La promessa di un nuovo anno per vivere

Da chi ci facciamo dettare le attese e le speranze? Dai mass media di turno o dalle nostre singolarità?
29 Dicembre 2022

La fine di un anno e il relativo prospettarsi di un nuovo inizio sono sempre l’occasione per fare il punto della situazione, non solo a livello nazionale o globale, come fanno i tanti “discorsi” che possiamo seguire in televisione e con i mass media, ma anche (e forse soprattutto) a livello personale, guardando alla propria vita, alla propria storia. L’obiettivo, in questo caso, non è “lamentarsi” di quanto le cose siano andate male o “gongolarsi” nel proprio compiacimento per essere riusciti a superare le diverse intemperie che si sono dovute affrontare nel corso dell’anno appena passato. Questi sentimenti attraversano la mente di ognuno, chi più e chi meno, ma allo stesso tempo fanno sì che siano la società, l’economia, la pandemia, la politica ecc. a definire come sia andato quest’ultimo anno della nostra vita. Insomma, il “mondo” che ci circonda finisce per condizionare non solo lo scorrere della nostra vita (com’è inevitabile che sia) ma anche il nostro modo di guardarlo e di giudicarlo (cosa che dovrebbe rimanere, invero, solo ed esclusivamente nostra, ciascuno guardando al proprio sé). Recuperare uno sguardo singolare. Così potremmo definire lo sforzo, il dovere cui ciascuno di noi è chiamato, alla fine di un altro anno, guardando alla propria (appunto) vita.

Questa, d’altro canto, sembra essere la conclusione cui è giunto uno dei grandi cantautori del secolo scorso, che in tutta la sua produzione si è sempre rivelato unico, innovativo e capace di parlare a ciascuno e in ogni tempo. Lucio Dalla, nel lontano 1979, pubblicò una canzone dal titolo L’anno che verrà, brano a dir poco conosciutissimo.

In quello che sembra un leggero divertissement, per «distrarsi un po’», il protagonista scrive una lettera a un non meglio identificato «amico» proprio nel momento in cui un anno, ormai finito, sta lasciando il campo a uno nuovo. Abbiamo così un testo in cui, in un primo tempo, il cantante prova a raccontare quel «qualcosa» che «ancora qui non va». In sintesi, possiamo riconoscere una radicale difficoltà a comunicare, a condividere («si sta senza parlare per intere settimane»), costruendo barriere e difese invece di aprirsi al prossimo (interpreto così i «sacchi di sabbia vicino alla finestra»). In un secondo tempo, invece, il testo riporta le attese e le aspettative per il nuovo anno, in apparenza ben più radioso e promettente di quello appena passato. È un po’ la speranza che abita ciascuno di noi ogni 31 dicembre (specialmente da qualche anno a questa parte): che il tempo che abbiamo di fronte sia migliore di quello passato, talvolta con il sottotesto implicito: «E come potrebbe andare peggio?!».

Due cose trovo interessanti. Innanzitutto, queste aspettative riguardano preoccupazioni che da sempre caratterizzano i desideri più fondamentali dell’umanità: pace e serenità (temi tipici del Natale, che sarà festeggiato addirittura «tre volte»), la fine della sofferenza (come Cristo che scende dalla croce), la stabilità economica (mangiare e luce), pari opportunità per tutti, superando ogni disabilità (muti e sordi compresi, ribadendo così il tema della comunicazione da ritrovare) e, infine, un accordo sereno su temi già allora spinosi, in primis la sessualità (oggi parleremmo anche di abusi…), senza doversi più preoccupare di coloro che sempre e in ogni epoca si possono definire con buone ragione «furbi» e «cretini». Insomma, il mondo che tutti vorrebbero.

Il secondo aspetto interessante è l’origine di queste aspettative: la televisione. Un colpo di genio, oserei dire. Limpida descrizione di come già allora (nel 1979) fossero i mass media a definire le attese, le speranze capaci di orientare la vita delle persone. Se lo dice la televisione, dev’essere vero. E oggi potremmo tranquillamente aggiungervi gli influencer, gli youtuber, i post, i video su Tiktok ecc. Tutti promettono una «trasformazione» e vogliono consigliarti il modo più veloce per ottenerla.

Certo, una gran bella trasformazione. Saremmo davvero tutti contenti «di essere qui in questo momento» per poter vivere di persona questo cambiamento. Purtroppo, però, la conclusione ci riporta a una realtà che si rivela essere quantomeno dolce-amara. Queste aspettative, questi programmi, queste promesse, non sono altro che frutto della nostra fantasia, anzi, potremmo dire del nostro istinto di sopravvivenza. Solo così, infatti, con questo volo pindarico, possiamo affrontare la ben più dura realtà, «riderci sopra e continuare a sperare». La speranza ha sempre bisogno di essere alimentata, e talvolta l’immaginazione è più utile di qualsiasi programmazione.

D’altra parte, non si può vivere di fantasia, di sogni, di desideri irrealizzabili. Infatti, come siamo soliti dire, l’anno nuovo che sta per arrivare tende a scorrere troppo velocemente, a passare «in un istante», e ci costringe a stare con i piedi ben piantati nel suo tempo e nella sua (e nostra) realtà. È fondamentale, quindi, «che in questo istante ci sia anch’io».

È proprio così. Il tempo scorre, la storia ci segna e ci in-segna, ma per viverla dobbiamo esserci, in maniera unica e singolare. Solo così potremo davvero vivere questo nuovo anno e, quando tornerà la fine, guardare indietro alla nostra vita e riconoscere, in ogni giorno passato, i segni della nostra presenza. «È questa la novità»: noi ci prepariamo per esserci, perché l’anno non passi senza di noi, perché la “grande storia”, che ci sembra sempre di qualcun altro, non prenda il posto della nostra storia, che solo noi possiamo scrivere e che, alla fine, è la sola che davvero saprà dire chi siamo stati, chi vogliamo essere e chi saremo.

Grazie Lucio di questa canzone, anzi: grazie di questa lettera, perché alla fine, forse, questo «caro amico» potrebbe essere proprio ciascuno di noi, chiamato a non perdersi nelle “troppo belle” promesse che altri ci fanno (TV, rete, pubblicità…) ma a trovare dentro di sé, nella propria presenza, nella propria vita quella promessa che attende solo di essere scoperta e che sempre ci incalza a dare nuovo senso, nuova profondità, nuova bellezza alla nostra libertà, unica e irripetibile, perché così, unico e irripetibile, è l’anno appena passato e solo così, unico e irripetibile, potrà essere il nostro anno che verrà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)