Un giovane presbitero, e caro amico, mi ha segnalato l’articolo di Sergio Di Benedetto sulla crisi del sistema parrocchiale italiano (qui) chiedendomi al contempo di interrogarmi insieme a lui su tale questione.
È evidente a tutti che la forma culturale e organizzativa che l’attuale comunità cristiano-cattolica del nostro Paese ha ereditato dal passato ha fatto il suo tempo e pertanto non sembra più in grado di generare una risposta al cambiamento in atto. È altresì vero che tutte le recenti indagini sociologiche registrano drastiche riduzioni del numero dei partecipanti alle celebrazioni liturgiche, degli ingressi in seminario e delle ordinazioni presbiterali, delle consacrazioni alla vita religiosa, delle iscrizioni alle Facoltà Teologiche sparse sul territorio nazionale. Ormai più o meno tutti ci siamo abituati a simili report ma ritengo che, almeno in Italia, la crisi della Chiesa – e del suo sistema parrocchiale – non risieda soltanto nei risultati di queste indagini o nella consapevolezza che urga cambiare passo. Penso infatti che ci sia qualcosa di più rilevante su cui occorre riflettere, pregare ed agire poiché collocato alle fondamenta del nostro vivere, narrare e trasmettere la fede in questo tempo.
Al termine di ogni celebrazione liturgica il presidente dell’assemblea benedice i partecipanti invitandoli ad un’azione di annuncio del Regno di Dio, e della sua giustizia, nel mondo. Difatti la notoria espressione “la messa è finita” (derivante dall’ite, missa est precedente al Concilio Vaticano II) anziché determinare la cessazione della relazione con il divino – in attesa di riavviarla in un altro e successivo momento di “culto” – sancisce l’invito missionario rivolto al mondo intero fatto di quotidianità connessa alle relazioni familiari, al lavoro, all’impegno per la società e nella comunità degli uomini e delle donne. Dall’invito missionario viene fuori che la parrocchia del cristiano ancor prima che coincidere con un luogo fisico fatto di mura e stanze si concretizza nel mondo ovvero trafficando le svariate dimensioni della vita.
Ne deduciamo che, specie per i laici ma non solo per questi, il sistema parrocchiale non si identifica in un luogo nel quale recarsi bensì in uno stato perenne di missionarietà da vivere. Soltanto con tale interpretazione il lavoro, la famiglia, la politica, la società, le faccende quotidiane potranno divenire autentiche “parrocchie” costituite da uomini e donne che cercano di annunciare e vivere il Regno di Dio e la sua giustizia. Probabilmente in questo tempo siamo chiamati a declinare in profondità le intuizioni di pensatori del secolo scorso – come Sturzo, Bonhoeffer e Rahner – che preannunciavano un cristianesimo del futuro dai connotati “a-religiosi”, “anonimi” e con l’ardente passione di un “Vangelo nascosto nel petto”. Una volta chiarito questo possiamo tranquillamente affermare che l’ansia del credente, ancor prima di coincidere con il tentativo di “portare qualcuno in parrocchia”, è destinata a colorarsi dello slancio missionario rivolto al mondo da attraversare e vivere al pari di tutti gli altri uomini.
Si tratta, per dirla con un titolo provocatorio di un convegno di pastorale giovanile siciliana di qualche anno fa, di fare “fuori” la Chiesa anche perché troppo spesso le parrocchie sono luoghi nei quali anziché avviare prassi di liberazione e di crescita diventano contesti privi di fraternità agapica oltre che di democrazia; incapaci di accoglienza e riconoscimento dei carismi donati dallo Spirito oltre che di integrazione di nuove intelligenze e abilità. Da questo punto di vista, la logica dell’invito missionario posto a termine della liturgia eucaristica sostiene che se viviamo e facciamo “fuori” la Chiesa questa potrà rinnovarsi e, magari, tornare ad alimentare comunitariamente i tanti edifici parrocchiali disseminati nelle nostre città e campagne.
