Tutti a lavorare. Per chi? Per cosa?

La parabola dei "lavoratori a giornata" si conclude con il celebre motto su primi ed ultimi. Un libro pubblicato da un amico di questo blog ci presenta una galleria di piccoli cristiani. Saranno loro i primi?
24 Settembre 2023

Se avessi dovuto scrivere una breve recensione del volumetto pubblicato dall’amico Guido Mocellin (e avevo in animo di farlo), l’avrei intitolata “L’album di famiglia”. Se non che, quelle mie note a margine si sono trovate felicemente consonanti con le modeste risonanze domenicali che vado proponendo.

Cronache di un piccolo cristiano (Edizioni San Paolo, agosto 2023) raccoglie gli interventi che l’autore sta pubblicando dal 2017 sul mensile Jesus, nell’omonima rubrica (più alcuni usciti nel 2020 nel settimanale Credere). Un’ottantina di bozzetti, ciascuno da 1800 caratteri (anche meno); sul libro non raggiungono le due paginette. Seguo con simpatia la rubrica e, dunque, il volume non poteva mancare nella mia libreria. Se in molti dei racconti avevo ritrovato me stesso o ritratti di persone a me note, una volta messi tutti insieme, quello ne viene fuori: un album di famiglia. Persone e momenti, le esperienze ordinarie e i sentimenti di tanti fratelli nella fede, qui nelle nostre città.

Evidentemente nel titolo c’è un richiamo a L’avventura di un povero cristiano di Silone. In realtà Mocellin, prima nella rubrica, quindi nella raccolta, aveva già aggiustato il tiro: in questo primo quarto del XXI secolo la condizione evangelica di piccolezza (Lc 12,32) la sperimentiamo sul serio. Anche se, di tanto in tanto, nelle iniziative della chiesa riaffiora un che di pomposo (un che di sovradimensionato, e sovrastimato nelle cronache laiche), la dimensione piccola, di lievito, costituirà la cifra del cristianesimo di domani. E sarà principalmente un lievito di cristiani laici. D’altra parte, parlando dei singoli cristiani, la piccolezza diventa un abito virtuoso (Mt 18,14): le figure che Guido ci propone (di fantasia fino ad un certo punto), sembra che questo abito lo indossino con naturalezza innata.

So che all’autore è molto cara la metafora di Martini riguardo l’appartenenza ecclesiale. Se la Chiesa è un albero, ci sono i cristiani della linfa, i cosiddetti impegnati, che partecipano abbastanza da vicino alle iniziative della parrocchia. Ci sono i cristiani del midollo, che frequentano la messa con qualche regolarità e contribuiscono economicamente alle necessità della Chiesa, ma altro non fanno. Ci sono poi i cristiani della corteccia, che vivono marginalmente rispetto alla comunità cristiana. E i cristiani del muschio, attaccati solo esteriormente. E infine quelli si riparano sotto le fronde. E così le microstorie di Guido provano a raccontarcele tutte queste condizioni. Condizioni che sono anche stagioni della vita: chi oggi a malapena passa di fretta sotto le fronde, forse in passato si è stremato come linfa. [E questa varietà di condizioni non avrà qualcosa a che vedere con la parabola odierna e le chiamate ad ore diverse?] In taluni bozzetti, pochi, di cristiano c’è l’ispirazione remota. In altri, più frequenti, c’è il mondo delle nostre comunità, educatrici, capi scout, diaconi, catechiste, missionari… e tutte le altre e gli altri che in qualche modo orbitano, con frequenze e legami più o meno laschi.

Ho trovato undici volte il verbo “ascoltare”, variamente declinato. È la parola chiave dei nostri tempi. Ma è vero che tutte queste persone parlano: parlano con Dio, con Gesù, con la Vergine Maria. Questo orizzonte trascendente, o semplicemente religioso, è presente quando si “preoccupano” di messe, preghiere e sacramenti (alcuni continuano a tenerci, nessuno ha rimosso del tutto). Talvolta parlano di Dio; ne parlano tra coniugi, con gli amici sul sagrato o per le vie del quartiere; se non parlano, si fanno un segno di croce quando sono al lavoro. Parlano anche della morte e si capisce che aspettano di varcare una soglia per continuare a vivere. E tutto questo succede con semplicità, come la cosa più normale del mondo, senza smanie moderniste, senza ossessioni apologetiche.

Tante volte ci lamentiamo dell’assenza della Chiesa nella pubblica agorà (ricordo, o rimpianto, di ben altre presenze); qui, invece, c’è questo leggerissimo brusio di credenti, leggero come la brezza avvertita da Elia sul monte (1Re 19,12). Ricordo che in qualche occasione Luigi Accattoli, collega e amico di Guido, proprio questo notava: che le nostre comunità, tanto generose nella testimonianza, siano incapaci di “dire la fede”, o quanto meno esitanti. I racconti di Mocellin, sempre privi di enfasi, ci raccontano un modo “piccolo”, e straordinariamente efficace, di dire la fede. Magari ne fossimo tutti capaci.

