In ascolto di Michela Murgia

Di cosa parla dunque questo testo? Forse che siamo tutti nudi, e che ci portiamo appresso il nostro dolore per velarlo con pudore.
25 Agosto 2023

Amando molto Michela Murgia come scrittrice, ho desiderato in questo tempo dopo la sua scomparsa rimettermi in ascolto del suo capolavoro, “Accabadora”, uscito nel 2009 e vincitore di molti premi prestigiosi. Per ricordarla mi è parsa la cosa più rispettosa da fare e che soprattutto mi apparteneva di più.

Molte sono le trame di senso che si snodano in questo racconto dalla trama tanto semplice: in un piccolo paesino della Sardegna più interna si intrecciano i destini di una ragazzina, Maria, quarta figlia indesiderata di una famiglia troppo povera e di una anziana sarta del paese, benestante senza figli e marito, che decide di adottarla come “fill’e anima”, una figlia d’anima, cioè adottata con anima e cuore. Ma il ruolo atavico che Tzia Bonaria ricopre in quella piccola società ha il nome impronunciabile di un ruolo altrettanto difficile, quello di “accabadora”, l’ultima madre, quella che pietosamente assegna una buona morte “pietosa” ai morenti, aiutando un destino a compiersi con compassione.

Ora il punto è tutto qui… È dunque un libro a favore dell’eutanasia, ennesimo capo di accusa che si potrebbe implicare alla tanto contestata cattolicità di Michela Murgia? Lungi da me entrare in questo ginepraio, eppure penso questo testo sia un inno al silenzio, al rispetto verso temi tanto grandi da essere trattati in punta di piedi, un libro denso come un vino rosso corposo che scenda a fatica in gola come certi vini proposti nei rinfreschi nuziali descritti nel libro, tra dolci di pasta di mandorla e complesse pratiche apotropaiche per favorire la fortuna degli sposi. Mai infatti in questo testo vengono date facili soluzioni e benedizioni sommarie a grandi ricerche di senso e di vita.

Pochi sono infatti i dialoghi nel libro, e se anche come corpo testuale non fossero poi cosi rari, al lettore appaiono parchi, scarni di parole inutili, ma pregni di quelle parole che escono pesanti quando il fiato è corto per la calura dell’arida regione e la sobria essenzialità di personalità che non conoscono il vaniloquio, perché non lo concepiscono nemmeno. Le figure si muovono in un mondo semplice, fatto di gesti e relazioni fissati che solo permettono la chiarezza di idee.

“Ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, e Maria la differenza la conosceva benissimo. Non era questione di giusto o di sbagliato, perché nel mondo in cui era cresciuta quelle categorie non trovavano posto. A Soreni la parola “Giustizia” aveva lo stesso spazio di senso delle peggiori maledizioni, e veniva pronunciata solo quando c’erano da evocare cieche persecuzioni contro qualcuno…”.  Sono queste le parole che la scrittrice Michela dedica a  Maria, non appena scopre che sua Tzia Bonaria è un’accabadora, e ha appena compiuto quello che “non si deve fare”! Questa scoperta la stordirà e la allontanerà profondamente dalla madre adottiva, che lei giudicherà aspramente dopo averne scoperto il doloroso segreto, quale fin da bambina aveva sospettato.  Nondimeno la risposta impietrita e stremata allo scandalo di Maria che la accusa, sarà il capolavoro di Bonaria che con un fil di voce le dirà: “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo: potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata.”

Ecco dunque, le parole sono finite, a confronto solo la consapevolezza  dolorosa di Bonaria che sa che anche lei nel suo mondo aveva una parte da fare, ed era quella di essere l’ultima madre che alcuni avrebbero visto.