Allora in questo frangente storico siamo invitati a riscoprire il legame fra la celebrazione sacramentale della pasqua domenicale e il vissuto feriale, tra la fede e la vita, fra spiritualità e storica concreta. Soltanto se quest’ultima sarà animata dalla pasqua del Cristo risorto saremo in grado di trovare nuovo senso a strutture che ormai troppo spesso appaiono come prive di vita e destinate a finalità museali.
Si, la Parrocchia cellula del mondo, come la famiglia come pensata da Dio, cellula della società Ieri, mentre ero impegnata al pranzo domenicale per i famigliari, la TV trasmetteva laMessa dal paese di Pinerolo, mi ha distratta l’omelia del Vescovo? Officiante tanto mi ha interessato come ha dato più ampio raggio di sviluppo alla Parola delle Letture così come “dalla lettera di San Paolo apostolo agli Efesini. La pagina dal Vangelo secondo Marco è stata così bene incarnata nel quotidiano che è il vivere nel tempo di oggi, da essere come quella di San Paolo diretta ai presenti non solo in quel Duomo di paese ma anche a tutti altri ascoltatori da TV. Se il Santo Padre Francesco sta a cuore un risultato dall’idea Sinodo, questo sembra essere un passo da considerare positivo. Certo, ogni persona ha doti originali, ma ciò che conta è che la Parola giunga a essere udita per diventare efficace, così anche il ministero del lettore coopera a tal fine.
Proviamo a guardare alla Parrocchia sia come Struttura che come ‘fedeli’.
Matchando ambedue col FUORI di cui parla Rocco.
La mia TESI. Visto dal pdv del ‘resto’ interno il FUORI si presenta come in GUERRA con noi. Un mondo carico di critiche non solo sui tantissimi ∆ tra parole e fatti, non solo sui carichi pendenti dal passato, VERI MACIGNI mai purgati da Costantino in poi😭😰🤐🤐
Fosse solo questo… NO.
Esistono tantissimi punti sui quali non siamo i grado di rispondere alle LORO domande.
Come dice GIL occorre una NUOVA ANTROPOLOGIA.
Quando i ns fedeli parrocchiani si affacceranno FUORI saranno preparati a dare risposte coerenti?
IMO oramai ci siamo troppo esposti x limitarsi al mantra di Paolo : io so che Gesù è morto e….
Invito invece a guardare alla Parrocchia :
Come Struttura?
Oppure come ‘fedeli’?
Inquadrando ambedue col FUORI di cui parla Rocco.
La mia TESI. Visto dal ‘resto’ interno il FUORI si presenta come in GUERRA con noi. Un mondo carico di critiche non solo sui tantissimi ∆ tra parole e fatti, non solo sui carichi pendenti dal passato, VERI MACIGNI mai purgati da Costantino in poi😭😰🤐🤐
Fosse solo questo… NO.
Esistono tantissimi punti sui quali non diamo i grado di rispondere alle LORO domande.
Come dice GIL occorre una NUOVA ANTROPOLOGIA.
Quando i ns fedeli parrocchiani si affacceranno FUORI saranno preparati a dare risposte coerenti?
IMO ci siamo troppo esposti x limitarsi al mantra di Paolo : io so che Gesù è morto e….
Si, ma per vivere e fare “fuori “la chiesa occorre avere fede viva, questa essere tenuta vitale da uno Spirito eucaristico, da ricevere proprio frequentando e tornando all’altare, almeno una volta la settimana. Sembrerebbe inoltre importante ogni tanto avere convegni di approfondimento della Parola incarnata in tutti quei problemi che vive la società e che tocca da vicino la vita quotidiana. di modo che dalla medesima comunità sorga un desiderio di come è quale possa essere l’agire da cristiani, nasce l’azione, che è fratellanza, solidarietà, vicinanza, non un “ite missa est” ma che lo Spirito ispira ad agire quando in famiglia, come nel lavoro, concretezza così diventata visibile genera cambiamento nella societa. E’ fondamentale cultura spirituale educante da trasmettere e far crescere ere alla sequela di Cristo.