Il prete dimezzato

Se leggiamo il prete solo così è impossibile davvero realizzare quel suo ruolo di mediazione indicato già dal Concilio Vaticano II
5 Dicembre 2023

In questi giorni il segretario di Stato vaticano, Card. Parolin, ha inviato, a nome di papa Francesco, una lettera di saluto e vicinanza ai seminaristi di Francia, presenti ad un incontro di oltre settecento tra formatori e futuri sacerdoti, riuniti dall’1 al 3 dicembre scorsi a Parigi.

Leggendola ho avuto una sgradevole sensazione, in parte per quello che c’è scritto, ma soprattutto per quello che non c’è scritto. Molto si potrebbe dire sugli aspetti umani e pastorali di una lettera così. Ma lascio ad altri. A me colpisce l’aspetto teologico.

Nel secondo paragrafo della lettera si tratteggia in modo sintetico la natura del sacerdote tutta ed esclusivamente definita in relazione a Cristo Capo, nella classica formulazione del prete che è “persona Christi”, cioè egli ripresenta sacramentalmente Cristo stesso. Ma in questo caso l’affermazione di tale verità è talmente forte da dichiarare che essa “lo pone di fronte al Popolo di Dio — benché egli ne faccia sempre parte — per istruirlo con autorità, guidarlo con sicurezza e trasmettergli efficacemente la grazia attraverso la celebrazione dei sacramenti”. L’inciso “benché egli ne faccia sempre parte” è l’unico segnale di ciò che nella lettera non viene detto.
Che, cioè, il sacerdote è anche “persona Ecclesiae”, vale a dire che ripresenta sacramentalmente anche la Chiesa. Certo, in una lettera così non si può pretendere una teologia completa del sacerdozio. Ma se viene letta ai futuri preti di Francia e ci si dimentica di sottolineare l’altra parte della loro identità, si va verso una lettura del prete totalmente separato dalla comunità, che sta “di fronte” ad essa, non dentro ad essa. Nello stesso tempo non si nota che facendo questa amputazione, non si capisce come il prete possa espletare la pienezza della sua funzione, di mediazione soprattutto liturgica.

Già il Concilio di Trento aveva dichiarato, infatti, che Gesù Cristo “istituí la nuova Pasqua, e cioè se stesso, da immolarsi dalla Chiesa per mezzo dei suoi sacerdoti sotto segni visibili, in memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre” (Sess. 22, cap 1).

Tradotto vuol dire che il sacrificio di Cristo, quello storico del Calvario, viene ripresentato oggi qui, sacramentalmente, dal Sacerdote, ma a nome della Chiesa. La celebrazione è prima di tutto di Cristo, secondariamente essa si realizza dalla e nella Chiesa e solo da ultimo è realizzata “per mezzo dei suoi sacerdoti”. Il legame tra il significato della messa e l’atto di celebrarla, non è dato soltanto dal fatto che il sacerdote è consacrato, ma anche dal fatto che egli intende fare ciò che fa la Chiesa.

Questo è anche il magistero attuale a segnalarlo: “il sacerdote, soprattutto quando presiede le azioni liturgiche e sacramentali, rappresenta egualmente la Chiesa: egli agisce a suo nome, con «l’intenzione di fare ciò che essa fa». In tal senso, i teologi del Medioevo dicevano che il ministro agisce anche in persona Ecclesiae, cioè a nome di tutta la Chiesa e per rappresentarla. E di fatto, è proprio a nome di tutta la Chiesa che tale azione è celebrata dal sacerdote: questi prega a nome di tutti; nella Messa offre il sacrificio di tutta la Chiesa” (Inter insignores, n.5)

E ancora: “La Chiesa, quando celebra un Sacramento, agisce come Corpo che opera inseparabilmente dal suo Capo, in quanto è Cristo-Capo che agisce nel Corpo ecclesiale da lui generato nel mistero della Pasqua. (…) Nella celebrazione dei Sacramenti, il soggetto è la Chiesa-Corpo di Cristo insieme al suo Capo, che si manifesta nella concreta assemblea radunata.” (Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede del 6 agosto 2020)

