L’immagine cristiana di Dio

L'incontro ravvicinato tra San Valentino e la Quaresima fa scoccare scintille d'amore, meglio comprese ascoltando un classico di Franco Battiato
16 Febbraio 2023

Quest’anno San Valentino, la festa degli innamorati, e la Quaresima sono estremamente ravvicinati. Ciò è interessante perché, con l’inizio della prossima Quaresima, nuovamente affronteremo quel lungo percorso che per quaranta giorni ci invita a lasciare da parte (con digiuni, rinunce, “fioretti” ecc.) il superfluo, quello che non è indispensabile, non tanto per mortificarci in un vittimismo fine a se stesso, quanto per riscoprire ciò che davvero, come cristiani e cristiane, dovrebbe essere al centro, al cuore della nostra vita di fede (e non solo): l’Amore.

Solitamente questo centro, questo cuore, viene caratterizzato con il noto versetto che troviamo nella Prima lettera di Giovanni: «Dio è amore», e questo amore (il gioco è facile) lo si riconosce nel dono del Padre, in Gesù (il Figlio) sacrificato sulla croce per la nostra salvezza, per mezzo dello Spirito. Al di là dei evidenti problemi di carattere soteriologico (chi viene prima? Gesù o il peccato? L’amore di Dio o il peccato dell’umanità?) e teologico-fondamentale (che immagine di Dio ci viene rivelata da questo racconto? Un Padre, che sacrifica il Figlio, innocente, per la colpa di altri, in fin dei conti ancora peccatori, merita di essere chiamato Dio?) che una simile interpretazione della Pasqua solleva, sarebbe interessante trovare delle parole capaci di dire l’effettiva novità che, certo, si dischiude davanti a noi nell’evento pasquale di passione, morte e risurrezione (insieme!), ma che allo stesso tempo ci interpella e ci coinvolge in prima persona, e non come passivi ricettori di una (per quanto necessaria e benevola) salvezza divina.

È un poeta siciliano, questa volta, colui al quale vogliamo rivolgerci; un poeta-cantautore recentemente scomparso e che ha lasciato il segno con la sua capacità di dire, guardare e interpretare l’universo della nostra esistenza. In un album del 1988 dal titolo Fisiognomica, Franco Battiato incise come seconda traccia un brano intitolato E ti vengo a cercare.

 

 

Uno tra i più noti, eseguito dal vivo anche in Sala Nervi davanti a papa Giovanni Paolo II, questo brano è chiaramente una poesia d’amore rivolta da un amato alla sua amata. Il parallelo con quanto dicevamo in apertura, dunque, si pone quasi con naturalezza. La nostra domanda infatti potrebbe diventare: chi sta venendo a cercare? Il rapporto tra i due amanti che ci è rivelato dal brano, l’attrazione che li porta all’unione è quasi indicibile. La presenza dell’uno è necessaria all’altro, addirittura «per capire meglio la mia essenza». Non si tratta solo di riconoscersi reciprocamente come dei “soggetti”, come ci direbbe Levinas, bensì di vedere l’altro come chiave, come punto di accesso indispensabile alla propria essenza. È un rapporto, l’amore, che «nasce da meccaniche divine» – come stiamo dicendo – «un rapimento mistico e sensuale» e non qualcosa di teorico. In questo senso, parlare di teoria non vuole necessariamente escludere il riferimento a qualcosa di “astratto”. Semmai, si vuole sottolineare il coinvolgimento personale degli amanti, «rapiti» e «imprigionati» dall’altro. Le parole potrebbero essere state scritte dall’autore del Cantico dei Cantici, che non ha paura della passione dell’amore e del suo carattere divino. L’amore, proprio perché riguardante il tutto della persona che lo vive, non è riducibile a un oggetto, a una «piccola gioia quotidiana». Riguarda tutto l’esserci degli amanti, è qualcosa per cui, come una perla preziosa o un tesoro nascosto, val la pena lasciare tutto, «rinunciare a sé», come dice Battiato (e prima di lui, Gesù stesso).

Con la seconda strofa, la voce dell’amato giunge come una rivelazione («ciò che pensi e che dici»), una rivelazione che «piace» perché «in te vedo le mie radici»: ancora una volta il rimando è all’origine, al senso del proprio esistere (su questo, come visto qui, lo stesso Guccini ha molto da dire…). È a questo punto che l’amante si rivolge, nella sua storicità, al proprio tempo, al proprio «secolo» (nel suo caso, il Novecento), che certo non è trascorso all’insegna dell’amore. Per questo è necessario «essere migliore», per spingersi, quasi come gli antichi Stoici, verso l’Uno (maiuscolo), «un’immagine divina», in cui tuttavia non siamo solo emancipati ma possiamo davvero essere immagine «di questa realtà». L’amore è sempre radicato in una storia e in questa vuole portare il divino, proprio come la croce di Gesù segna la nostra storia.

Giungiamo così alla fine. Ogni amante lo sa: in fondo, l’amato è cercato «perché sto bene con te», ma non solo: ancor più radicalmente, «ho bisogno della tua presenza». Di nuovo, si tratta di un bisogno, di una necessità. È questo che ci spinge all’altro, perché solo nell’apertura all’altro l’amore può trovare il proprio compimento.

Quello di Battiato, in effetti, è un vero capolavoro, tralasciando come sempre (purtroppo) di fare riferimento alla musica, alle tonalità e alle armonie che segnano questa come le altre canzoni che abbiamo provato a rileggere. Un capolavoro, però, dal quale possiamo trarre ancora uno spunto. Potremmo chiederci, infatti: e se Dio non fosse l’amato di cui abbiamo bisogno? E se Dio si ponesse dalla parte dell’amante, di colui che ci dice: «E ti vengo a cercare, perché sto bene con te. Perché ho bisogno della tua presenza»? Siamo creature di Dio, con Gesù scopriamo di essere figli e figlie del Padre. Ebbene, la Quaresima e poi la Pasqua ci mettono di fronte proprio a questo mistero (come definirlo altrimenti!): Dio vuole avere bisogno di noi; senza esagerare, egli vede in noi la sua stessa essenza, che è amore, perché senza di noi, senza l’altro che è non-Dio, il suo amore divino non è completo. Per questo Dio si fa carne fino alla morte, per cercare e amare l’altro da sé. È questa la Pasqua, è questa l’immagine di Dio che ci viene rivelata da Gesù, un’immagine forse capace di suscitare davvero in noi quella fede che sarà di Tommaso e che, intrecciando le parole, ci fa dire, a nostra volta: «E ti vengo a cercare, mio Signore e mio Dio».

 

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