Eppure forse questo è troppo in quel momento per la giovare e impietosa Maria, che non può capirlo , nemmeno quando Bonaria le ricorda: “Zitta, non sai cosa dici. Ti sei tagliata da sola il cordone? Non ti hanno forse lavata e allattata? Non sei nata e cresciuta due volte per grazia di altri, o sei così brava che hai fatto tutto da sola?”Così Bonaria le ricorda il suo esserle figlia d’anima, sottratta a una madre che la sentiva solo la quarta bocca di figlia da sfamare che non avrebbe mai voluto avere. Maria è nata così due volte, è rinata nell’amore vero e nelle cure di Bonaria che l’ha presa con sé accordandosi velocemente con la madre, mentre in un negozio la bambina veniva scoperta con vergogna mentre rubava un pugno di ciliegie…

”Perché le colpe, come le persone, iniziano a esistere quando qualcuno se ne accorge”, afferma la Murgia… Quanta grazia dunque nell’affrontare il tema di come solo l’amore vero sia generativo, quasi l’eco del motto di come si cresca solo se pensati, e in questo caso pensati con amore: ecco il segreto di un figlio o di una figlia d’anima, che supplisce a un vuoto tremendo d’amore laddove disgraziatamente si verifichi. E Michela urla, urla il silenzio di tanti vuoti d’amore e lo fa tratteggiando un rapporto di fedeltà e devozione altissimo tra queste due donne, che conoscono il segreto della vita, una sottrazione d’amore, l’altra per sovrabbondanza dello stesso, in pagine di un lirismo intenso.

Se ne prenda una per tutte… In un silenzioso pomeriggio di cucito mentre Maria lavora, imparando il mestiere, accanto a Bonaria che fa altrettanto, Maria vedendo Bonaria vestire sempre di nero, in quanto vedova eterna di un fidanzato mai tornato dal fronte, crede che il lutto debba durare sempre, mentre alcune donne in paese dopo una stagione lo smettono.  Le chiede così quando finisce il lutto e se serve a far vedere il dolore: “ No, Maria, il lutto non serve a quello. Il dolore è nudo, e il nero serve a coprirlo, non a farlo vedere…” Maria quelle parole, al momento incomprensibili, le avrebbe ricordate per tutta la vita.

Di cosa parla dunque questo testo? Se lo ascoltiamo, cosa ci dice? Forse che siamo tutti nudi, e che ci portiamo appresso il nostro dolore, che talvolta siamo in grado di vestirlo di nero pietosamente, non per appesantirlo, ma per velarlo con pudore. Afferma anche che non esiste un destino giusto e spietato a prescindere, e che le relazioni salvano, e tutto il libro rivela anche vicende minori dove i personaggi (si veda ad esempio  il ragazzino torinese a cui Maria più oltre andrà a fare da bambinaia “in continente” per fuggire dal paesello), tutti i personaggi , si salvano a vicenda in una sapienza relazionale che forse è davvero “quella cosa buona che si fa”, come aveva intuito più sopra Maria, e nega quella che non si fa e distrugge, perché tutti siamo creature e abbiamo bisogno di ricordare che qualcuno ci ha creato e ci ha dato la vita.

Sinceramente, trovo molto cristiano questo messaggio che emerge tra le pagine della teologa Michela Murgia, socia del Coordinamento Teologhe Italiane,  figura che per dirla con il Cardinale Zuppi “anche quando non eravamo d’accordo Michela con la sua ricerca appassionata ci aiutava a trovare i veri motivi e a non essere scontati né supponenti.”. Ed ora, pur nel mio superficialissimo ascolto di un testo tanto bello che abbiamo potuto citare tanto brevemente solo per motivi di spazio, possiamo essere d’accordo con Rahner quando afferma che oggi “manca la teologia capace di fare poesia”. Beh,  a mio modesto parere, penso che Michela Murgia in “Accabadora”abbia scritto bellissime pagine di teologia in poesia… perché la sua prosa è altamente poetica!

8 risposte a “In ascolto di Michela Murgia”

  1. Maria Crasso ha detto:

    Se amate Michela Murgia, pregate per lei. Là dove è adesso sta soffrendo, e voglia Dio che non si tratti di sofferenza eterna.
    “Che devo fare Maestro buono per entrare nella vita?” “Rispetta i Comandamenti!”
    Michela non amava i Comandamenti e insegnava a fare altrettanto.

