Via Crucis con gli iracheni

Il cammino di Gesù al Calvario suggerisce la ripresa di alcune riflessioni di papa Francesco, pellegrino di pace in Iraq, nella sua storica visita dal 5 all'8 marzo 2021
12 Marzo 2021

Stazione I

Gesù è condannato a morte

Gv 19, 1-5

Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”.

Fin dal primo incontro del Papa al palazzo presidenziale di Baghdad è stata ricordata quella sorta di condanna a morte che negli ultimi decenni ha visto la popolazione irachena patire i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse.

“Tutto ciò ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni e anni per guarire. E qui, tra i tanti che hanno sofferto, non posso non ricordare gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio. Pertanto, solo se riusciamo a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana, possiamo avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano”.

(Con le autorità e la società civile a Baghdad, 5 marzo)

 

Stazione II

Gesù è caricato della croce 

Mt 27, 27-31

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano:  “Salve, re dei Giudei!”. Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

La cattedrale di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad il 31 ottobre 2010 fu attaccata dall’Isis durante la celebrazione della Messa. Furono uccise 48 persone, tra loro anche due sacerdoti, e restarono feriti 70 fedeli.

“Siamo riuniti in questa cattedrale, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa. Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano infatti è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese”.

(nella Cattedrale Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, 5 marzo)

 

Stazione III

Gesù cade la prima volta

Eb 2,17-18

Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

A partire dai conflitti interni e dal caos che ha travolto l’Iraq dopo le guerre del 1990-91 e del 2003 con la fine del regime di Saddam Hussein, l’esistenza di tanti cristiani nei territori iracheni è stata una fuga, segnata da tante cadute e tante vittime: erano circa un milione e mezzo prima del 2003, si sono ridotti a 300 mila dopo la persecuzione dei jihadisti del Daesh nel periodo 2014-2017.

“Sicuramente ci sono momenti in cui la fede può vacillare, quando sembra che Dio non veda e non agisca. Questo per voi era vero nei giorni più bui della guerra, ed è vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza. In questi momenti, ricordate che Gesù è al vostro fianco. Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza! Dal Cielo i santi vegliano su di noi: invochiamoli e non stanchiamoci di chiedere la loro intercessione. E ci sono anche “i santi della porta accanto” «che, vivendo in mezzo a noi, riflettono la presenza di Dio,. Questa terra ne ha molti, è una terra di tanti uomini e donne santi. Lasciate che vi accompagnino verso un futuro migliore, un futuro di speranza.

(alla comunità di Qaraqosh, 7 marzo )

 

Stazione IV

Gesù è aiutato dal Cireneo

Lc 23,26

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.

Sono stati tanti gli episodi di sacrificio e di dedizione nel calvario del popolo iracheno. Attraverso la voce di Rafah nella piana di Ur il Papa ha ascoltato in particolare l’esempio di Najy, dei sabeani mandeani (una comunità di minoranza), che ha perso la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino musulmano.

“Quanta gente qui, nel silenzio e nel disinteresse del mondo, ha avviato cammini di fraternità! Rafah ci ha raccontato pure le indicibili sofferenze della guerra, che ha costretto molti ad abbandonare casa e patria in cerca di un futuro per i loro figli. Grazie, Rafah, per aver condiviso con noi la ferma volontà di restare qui, nella terra dei tuoi padri. Quanti non ci sono riusciti e hanno dovuto fuggire, trovino un’accoglienza benevola, degna di persone vulnerabili e ferite.

(…)

Mi ha colpito la testimonianza di Dawood e Hasan, un cristiano e un musulmano che, senza farsi scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno costruito il futuro e si sono scoperti fratelli. Anche noi, per andare avanti, abbiamo bisogno di fare insieme qualcosa di buono e di concreto. Questa è la via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a guardare le stelle. È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più efficace per un domani di pace”.

(incontro nella Piana di Ur, 6 marzo)

 

Stazione V

La Veronica asciuga il volto di Gesù

Mt 15,8

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

All’incontro di Qaraqosh ha preso la parola una donna, di nome Doha, che nei primi bombardamenti del Dawsh ha perso il proprio figlio. Ha pronunciato più volte la parola “perdono”.

“Una cosa che ha detto la Signora Doha mi ha commosso: ha detto che il perdono è necessario da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici. Perdono: questa è una parola-chiave. Il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare. So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra. Noi confidiamo in Lui e, insieme a tutte le persone di buona volontà, diciamo “no” al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione”.