I quadretti sono in buona parte nel tempo del Covid. Tempi duri sono stati, tanti lutti e tante angosce. E dopo la pandemia abbiamo vissuto la ripresa, il ritorno, tutt’altro che scontato, alla vita comunitaria. A ben vedere, come cercavo di dire sopra, il tema del ritorno mi sembra ricorrente, non solo il ritorno dopo il distanziamento. Mocellin ci parla di ritorni dopo assenze più lunghe, quando la vita ci ha portati lontano. Si torna nei luoghi fisici, o si scoprono luoghi che riattivano le memorie, luogo dello spirito. Si torna e si ritrova qualcosa, qualcuno (o Qualcuno) che, pur nel mutare delle situazioni, non è mai venuto meno. Se volessimo azzardare un paragone laico, potremmo pensare al protagonista di Nuovo Cinema Paradiso.

Non che sia centrale la chiave sentimentale, o nostalgica. Ce lo ricorda la quarta di copertina, con una protagonista che, dopo innumerevoli incontri formativi in cui non ha fatto semplicemente numero, ma ha anche preso accurati appunti, decide di “voltare pagina”.

Forse il messaggio (consapevole o inconsapevole) dell’autore è quello della giovinezza come luogo decisivo. Anche il termine “adolescenti” ricorre una decina di volte. Alcuni protagonisti ritrovano la freschezza e le esperienze che hanno vissuto da adolescenti o da giovani. Sotto sotto, l’autore, anche lui padre di famiglia, ci ricorda che la giovinezza è il luogo in cui si piantano semi buoni, che potranno fiorire nella vita buona e, magari, anche nell’appartenenza ecclesiale. E qui dovremmo sollevare il velo su una questione che tendiamo sistematicamente a rimuovere. Che dire delle giovani generazioni di oggi, la generazione dei figli di Guido e delle mie figlie: avranno anche loro consuetudine con il lessico della fede e della comunità cristiana, che è la lingua madre nel libro di Mocellin?

Oggi leggiamo la parabola della chiamata a lavorare nella vigna, chiamata tanto ampia, quanto varia. La varietà della chiamata (e delle risposte) sconvolge le gerarchie che tendiamo a figurarci: i piccoli operai, di cui parla questo libro, saranno loro i primi di cui parla il Vangelo (Mt 20,16)?

La vigna dovrebbe essere il mondo a cui siamo mandati e penso che sarebbe improprio identificarla solo con la Chiesa, la comunità dei credenti variamente (dis)impegnati. Tuttavia, l’atmosfera che si respira nelle belle pagine dell’amico Guido ci sprona, implicitamente, delicatamente, a dedicare qualche ora di lavoro anche alle nostre piccole, spesso traballanti, comunità, le serre dove si custodiscono i tralci evangelici, da innestare nel campo vasto del mondo. Non so se noi adulti riusciremo a superare il gap generazionale verso i giovani. Ci penserà il buon Dio a far tracimare, nella direzione che lui vuole, quello che di buono riusciremo a combinare.

2 risposte a “Tutti a lavorare. Per chi? Per cosa?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Le persone, fedeli, che assistono alla messa, sono molto sparse; se si visita una chiesa di paese, quanto e’grande, massiccia, piena di banchi, tenuti lucidi se la frequentazione e viva, comunque nel passato certamente la frequentazione era più massiva, di una chiesa orante. Oggi c’è silenzio, forse ognuno pensa solo ed e poco motivato a una partecipazione orale, i tempi sono mutati così il manifestare a partecipare ai riti della Chiesa, però la Fede e resa manifesta in altro modo, quel vivere giornaliero portando la propria croce, e si nota che c’è chi se ne libera, chi la porta nutrendo sentimenti di rabbia, mal sopportando il peso, e altri invece portando la propria si fanno carico di quella del prossimo,E’ questo il miracolo della Fede, sono cristiani anonimi non frequentano i sagrati, ma solo Dio può sapere della loro esistenza, sono luce per un mondo che si illude di trovarla nei bagliori artificiali, che invece come falene, si fanno tanto attirare e bruciano.

  2. Guido Mocellin ha detto:

    Un grazie grande grande grande a Lorenzo Pisani per questa lettura così attenta e profonda dei miei #piccolicristiani e un grazie altrettanto grande grande grande agli altri amici di VinoNuovo.it per lo spazio e l’evidenza data alla recensione.

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