C’è sempre un “convegno del prossimo autunno” (o un dibattito, o un congresso, o un comunque un appuntamento “importante”) cui attaccarsi per chiedere alle persone di riunirsi, parlare, produrre documenti, elaborare contributi. C’è in tutte le organizzazioni: associazioni, movimenti, partiti e, ovviamente, anche nella Chiesa. Il dubbio è: questi convegni del prossimo autunno, servono per affrontare i problemi o per rimandare il momento in cui si dovranno affrontare?
Un “convegno del prossimo autunno” aleggia anche in “Ricordati di sanificare le feste” (ed. Ancora 2.022), il libro in cui Fabio Colagrande racconta le “fantacronache di rinnovamento pastorale postpandemia”. Rinnovamento che, nella diocesi di Salsiccia, avviene nelle more del convegno del prossimo autunno, appunto.
Colagrande, giornalista di Radio Vaticana, è tra i fondatori di Vinonuovo.it, dove tra l’altro cura la rubrica “Fantaecclesia” e “Le avventure di Sinodino” (qui l’ultimo articolo pubblicato). È una delle poche persone capaci di usare l’ironia non per ferire, ma per farci vedere meglio il mondo in cui siamo immersi e le sue dinamiche. Il lettore, che legge queste storie della diocesi di Salsiccia e del suo vescovo Pancetta che cerca di ridare slancio alla comunità ecclesiale dopo la pandemia, del parroco don Ciauscolo, della catechista Assunta Bresaola, del direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Corrado Capicollo, della teologa Suor Veronica Mortazza e via dicendo, sorride e difficilmente non riconoscerà in questi racconti il proprio gruppo, la propria parrocchia, la propria diocesi. Le frasi che sembrano piene di significato, ma in realtà sono vuote; i tic di ciascuno (quello che contesta sempre, quello che è sempre d’accordo, quello che non ha capito…); il parroco che, dovendo scegliere una coppia di sposi da mandare al convegno diocesano, scopre che non ce n’è una “regolare”; i volantini con l’immagine della famiglia mulino bianco, che ormai non rappresenta più nessuno (ammesso che lo abbia mai fatto)… Personaggi, situazioni, luoghi comuni, linguaggi tipici di una Chiesa che fatica a stare al passo con i tempi: si sorride e ci si rispecchia e alla fine si pensa anche un po’.
Credo che uno dei problemi della Chiesa di oggi sia la difficoltà a lasciarsi guardare, ma soprattutto a guardarsi, riconoscendo le proprie debolezze e provando a farci i conti. L’ironia aiuta a farlo, ed è uno strumento non solo per conoscersi meglio, ma anche per conquistare la libertà. Dagli schemi, dai modelli, dalle dinamiche e perfino dalle tradizioni soffocanti. Come scriveva Raffaele Crovi, «Le persone ironiche sono sempre autoironiche e hanno un grande amore per la libertà. L’ironia è discreta, riflessiva, pietosa, terapeutica. Noi italiani pratichiamo più la comicità che l’ironia: forse è anche per questo che l’autoritarismo e l’aggressività ci trovano disponibili» (“La valle dei cavalieri”, Mondadori 1993, p. 254)
“Ricordati di sanificare le feste” è un libro ironico, ma scritto con amore, dall’interno, da uno che nel momento stesso in cui stigmatizza le fragilità sembra dirci: vedete, però siamo ancora qui, possiamo ancora ripartire. Ci sono le persone, con i loro limiti e le loro debolezze e anche con il loro dolore, ma proprio da qui c’è sempre la possibilità di ricominciare, come insegna Suor Elvira che, nell’ultimo capitolo del libro, intuisce che «proprio quando tutto sembra finito, tutto sta iniziando».
E arriva, questo libro, nel pieno di un cammino sinodale, che potrebbe essere l’ennesimo “convegno del prossimo autunno”, un modo per cambiare tutto per non cambiare nulla, «un’occasione pericolosissima di avvitamento linguistico», oppure «una possibilità straordinaria di terapia del linguaggio», come scrive Antonio Spadaro nell’introduzione.
Resta una domanda di fondo, che ogni lettore si porterà dentro: cosa emergerà dal convegno del prossimo autunno?
San Tommaso Moro approverebbe soddisfatto. E anche io nel mio piccolo. L’autoironia dovrebbe essere lo stile ordinario di un popolo di peccatori che sa che non si salva per la bellezza delle proprie idee ma per la gratuità di un amore che ci previene e ci sostiene