Ora, sottostimare questo lato dell’identità del prete porta dritto dritto, poi, all’affermazione della lettera, come minimo rischiosa, che: “al cuore di questa identità (del sacerdote), configurata al Signore Gesù, si trova il celibato. Il sacerdote è celibe — e vuole esserlo — semplicemente perché Gesù lo era. L’esigenza del celibato non è anzitutto teologica, ma mistica”. Già a più riprese (qui e qui) ho mostrato come non esistano basi scritturistiche, né teologiche, per sostenere che il celibato sia indispensabile al sacerdote. Parolin sembra saperlo (ma quel “anzitutto” lascia qualche dubbio!) e si rifugia in una motivazione mistica.
Ora, difficile dire cosa si intenda di preciso. La citazione che segue («chi può capire, capisca!» Mt 19, 12) non aiuta molto, anzi peggiora le cose. Mt parla della scelta della verginità come segno escatologico del credente in generale, senza alcun riferimento ai ministeri della Chiesa e indica questa opzione per chi non se la sente di vivere un matrimonio senza possibilità di divorzio, lasciando intendere che entrambe le scelte etiche sono “forti” e, come tali, espressioni della vita nuova dei credenti.

Ora se la motivazione mistica significa che il sacerdote è “innamorato” di Cristo talmente da vedere in lui ogni suo bene, e per poter vivere ciò è bene sia celibe, immaginiamo che lo sposato non possa farlo. Quando invece l’essere “afferrati da Cristo” è la condizione di ogni cristiano che viva davvero la sua fede. Se applichiamo quel passo di Mt. al contesto del ministero ordinato, finiamo per lasciar pensare che il matrimonio sia incompatibile con la santità.

Se invece la motivazione mistica è una specie di condizione esistenziale che Cristo riserva ad alcuni, tra cui i sacerdoti, (“amati di un amore privilegiato e preservato”!!) in cui ogni loro atto, parola, gesto, pensiero possa essere abitato misteriosamente da Dio, viriamo pericolosamente verso una visione sacro-magica del prete, in cui si immagina che il culmine dell’essere del prete stia nella dizione chiara e precisa delle parole della consacrazione (o di quelle della confessione), in quanto in quel momento è come se parlasse Cristo stesso.

A smentire indirettamente questa lettura magico letterale della funzione del prete è una dichiarazione del Dicastero vaticano per l’Unità dei Cristiani del 20 luglio del 2001, intitolato “Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa caldea e la Chiesa assira d’Oriente”. La richiesta era la possibilità di ammettere l’intercomunione, per necessità pastorale, tra i fedeli della Chiesa assira d’Oriente e la Chiesa cattolica caldea. Alla fine il dicastero dà parere favorevole. Ma il problema nasceva dal fatto che nella Chiesa assira d’Oriente l’Eucarestia era celebrata, da tempo immemorabile, con l’anafora di Addai e Mari in cui non vengono pronunciate le parole del Signore sul pane e sul vino.
Così recita il documento: “Questa antica preghiera eucaristica cristiana ha la peculiarità di non contenere in modo coerente e “ad litteram” le parole dell’istituzione dell’eucaristia da parte di Gesù Cristo (“Questo è il mio corpo”, “questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza…”). Sono presenti invece “in modo eucologico disseminato, ossia integrate nelle preghiere di rendimento di grazie, di lode e di intercessione”.

In effetti nella preghiera si legge: “Abbiamo ricevuto per tradizione l’esempio che viene da te, rallegrandoci, glorificando, esaltando, facendo memoria e celebrando questo mistero grande e terribile […] nella memoria del corpo e del sangue del tuo Cristo, che noi offriamo a te sull’altare puro e santo, come tu ci hai insegnato, […] sacramento vivificante e divino che io posso amministrare al tuo popolo, il gregge del tuo pascolo”.
Mantenere occultato il dato della identità del prete in “persona Ecclesiae” spinge verso una sacralizzazione quasi magica del ruolo, che mantiene una delle piaghe della chiesa che già Rosmini aveva identificato e verso il mantenimento inevitabile del clericalismo, dove il potere gerarchico è sinonimo di sacralità.

