Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate, celebre verso dell’Inferno dantesco, era come un’insegna sulla porta della mia aula negli anni del liceo; quotidianamente ci ricordava dove ci trovavamo e dove stavamo andando, ma ciò non ci faceva esitare dal varcare l’ingresso (eccetto in occasione di qualche compito in classe!), anche perché lo avevamo posto noi là per un tributo al Sommo Poeta, per esorcizzare la paura di certe ore infinite, e per darci un tono a scuola tra le altre classi che iniziarono ad imitarci. Oggi, nei giorni in cui l’anno scolastico comincia per tutti, le ombre scure della guerra, della crisi energetica e lo strascico pandemico possono farci temere la città dolente in ogni entrata degli istituti, la perduta gente nei compagni, nei docenti, nel personale, così come l’etterno dolore per le incertezze quotidiane. E come si fa a mantenere la speranza in questo girone infernale? La speranza ha sempre un volto che ci si fa accanto come Virgilio per Dante: sarà un compagno di classe o magari un prof., ma il volto potrebbe essere anche il nostro per gli altri!
Noi siederemo ad uno stesso banco riordinando i libri a quando a quando,
e rileggendo un compito, e guardando sul tavolino un grande foglio bianco…
Questi versi di Marino Moretti, tratti dalla poesia “Compagni di banco”, sono attuali in questo nuovo inizio. Il poeta li scrisse ripensando in modo quasi nostalgico, dopo anni, al tempo della scuola, ma per noi suonano come un desiderio realizzato dopo la convivenza con il virus che ci ha reso fisicamente delle isole in aula; tuttavia, pur vicini, dobbiamo sforzarci per sentirci parte di un unico arcipelago, uniti dallo stesso mare. Riordinando i libri ciascuno per sé, possiamo comunque incrociare gli occhi complici; rileggendo un compito, c’è solo da orientare lo sguardo nella stessa direzione; e il grande foglio bianco sarà sì protagonista di un compito in classe, ma anche veicolo per avvicinarci tracciando parole, frasi, pensieri, punti interrogativi, emoticon, codici segreti a cui ci si affida.
Scrivi parole diritte e chiare: Amore, lottare, lavorare.
Sono forti i versi di Rodari nella poesia “Il primo giorno di scuola” e li facciamo nostri scandendo le parole: Scrivi per non dimenticare e lasciare una traccia; parole che accompagnino azioni per costruire e non demolire; diritte sulle righe storte delle ingiustizie, del perbenismo, del nichilismo, della superficialità, della violenza, della discriminazione; chiare tanto da illuminare i compagni e i colleghi finiti nel buio della paura, dello scoraggiamento, del “non ce la posso fare”. Infine, un sostantivo (Amore) che sia quotidianamente maiuscolo nelle relazioni e nello studio, e due verbi (lottare e lavorare) da coniugare soprattutto al presente, perché ci sia un futuro per sé e per la nostra società. Pur nei prossimi mesi, dunque, ogni giorno dovrebbe avere lo spirito del “primo giorno di scuola”!