La pesca della discordia

Da uno spot più o meno felice all'infelice guerra in medio-oriente: micro- e macro-cosmo alla ricerca di una qualche riconciliazione...
17 Ottobre 2023

A volte, certe piccole narrazioni riescono a gettare una luce su questioni ampie e complesse dandoci da discutere, anche in maniera accesa; l’importante è, in questi casi, cercare di non banalizzare il dibattito fermandoci alla superficie delle cose.

È il caso dello spot di un noto supermercato del nord Italia, su cui già molto è stato detto e attorno a cui umoristi e vignettisti si sono già abbondantemente ed efficacemente sbizzarriti. Racconta di una bambina che accompagna la madre a far la spesa e si smarrisce davanti al banco della frutta, ipnotizzata da una pesca, vera protagonista del video. «Una pesca?» direte voi… eh sì: a prendere il posto delle fin troppo inflazionate mele la scelta di una vellutata e innocente pesca sembrava più adatta di altre. Una banana sarebbe stata troppo volgare, un kiwi troppo esotico, l’uva troppo peccaminosa, un cocomero troppo grande, una prugna troppo piccola (oltre che allusiva a funzioni intestinali poco telegeniche). Lo spot prosegue a casa, dove madre e figlia trascorrono tempo sole, giocando e ballando insieme. Ad un certo punto citofona il padre (chiaramente separato), che languidamente guarda dal marciapiede la finestra e la bambina scende, sotto lo sguardo della madre, un po’ severo, un po’ nostalgico. Nel finale, la bambina offre “il frutto” al padre, dicendo che è da parte della mamma: «La chiamerò per ringraziarla!» sorride lui, lasciando comunque intendere di aver capito la bonaria menzogna. Ciò che nella Genesi una mela aveva separato (che poi non era una mela ma “un frutto”), una pesca ha finalmente ricongiunto. Pace fatta: l’unione buona, la separazione cattiva. Facile, no?

E invece no, perché la pace, ahimé, non è mai facile. Dal punto di vista del bambino la pace è assenza di conflitti, per cui è chiaro che una separazione anche momentanea può apparire traumatica, perché rompe il velo dell’innocenza. Tuttavia poi si diventa adulti e ci si rende conto che il conflitto è parte della vita, anzi talvolta è vitale esso stesso, e costruire la pace significa gestirlo, o nei casi più gravi imparare a difendersi da esso. Ci sono modi violenti e non violenti di farlo e i secondi sono infinitamente più faticosi e meno immediati, dando agli interessati meno soddisfazione al naturale senso di rivalsa, che scaturisce dalla sensazione di aver subito un torto. Costruire una famiglia non è mai semplice e la narrazione secondo cui le famiglie si separino per capriccio o per una scelta di comodo nasconde una costellazione di situazioni di cui spesso solo i diretti interessati hanno contezza. Facile difendere l’unità della famiglia (qualsiasi cosa questo termine significhi) se non si considerano le relazioni autentiche tra le persone. Da bambino molte volte ho chiesto ai miei genitori separati di riunirsi, ma in realtà fingevo di non ricordare le feroci litigate e l’assoluta mancanza di serenità nella famiglia unita. Le famose tre parole “permesso”, “grazie”, “scusa” di Papa Francesco­­ la mia famiglia (che comunque non ha mai conosciuto situazioni di drammatica violenza) le ha conosciute solo grazie alla giusta distanza che ormai si era creata.

Insomma, non credo ci sia una formula universalmente valida, l’importante sarebbe non lasciare da sole le parti in causa, cosa che invece avviene molto più spesso di quanto si dovrebbe, anche quando la vita familiare si tramuta in una vera e propria guerra domestica. «Tutti parlano di pace», sosteneva Maria Montessori, «ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace». Allargando il discorso con le parole di Agostino Giovagnoli su Avvenire: «l’obiettivo della pace non può essere affidato solo ai due belligeranti […] non c’è solo bisogno di mediatori: occorrono architetti di pace». In questo caso si parla di un conflitto molto più vasto, quello tra Israeliani e Palestinesi, che sta toccando in questi giorni un apice di violenza inedito: da cosa scaturisce questa violenza? A quale processo dà coronamento? Cosa è stato fatto negli anni per impedirla? Già due anni fa (ne avevamo parlato qui) il patriarca latino a Gerusalemme sosteneva che «sarebbe necessaria almeno una generazione che non ha conosciuto violenza», ma siamo ben lontani da questo ambito traguardo. Rincara la dose oggi su Twitter il giornalista Nico Piro: «l’unica sicurezza viene dalla pace che spezza la spirale dell’odio, la catena dei lutti e delle ingiustizie le quali invece alimentano solo la guerra perenne».

Insomma, è come dire che la guerra si impara in casa, nei contesti di sofferenza e di rabbia sociale. Ed è qui che singoli e associazioni continuano faticosamente a gettare semi di pace, a tutti i livelli; ma se le politiche nazionali non li sosterranno, investendo massicciamente nell’economia della pace, anziché soffiare colpevolmente sul fuoco della guerra, i germogli continueranno a soffocare e non basteranno più tutte le pesche del mondo per portare riconciliazione.

 

3 risposte a “La pesca della discordia”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Ragionare di ‘pace’ o chiedere ‘giustizia’ resta molto difficile a mente obnubilata dalla PANCIA.
    A mente lucida come comprendere l’ASSASSINIO del buon Arrigoni?? Se metti in fila TUTTI i soprusi ricevuti… Ricevuti xché TU sei debole, espropriato, ti hanno tolto la TUA terra, raso al suolo la TUA casa, isolato dal mondo che si dá x assente.. come fai a ragionare di pace????

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Vero, i germogli soffocati da rovi. La Pace oggi è possibile, in ogni momento ma richiede coraggio quel coraggio che costa anche di sacrificare ciò che si ritiene giusto per un bene superiore, la vita di tanti fratelli. L’abbiamo visto in Giovanni Paolo II, il senza paura di passare con la Bibbia sua arma verso Sarajevo,o nella sua Polonia parlare vis a vis con i suoi “fratelli-nemici” e quel suo coraggio esiste ancora oggi là nei posteri che non dimenticano. La Pace ha bisogno del supporto di tanto popolo , il Patriarca di Terrasanta si rivolge a tutto il popolo cristiano e a quanti invocano Pace per la salvezza di molti. far arrivare sollecitudine a chi governa di “vita” non sacrificio di inermi! Sono le guerre a brutalizzare la persona uomo, con l’odio che ci vuole se è di fare strage dei propri fratelli. C’è da trovare il coraggio di umiliarsi e chiede perdono a aiuto al Dio dell’Amore e della Pace, impetrare pietà

  3. Luca Fortunati ha detto:

    Facendo eco alle parole di Crozza, anche io mi trovo nell’imbarazzo di dover dare, per una volta, ragione ad Andreotti il quale, in tempi non sospetti, disse più o meno:
    “Chiunque di noi vivesse in un campo di concentramento per decenni, con la consapevolezza che i figli non avranno mai la libertà, diventerebbe un terrorista”.
    Abbraccio la tua esperienza da figlio di genitori separati, confermando che spesso le gesta di pace si imparano guardando le cose da un nuovo punto di vista, da una prospettiva più distante. Le nazioni europee, non essendo direttamente coinvolte nel conflitto, dovrebbero essere in grado di osservare con maturità e con l’unico scopo di foraggiare la pace, evitando azioni plateali degne del più becero curvarolo.

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