Dalla rinuncia di Benedetto XVI in qua è nato, almeno in Italia, un nuovo filone di commentatori delle cose vaticane ed ecclesiali in genere. Sta diventando quasi una nuova specializzazione: io li chiamo i “pompieri pontifici”. Sono di Paolo e di Apollo, “circoncisi” e “gentili”. Non cercateli secondo i soliti schemi: ve ne perdereste qualcuno.
Non vi confondete però. Alcuni commentatori sono onesti: fanno fatica a comprendere cosa stia succedendo e se sia “giusto” o se sia bene e lo dicono senza tanti giri di parole, ma fotografano i fatti. Alcuni poi sembra che le vogliano solo addomesticare le fiamme, prenderci le misure, come certi esperti fuochisti. In effetti, questi due generi non li chiamerei pompieri.
I veri pompieri pontifici, invece, li riconosci perché hanno solo un obiettivo: spegnere il fuoco.
Se poi non illumina o non scalda più come potrebbe tutti quanti, pazienza. L’importante è sentirsi rassicurati e rassicurare chi si preoccupa di questa potenza che divora castelli di carte e di valori precotti, vecchie ordinate casette con tutte le cosine a posto.
Rintuzzano, arrotondano, distinguono, puntualizzano, alludono, consigliano persino un po’ paternalisti, mettono in guardia. Profeti un po’ sogghignanti di profezie che si auto-avverano.
A volte dubito seriamente che ascoltino, che si lascino scaldare, persino scottare un po’ dal fuoco che arde.
Questo genere di pompiere non ha tempo: di ascoltare, di farsi esami di coscienza o fare penitenza. Il pompiere pontificio deve agire, deve dire, deve trovare la quadra, presto e subito. La sua cara vecchia casa brucia, bisogna fare qualcosa. Che sia acqua o sabbia, l’importante è sopire. Che poi acqua e sabbia insieme alla fine facciano fango, o che la loro casa sia costruita davvero sulla roccia, chi se ne importa.