Ma se leggiamo il prete così è impossibile davvero realizzare quel suo ruolo di mediazione indicato già dal Concilio Vaticano II: “Da una parte, essi non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; ma d’altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente” (P.O. n. 3)

 

 

10 risposte a “Il prete dimezzato”

  1. Salvo Coco ha detto:

    Sig.ra Francesca Vittoria Vicentini, lei cosa ne sa di cosa pensa Cristo ? Lei ripete quanto la tradizionale dottrina clericalista ha elaborato nel corso dei secoli. Questa dottrina è stata prodotta dal clero e riflette quindi il punto di vista del clero. Non è espressione della chiesa tutta, donne e uomini laici compresi. Lei sta ripetendo questa dottrina in maniera acritica. Cosa significa ? Significa che lei non sa nulla della vita di Gesù, Nulla che non le sia stato insegnato dalla chiesa clericalista. Le moderne ricerche esegetiche sul Gesù storico non avallano la rappresentazione che la chiesa clericalista ha fatto. Vanno in tutt’altra direzione. Gesù era un laico e tale si è comportato. Basterebbe solo questo dato di fatto per sconvolgere la tradizionale rappresentazione di Gesù. Ma a lei questo lo ignora e continua a rappresentarsi la figura di Gesù come le hanno insegnato al catechismo. E quindi è inutile proseguire la discussione.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Se nella Chiesa si sono verificati abusi a danno e ingannando la fiducia di fedeli, molto più pesante e’la gravità del reato commesso e lapidaria è la condanna pronunciata da Gesù.stesso nei loro confronti Della stessa Chiesa però non si parla altrettanto di quanto altro esiste: di preti che lottano con le loro comunità per chiedere giustizia, operanti nel salvare sostenere persone in povertà e marginalità, da aspettarsi come servizio per una scelta di vita che ha si Dio per Maestro. ma ne trae beneficio tutta la società , supporto non da poco alle mille povertà esistenti, E’ dunque per questi missionari, che non merita tanto sottolineare chi tradisce il suo credo. In Vaticano oggi ci sono con l’Altare, anche il Gesù che lava i piedi ai “fratelli”un “servizio a ridare dignità e calore umano alla persona Questa è la vera Chiesa la Casa di Pietro, dove Cristo risiede uomo-Dio tra uomini

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E Papa Francesco non è su un trono, ma su una sedia a rotelle che nulla toglie a Suo essere Pontefice Massimo della Chiesa Cattolica e Apostolica, in virtù di quella Saggezza che dispensa e radica nella Parola di Cristo Dio Re dell’Universo. E mai e tenuto a discostarsi pena la veridicità del Maestro suo Signore. Questo potere gli è stato conferito da uno Spirito Santo, per un credente, e come è stato nei Suoi Predecessori, parla a fedeli che in tutte le lingue popolano la terra e giunge a tutti inalterata.acqua viva.E’ un parere personale, per dare tutto e di più di se per Fede, la Grazia e’ una forza, spirito ricevuto dall’alto, testimoniato. il dialogo anziche’ la lotta in armi a dirimere vertenze astiose tra popoli, superare l’odio, come è nell’oggi, non sembra convincere , tanto che alla Pace disarmata pochi sono i sostenitori, eppure migliaia sono i morti, e si pensano credenti, ma ì quale Dio?

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Il celibato è un accessorio? Forse Cristo non la pensa proprio così, forse è un dono a Lui molto gradito, come al Padreerano graditi i frutti di Abele. Dare tutto della propria vita e amore più grande. Cristo ne è l’esempio, così di certi genitori che danno e sacrificano se stessi per amore ai figli,perché rinunciare a un benessere economico per una madre a meglio educare un figlio e amore di cui la stessa società ne beneficia. Ma si parla di Chiesa come un centro di potere, come di un servizio allo Stato, utile certo ma che sembra anche appagare si un desiderio di predicare il Vangelo, servizio ai fratelli, ma anche un appartenere a una distinta Istituzione. Se con famiglia diventa una chiesa onerosa, che sempre e. dal popolo il sostentamento. Infatti dal momento che esistono altre Chiese c’è la scelta, perché voler distruggere la Cattedrale?

  5. Salvo Coco ha detto:

    Sig. Del Bono, non è tutto così semplice. Purtroppo l’opposizione dei conservatori non permette di modificare agevolmente le norme e la dottrina della chiesa. Francesco deve procedere con accortezza e con lentezza. Vorrei dirle inoltre che non è vero che la tradizione cattolica “è tutta da buttare”. Occorre discernimento ed accantonare gradualmente ciò che non è più comprensibile per le donne e gli uomini della modernità ed incarnare la fede nella storia di oggi. Ma il processo di riforma è ostacolato dal clericalismo che vuole che il sistema di potere rimanga inalterato. Contro il clericalismo dobbiamo lottare uniti assieme a Francesco per debellare questa perversione che affligge le nostre comunità da 1700 anni circa.

