Ci sto pensando da qualche tempo. Ma in questo giugno di Ramadan che sembra riacutizzare il tema del terrorismo islamico in Europa, la domanda mi è ritorna in mente spesso: il terrorismo islamico è davvero in guerra con l’Europa cristiana?
Per non ragionare sul sentito dire, ho cercato qualche dato. Dal 1970 al 1992 ci sono stati in Europa circa 235 morti all’anno per terrorismo, concentrati soprattutto in Irlanda del nord, Spagna e Italia. Dal 1992 al 2002 la media è scesa a 66 all’anno. Dal 2003 al 2015 è scesa ancora a 40. Perciò oggi il terrorismo in Europa è ai suoi minimi storici. Gli ultimi 16 anni sono stati di gran lunga i più tranquilli in Europa dal 1970. Tra 2001 e 2014 ci sono stati nel mondo 108.294 morti per terrorismo, di cui circa 2/3 per mano di terrorismo islamico, ma solo 420 in Europa, cioè lo 0,38% del totale. Il 78% dei morti, sono in paesi musulmani: Afghanistan, Iraq, Nigeria, Pakistan e Siria.
Per un europeo, la probabilità di morire in un attacco terroristico è infima. Secondo l’analista di rischio Tom Pollock, se anche in Francia ci fosse un Bataclan o una Nizza all’anno per 80 anni (!), la probabilità che un francese muoia in un attentato in tutta la sua vita sarebbe circa di una su 10mila. Per intenderci, è circa cinque volte più facile morire cadendo dalle scale. Nel 2010 la probabilità di morire di cancro in Europa era 1/57, di incidente stradale era 1/88, e di terrorismo era 1/69000.
Eppure ora come non mai ci sentiamo sotto attacco, e per questo la spesa media per la sicurezza di alcuni governi europei (Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e Italia) è salita negli ultimi 5 anni quasi del 6%, rispetto a quella degli anni precedenti. I conti non tornano. Come mai in Italia, durante gli anni delle stragi e poi quelli di piombo, la percezione di questo stesso pericolo era mediamente meno di 1/5 di quella di oggi? C’è qualcuno che fa del terrorismo sul terrorismo?
Una serie di cause sono già state ampliamente descritte. In parte, questa sproporzione percettiva è un effetto non voluto, legato alla battaglia spasmodica tra i media, per aumentare la propria fetta di mercato dell’informazione. In parte c’è una amplificazione collettiva inconscia del senso di insicurezza, dovuto al cambiamento epocale che stiamo attraversando e che dalla fine degli anni ’80 è diventata palpabile anche dall’uomo comune. In parte, settori non piccoli del mercato globale ne approfittano per poter generare bisogni indotti, e così vendere beni altrimenti non collocabili sul mercato nelle medesime quantità.