    • gilberto borghi ha detto:

      Le faccio i miei complimenti per essersi sostituita, con perentoria certezza, al giudizio di Dio. Prego per Michela Murgia, come prego per lei.

  2. Giuliana Babini ha detto:

    Chiara Gatti: bellissima presentazione del libro! La condivido e detesto l’ipocrisia attuale che giudica e fa di peggio, mentre nel libro è chiaro che vanno rispettate regole precise per il minor male possibile: non è eliminata la problematicità, misura e poesia la narrano con discrezione e rispetto. Grazie! Lo rileggerò!

  3. Guido Silurati ha detto:

    Ma, penso ed esprimo qui io, che’ da pochissimo ho scoperto questo luogo mediatico elettronico vostro; e grazie che mi permettete di scrivere qui anzitutto, grazie, sempre vostro territorio è; territorio fuori credo, credo, credo, extra legge di Dio (dico io, e fu subito rima) (chi è dotato di senso ironico capira’) ; la volete smettete? Volete chiudere ? State contro i comandamenti. State contro; contro; contro; convertitevi, forse siete ancora in tempo, non aspettate oltre. Chiudete tutto e convertitevi !!!

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Stiamo vivendo nella e della nostra Storia, e la realtà ci mostra che nell’oggi si ripete il. Ieri che perpetua il domani. Anche la forma di governo dittatoriale si ripresenta sostenuta con il consenso del popolo. Perfino in forma democratica il Presidente eletto ha così ampio potere di decisione da sembrare dittatoriale. E’ grande l’ambizione dell’uomo tanto da sentirsi quasi investito di un potere dall’alto, anche se non ammesso, infatti è per il consenso di un popolo che egli governa e approva le sue decisioni. Il Presidente Mattarella con il suo richiamarsi alla Costituzione riscuote ampia approvazione per i valori che in essa sono dichiarati a fondamento di spirito democratico. Per un Cristiano e la stessa cosa, riconosce i valori del Vangelo, li vive da cittadino e per questo egli ha diritto di parola in un consesso democratico in quanto collabora in tutto al benecomune del Paese e in ogni Consesso internazionale dove sia permessa libertà di parola

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    De_duco:
    Non solo nn si é mai soli, da alfa a omega, ogni atto va visto inserito nel suo ambiente von tutti i suoi collegamenti..
    ((( qs pensiero mi richiama un critico letterario, un guru x i tempi del liceo, Russo che portó nella critica i contorni. soprattutto socio-economici..)
    Di fronte ad una sofferenza atroce ( niente morfina a quei tempi..) io ravviso nella azione della abbacadora una certa PIETAS cristiana.. se lo faceva x compassione..

  6. Gian Piero Del Bono ha detto:

    “S’accabadora” era’ nella Sardegna del passato una figura di donna opposta alla levatrice. La levatrice faceva nascere ,l’ accabadora dava il colpo di grazia ai morenti. Entrava nella casa del morente di notte, vestita tutta di Neto, col viso coperto e munita di una pesante mazza di legno colla quale dava un colpo in testa ai moribondi , il colpo di grazia.
    Alcuni sardi negano sdegnato che tale usanza sia mai esistita nella cristiana Sardegna. La pietas cristiana verso i vecchi, anche se malati terminali non prevede di “finirli” soprattutto con una mazzata in testa .

    • leila chiarastella ha detto:

      Scusi sig. Del Bono, lei ha letto il libro? Evidentemente non tutta la Sardegna è tutta uguale, come tutti i luoghi così grandi. La figura esiste, ha un nome e che praticasse in un cristianesimo popolare che si lascia contaminare da pratiche arcaiche, magiche, più o meno barbare o primitive, esempio molto chiaro, quello sardo, ma si potrebbe vedere in moltissime parti d’Italia o quasi, per non generalizzare troppo. Quantunque io credo di conoscere sia la mia regione che l’Italia non potrei conoscerla mai fino in fondo. Poi laccabadora della storia stordiva con del fumo narcotizzante e poi soffocava la sua vittima.

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