  6. Pietro Buttiglione ha detto:

    Ieri ho proposto al vice parroco fi guidare un vorso biblico on luogo dell’oncontro sul VCV che detve solo a evidenziare la sua datatura.
    Cosî ad es. Alla sig.ra Vittoria apparirebbe chiaro che i primi seguaci , ai quali dovremmo NOI riferirci ( a meno che non vorremmo essere dei Gesû. Incarnati!) erano sposati..
    Non le basta? Allora studiasse come erano i parroci fino all’anno 1000!
    Davvero qui dilaga la mancanza di info e discernimento!!

  7. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma perché non si vuole sottoporre a critica il fatto che il sacerdote resti celibe per seguire più pienamente il Maestro? Il Maestro Gesù Cristo essendo anche uomo sa perfettamente di ricevere la più alta adesione a servirlo, e come Lui Cristo è venuto per una missione di conversione a Lui di tutta l’umanità, per questo anche il prete lo segue imitandolo a essere suo sacerdote e servitore del gregge a lui affidato. Così come la donna separata non verrà meno alla promessa, ma lo può perché riceve sostegno dall’alto, come avvenuto nella storia di tanti santi .”Il mio giogo e leggero”Si suppone che per questo la Grazia entri a sostenerli, affini il loro spirito aperto a maggiore conoscenza che infusa dall’alto consente loro di meglio comprendere l’umanità nei fratelli e diventare effettivamente più Samaritano. Non quindi facente parte di una laica casta ma di un sacerdozio più efficace è vero. E oggi c’è bisogno di questo “prete”.

    • Salvo Coco ha detto:

      Sig,ra Francesca Vittorio, il celibato è un accessorio assolutamente secondario dell’identità del presbitero. Ed è stato introdotto dal clericalismo. L’obbligo del celibato permane solo nella chiesa cattolica di rito latino. Le chiese cattoliche di rito orientale, le chiese ortodosse e le chiese protestanti mantengono entrambi i presbiterati: quello celibatario e quello uxorato. E questo non inficia minimamente l’identità del presbitero, non è affatto un impedimento per seguire più pienamente il Maestro. Non è l’obbligo o meno del celibato a rappresentare il grave vulnus della dottrina cattolica del sacerdozio cosiddetto ordinato. l problema enorme è la caratteristica sacrale del prete che è in conflitto con il sacerdozio cristiano, che è un sacerdozio laico, esistenziale, scevro da connotati clericali. La riforma della chiesa deve prevedere il superamento di tale concezione clericalista se si vogliono seriamente debellare gli abusi che affliggono le nostre comunità.

      • Gian Piero Del Bono ha detto:

        Salvo Coco se tutto fosse cosi’ semplice e chiaro come dice lei mi spiega perche’ persino papa Francesco, che pure e’ da dieci anni sul trono, non ha cambiato la tradizione consentendo ai preti cattolici di sposarsi? Se tutto e’ così semplice ,senza problemi, se la tradizione del clero latino e’ tutta da buttare, se il celibato dei preti e’ solo male ,se non c’ e’ nulla di buono di vero e di bello in esso, perche’ mm ai tutti i preti, i vescovi e i cardinali ,e il papa e tutti i laici non aboliscono a “furor di popolo” il celibato dei preti cattolici ? Se fosse cosi’ semplice…..

  8. Salvo Coco ha detto:

    Il contributo appare ancora tributario di una concezione teologica in bilico tra l’ecclesiologia di comunione e l’ecclesiologia gerarchica. Le due ecclesiologie, entrambi presenti nei documenti conciliari, continuano a generare una tensione irrisolta. Se si vuole convintamente declericalizzare la chiesa, la funzione di mediazione (tipica del sacerdozio precristiano) deve essere definitivamente superata a favore di una piena valorizzazione del sacerdozio battesimale, laico ed esistenziale, privo di ogni connotato sacrale. Purtroppo il magistero risulta ripiegato a sottolineare (ANCORA !) gli aspetti clericali e gerarchici. Spingendosi (ADDIRITTURA !) ad esaltare la condizione celibataria, indicata come “cuore” del ministero. In direzione opposta si dovrebbe invece incamminare una chiesa “in uscita”. “In uscita anche e soprattutto da una impostazione dottrinale che è la vera causa degli abusi che funestano le nostre comunità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)