“Ma non lo vedi?”

Un pomeriggio con un'attività molto concreta intorno all'albero di Natale. E una domanda e risposta di quelle che solo i bambini sanno tirare fuori
13 Dicembre 2013

“La fede e’ un dono di Dio, ma e’ importante che noi cristiani mostriamo di vivere in modo concreto la fede, attraverso l’amore, la concordia, la gioia, la sofferenza, perche’ questo suscita delle domande, come all’inizio del cammino della Chiesa: perche’ vivono cosi’? Che cosa li spinge? Sono interrogativi che portano al cuore dell’evangelizzazione che e’ la testimonianza della fede e della carità” (papa Francesco ai Vescovi, 14-10-13)

Mi mancano i bambini. Stare con loro e tra loro è davvero arricchente.

Me ne sono resa conto ancora una volta durante un pomeriggio fuori-programma. Mi aveva chiamato Gabri per un’emergenza: la catechista con cui di solito condivide il lavoro è malata.

“Potresti venire anche tu domani? Avevamo programmato un’attività molto concreta per il Natale, mi basta che mi aiuti a mantenere un po’ d’ordine, organizzare le cose…” Naturalmente ho accettato. Si tratta di venti bambini di sette anni: tra astucci e cartelline, colori colla e forbici, giornali da ritagliare, se a seguirli non siamo almeno in due il rischio-caos è assai reale.

Una delle sfide che affrontiamo sempre, in questo periodo dell’anno, è  il tentativo di condurre i bambini a mettere in discussione l’aspetto consumistico del Natale, che spesso pare fagocitarne tutte le dimensioni. Offriamo solo piccole provocazioni, ma speriamo che qualche segno lo lascino.

Le catechiste hanno quindi pensato di chiedere ai bambini di sistemare dei doni su di un albero di Natale: sotto dovranno essere messi i doni che si scartano, mentre in alto, sui rami e fino alla punta, i doni che non si scartano.

È una prospettiva interessante. La prossima settimana si farà una piccola ripresa dell’attività, sottolineando il duplice senso della parola ‘scartare’. I doni a cui si toglie la carta sono anche i doni che sono destinati ad essere prima o poi abbandonati, buttati via, consumati, scartati, appunto. Invece i doni a cui non è necessario togliere la carta (un abbraccio, l’amore dei genitori, un gesto di aiuto o di perdono, sopra tutti Gesù che nasce) restano, non vanno perduti.

Oggi quindi si tratta di lavorare con le mani, e a loro piace molto. Ritagliano, incollano, impacchettano, sottolineano quello che amano e quello che invece li annoia, sono sorprendenti e curiosi, domandano un sacco di cose: “Ma tu, Gabri, hai studiato tanto per diventare catechista, vero?” chiede Lucia.

Io faccio finta di niente e mi avvicino al gruppetto. Mi fa molto piacere questa osservazione, la percezione dei bambini che essere catechista sia un ruolo che richiede preparazione dice di un cambio di prospettiva su questo servizio:  fino a qualche anno fa molti sembravano pensare che chi era catechista dovesse semplicemente dedicare un po’ di tempo da alla parrocchia, mettendo a disposizione la propria buona volontà e poco altro.

Senza dare il tempo alla catechista di rispondere, i bambini continuano a discutere tra loro; interviene Isabella, sicura: “Sì che ha studiato, come faceva sennò a sapere tutte queste cose?”

Lucia insiste: “Ma perché hai studiato e fai la catechista?”

Isabella sembra spazientita, sbuffa e poi esclama: “Ma non lo vedi? A lei piace tanto parlare di Gesù!”

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