(alla comunità di Qaraqosh, 7 marzo)

 

Stazione VI

Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Lc 23,28-31

Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli.»

Mentre arrivava con l’elicottero a Qaraqosh, Francesco ha visto la statua della Vergine Maria sulla chiesa dell’Immacolata Concezione e ha affidato a lei la rinascita di questa città.

“La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza. Perché così fanno le madri: consolano, confortano, danno vita.

E vorrei dire grazie di cuore a tutte le madri e a tutte le donne di questo Paese, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità! E ora preghiamo insieme la nostra Madre, invocando la sua intercessione per le vostre necessità e i vostri progetti”.

(alla comunità di Qaraqosh, 7 marzo)

 

Stazione VII

Gesù è inchiodato alla croce

Is 50,6-7

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.

Durante tutto il viaggio in Iraq papa Francesco ha più volte richiamato le parole dei profeti e l’esempio di Abramo sottolineando la sapienza che in quelle terre è stata coltivata da tempi antichissimi. Ne ha preso visione anche nel testo sacro, rubato dall’Isis, poi recuperato e restaurato in Italia, che è stato ridonato alle autorità religiose locali.

“La proposta di Gesù è sapiente perché l’amore, che è il cuore delle Beatitudini, anche se pare debole agli occhi del mondo, in realtà vince. Sulla croce si è dimostrato più forte del peccato, nel sepolcro ha sconfitto la morte. È lo stesso amore che ha reso i martiri vittoriosi nella prova, e quanti ce ne sono stati nell’ultimo secolo, più che nei precedenti! L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù. Ma mentre la potenza, la gloria e la vanità del mondo passano, l’amore rimane: come ci ha detto l’Apostolo Paolo, «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Vivere le Beatitudini, allora, è rendere eterno quello che passa. È portare il Cielo in terra”.

(omelia nella piana di Ur, 6 marzo).

 

Stazione VIII

Gesù muore in croce

Lc 23,44-49

Era circa l’ora sesta, e si fecero tenebre su tutto il paese fino all’ora nona; il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò.

A Mosul, dove l’Isis aveva la sua roccaforte e dove il Papa ha liberato al cielo una colomba nella piazza delle Quattro Chiese sbrecciate dai bombardamenti, Francesco ha constatato ed ha additato al mondo le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità.

“Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi!

Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”.

(nella piazza di Mosul, 7 marzo)

 

Stazione IX

Gesù è deposto dalla croce

Gv 19, 38-42
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.

Fra i motivi più ricorrenti della visita la ricchezza delle diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, che il Papa ha paragonato a “tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte”.

“Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Sia sempre nel nostro cuore l’esortazione di Sant’Ignazio di Antiochia: «Nulla esista tra voi che possa dividervi, […] ma vi sia un’unica preghiera, un unico spirito, un’unica speranza, nell’amore e nella gioia».

Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno. (…)

A volte possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà”.

 

Preghiera a conclusione della Via Crucis in comunione con i tutti i crocifissi della storia di oggi:

“Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia.

Nella storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio.

Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace.

Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti.

Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità!

Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi.

Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori.

Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti!

Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.

(incontro nella Piana di Ur, 6 marzo)

 

(Foto Vatican Media/AgenSir)

2 risposte a “Via Crucis con gli iracheni”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La Pace è più forte della guerra?si, ma è che qualcuno dovrebbe farla e invece c’è un sottomarino carico di esplosivo che silenzioso naviga dal Baltico versi …la Siria e si son fatti intorno altri di Paesi diversi a controllare gli intendimenti con anche aerei dall’alto . Come chiamarlo se non con il suo nome “black ” è come non pensare che non è la a far amicizia con cetacei; mentre in Siria ci sono bambini e gente che è fuggiasca da salvare!!. Non è più neppure via crucis quella di un popolo inerme sotto continui bombardamenti, è un inferno dove un vero serpente e innalzato e procurare sempre più morti. Per solidarietà si dovrebbe aprire bocca interessandoci “fare fratellanza e muovere segni di solidarietà come per altri nostri motivi..i Basta consultare il Vangelo applicarlo alla lettera e poi lasciare allo Spirito l’opera sua. Un vaccino a interrompere azioni di morte

  2. Maria Teresa Pontara Pederiva ha detto:

    Dopo tante parole scritte e forse troppi commenti quasi obbligati, una riflessione che si fa preghiera di meditazione sulla sofferenza della Via Crucis di tanti crocifissi dei nostri giorni come sono oggi anche gli Iracheni: grazie!

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