Credere è proprio difficile, se Gesù deve tornare tante volte dai suoi apostoli e dai suoi discepoli perché possano prendere atto del fatto che lui è vivo e riescano finalmente a credere. Nella seconda domenica di Pasqua la liturgia domenicale ci ha proposto l’incontro con Tommaso, in questa terza domenica dell’anno B ci fa leggere il brano del Vangelo in cui Luca racconta un altro ritorno, che avviene dopo quello con i discepoli di Emmaus (Lc 24,35-48).
Quello di Gesù è un ritorno in una comunità: si ferma in mezzo a loro, si mescola con questi suoi uomini che proprio non riescono a fidarsi di lui, e di conseguenza sono così sconvolti e pieni di paura che credono di vedere un fantasma. È nella comunità che possiamo incontrare Gesù nella sua pienezza di anima e corpo, spirito e carne. È nella comunità che possiamo superare il pericolo di confondere Dio con una nostra personale proiezione, un’immagine che ci siamo creati da soli, un fantasma che la nostra fragilità ci propone.
Ma Gesù non è un fantasma e non è neanche solo spirito: è carne, corpo, fisicità. Perciò fa due cose: come aveva fatto con Tommaso, invita i suoi a toccare le piaghe; poi mangia del pesce con loro.
Non è nella gloria che si fa riconoscere, ma nella sua fragilità, nella debolezza. Avrebbe potuto apparire scendendo dal cielo in uno scenografico trionfo di luce e di angeli, e invece compare in mezzo a loro mettendo in mostra le proprie piaghe. Non se ne vergogna, come non si vergogna della morte in croce, che pure allora era considerata infamante. Questa immagine dovremmo ricordarcela, perché ha molto da dire a ciascun credente: i cristiani non si riconoscono dalla forza, ma nella fragilità. Non sono superuomini, ma uomini e donne, persone che sanno di essere fragili, ma sanno anche che Cristo è risorto. ED è questo che dà loro la forza di farsi carico della propria debolezza.
Riconosciuto Gesù, scoppia la gioia dei discepoli: una gioia così improvvisa e così forte, che impedisce loro di credere. Che strana incongruenza: prima non credono e quindi sono sommersi dalla paura, adesso sono sommersi dalla gioia e quindi non credono. Anche questa è fragilità.
E allora Gesù compie un gesto di condivisione, il più semplice e quotidiano possibile: mangiare quello che loro hanno lì, pronto. Non il cibo di un lussuoso banchetto, ma quello della quotidianità. Ci vuole un gesto di condivisione per aprire il loro cuore e liberare la fede, e d’altra parte sono proprio i gesti più semplici che spesso ci fanno capire che quella persona – un amico, il coniuge, un genitore, il parroco, Gesù – è proprio qui, è davvero con noi, in carne ed ossa, ma anche con il cuore e lo spirito. Che c’è davvero nella nostra vita.
Dopo aver aperto i cuori, Gesù apre le menti, invitandole a ricordare e ad ascoltare la Sacra Scrittura: come i discepoli, anche noi, oggi, possiamo cogliere meglio il senso della Scrittura, grazie alla morte e resurrezione del Cristo.
Infine, Gesù ripete loro il mandato: predicare a tutti i popoli «la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Proprio così: cominciando da Gerusalemme, cioè dalla città santa, perché i pagani non abitano luoghi lontani, sono anche qui, in casa nostra. Viene in mente il proverbio che dice: «Quando a Roma ce s’è messo er piede, resta la rabbia e se ne va la fede». Anche i pagani di Gerusalemme – come quelli di Roma, e quelli di tutti i popoli – aspettano la nostra testimonianza della Resurrezione.
Il Cristo non è lontano, ma bensì, è alla porta del cuore di ognuno e bussa;
è ancora alla ricerca di discepoli e li chiama a seguirLO, ma tanti non odono;
troppo impegnati nei loro affari, vizi e peccati
I veri discepoli come gli apostoli, sono coloro che sanno di essere dei peccatori immeritevoli, e che di conseguenza ,credono che Gesù è si il Cristo, ma soprattutto è il Figlio di Dio, che è morto e risorto per i loro peccati.
Prima di seguirLO, LO cercano nel bisogno di essere perdonati; bisogno di salvezza, pace, riposo e solo allora saranno Suoi testimoni e Suoi servitori.
Senza un incontro reale col Cristo, si è senza Vita, sterili e investiti di nulla
Mentre i discepoli, ad imitazione della chiesa del primo secolo, credono in Gesù, fanno di lui il loro Salvatore,
facendo altresì loro le parole del maestro, di riconoscerlo davanti al mondo , quale Lui è, il loro Signore, il Figlio del Padre.
Riflettendo sulla sua morte, la dicitura posta sulla croce, che i giudei volevano censurare, è il reale motivo della condanna di Gesù: non è quello che ha detto o fatto ma ciò che lui era per il popolo ebraico, il messia o un loro re per le autorità, dove l’unica sua “colpa” invece era di essere figlio di Dio e fare la sua volontà.
La motivazione letta sul suo patibolo è la condanna stessa dell’esistenza dell’uomo ad un’estenuante volontà di essere, dove il peccato è legato al sé, anziché fare riconoscendosi figli di Dio e discernendo il peccato da sé.
…e non per timidezza, se noi ancora oggi dopo 2000 anni di provata esistenza attraverso migliaia di uomini santi, di miracoli, di presenza di Maria la madre, abbiamo chiese vuote, abbiamo “timidezza”? a confermarci nella Fede in Lui senza ribattere che la vita ci è stata data da un Dio a coloro che,oggi si rivolgono alla studio della materia e all’astrofisica per sapere da dove veniamo, che non la salvaguardiamo abbastanza quando nei ns. simili ammalati, in umano stato di povertà, la cui vita sembra diventata da immolare con meno valore rispetto a un’arma sofisticata e per questo coso sa! Si lamenta penuria di nascituri e si riconosce diritto di abortire vite umane! Le guerre stanno facendo prosperare un mercato è una follia distruttiva ottenebra la mente per odi reciproci, ma intanto chi subisce sono cittadini, popoli inermi o resi convinti a essere sacrificati. Cristo è venuto ma, questa foschia ci ottenebra la vista. Confidiamo come gli apostoli nel saperlo vicino
Gesù Cristo, il Giusto. Chi dice :” lo conosco” e non osserva i suoi comandamenti, e bugiardo. Vale anche per il nostro oggi questo ammonimento di Giovanni. Che sia venuto lo conferma 2000 e più anni di storia vissuta dalla sua Chiesa, e che i suoi comandamenti oggi siano da tanti ignorati e la realtà. E’ comprensibile che i suoi apostoli dopo averlo visto appeso alla croce- morto, dubitino nel rivederlo cambiato e vivo ma sempre la stessa persona, passare attraverso porte chiuse, mangiare e farsi toccare per convincerli che è sempre lui, il suo vissuto aveva uno scopo, rinnovare il mondo e come se non attraverso quegli uomini che gli avevano creduto? Se non continuare alla sua reincarnazione attraverso di loro. In rispetto anche della loro libertà a accondiscendere a questo progetto del Padre, attirare tutti gli uomini a se. Hanno tutta la ns. comprensione ad apparire titubanti.