-confessione dei suoi personaggi: ciascuno si racconta e l’oggettività assoluta, quando si entra nelle pieghe della vita, è un’illusione. In questo varco non oggettivo, la scrittura, a differenza della traduzione, a cui Yuval ha dedicato gran parte del suo tempo, offre però opportunità nuove: «Da traduttore sei legato al testo originale con le catene della fedeltà, mentre qui invece…qui è permesso tradire. Scambiare lo zio con il papà. Un amico con un altro. Inventare intere conversazioni che non ho mai sentito. Mentire. Vendicarmi delle persone attraverso le mie parole. Ma anche perdonare.» (p. 320).