Il venir meno di una differenza

In tempi di governi forti ed opposizioni confuse, forse, quello di Gaber è ancora un vino invecchiato bene...
12 Gennaio 2023

Un argomento che si sente risuonare da qualche anno a questa parte nel dibattito pubblico, riguarda il venir meno, in ambito politico, della apparentemente sorpassata e anacronistica distinzione tra destra e sinistra.

Sono fortemente convinto che questa prospettiva sia semplicemente sbagliata, in quanto priva la discussione pubblica e il processo di formazione di una coscienza critica da parte dei cittadini di uno strumento simbolico-ermeneutico fondamentale per leggere e interpretare la realtà. Può venirci in aiuto, allora, un esperto paroliere e un acuto lettore della società, che per certi versi sembra essersi posto la nostra stessa domanda.

Stiamo parlando di Giorgio Gaber e, in particolare, di una sua canzone: Destra e sinistra. Gaber debutta con questo brano in un album del 1994, «E pensare che c’era il pensiero». Per chi conosce il testo, è evidente il carattere ironico, leggero e spigliato di questa canzone. Come può, però, una canzone dedicata alla politica suscitare ilarità, ironia e condivisione (da una parte e dall’altra) senza, potremmo dire, “essere di parte”?

 

Fin dalle prime battute notiamo come Gaber non ci offra una vera e propria definizione ideologica di ciò che è «destra» e ciò che è «sinistra». L’autore invero ci propone un lungo elenco di coppie di soggetti concreti, pratici, reali (bagno-doccia; culatello-mortadella; nutella-cioccolata svizzera…) assegnando ora l’uno ora l’altro alla «destra» o alla «sinistra». Non si parla di amore, libertà, uguaglianza, razzismo ecc. Se si escludono due coppie di termini più astratti ma che dicono ben poco tanto della destra quanto della sinistra (vale a dire le coppie fortuna/sfiga e moralismo/mancanza di morale), l’unico altro soggetto astratto – e forse il più politicizzato – è il «pensiero liberale», che guarda caso sembra andare bene tanto per la destra quanto per la sinistra.

Due ritornelli fanno da cornice a questo brano: «Tutti noi ce la prendiamo con la storia ma io dico che la colpa è nostra. È evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra e destra». Il testo è fin troppo esplicito: è necessario un chiarimento per poter parlare correttamente di destra e di sinistra, diversamente da quanto fa la gente comune.

Chi dovrebbe farsi carico di questo chiarimento? Potremmo dire che è l’autore stesso ad assumersi l’incarico, riconoscendosi (insieme ad altri) “colpevole” di questa mancanza di serietà, non imputabile banalmente al sempre comodo capro espiatorio della «storia». Se la situazione politica attuale è poco chiara, se è poco chiaro ciò che significa «destra» e «sinistra» ed è ancora meno chiaro cosa queste debbano fare o essere, la colpa è solo nostra, di chi vive la storia dando per scontate determinate cose che tali invece non sono e, anzi, se si danno per scontate, si finisce col cadere in una confusione, in un indifferentismo che può portare solo a “chiacchiere” poco serie.

Fatta questa premessa, la canzone entra nel vivo, ponendo chiaramente una domanda: «Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?», e offrendo diverse risposte. In effetti, come abbiamo già osservato, la canzone non vuole offrire definizione o spiegazioni teoriche, e forse è proprio questa la risposta più eloquente alla domanda stessa. L’elenco di oggetti, situazioni, aggettivi, usanze che possono dare un’idea di ciò che s’intenda con «destra» e «sinistra» in realtà è il segno che non ci è rimasto altro che questo. Perché la canzone non risponde alla domanda che pure offre? Essa, invero, risponde, ma lo fa con i mezzi poveri, inadeguati e alla fine insufficienti, che ci sono rimasti per definire «destra» e «sinistra». Un insieme di atteggiamenti, di comportamenti, di segni, di oggetti che popolarmente, comunemente, banalmente e convenzionalmente (nonché spesso pregiudizialmente) vengono definiti tipici di destra o di sinistra. Cosa è la «destra», cosa è la «sinistra»? Forse, dobbiamo ammettere che non lo sappiamo, perché tutto ciò che ci è rimasto sono solo dei luoghi comuni; dobbiamo ammettere che da questo punto di vista siamo, o meglio siamo diventati, in-fanti, non sappiamo parlare, non abbiamo le parole per dire ciò che probabilmente non sappiamo neanche più conoscere e approfondire.

Questo, comunque, non basta a rendere evidente il messaggio che la canzone vuole comunicarci. L’autore in effetti parla anche di «ideologia». Questo termine ci introduce in un clima più serio, che prende più direttamente in considerazione la nostra domanda.

Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare il senso più profondo di questo termine, un senso che forse in politica non può mancare: l’ideologia quale orizzonte di senso più ampio, in cui il politico deve agire e seguendo il quale può guidare e orientare i propri interventi, a ogni livello, in una prospettiva a lungo termine, immaginando la realtà sociale che vuole formare.

Cosa pensa Gaber riguardo l’ideologia? «Malgrado tutto credo ancora che ci sia». Questo è già un indizio: l’ideologia non è morta, non è finita ma c’è. Dove la si può trovare? A questo punto possiamo confrontare le due definizioni o meglio descrizioni che ci vengono proposte: «È la passione, l’ossessione della tua diversità»; «è continuare ad affermare un pensiero e il suo perché con la scusa di un contrasto».

In entrambe le definizioni ritroviamo un implicito: per avere un’ideologia bisogna essere in due, infatti la «diversità» c’è in relazione a qualcosa e un «contrasto» s’instaura solo con qualcuno. Allo stesso tempo, abbiamo anche un altro punto in comune: la diversità e il contrasto non esistono. Il contrasto «non c’è, se c’è chi sa dov’è»; la diversità «al momento dove è andata non si sa». È questo il vero problema della politica, allora come oggi: mancano le parti. Perché non si riesce a definire destra e sinistra? Perché non esistono.

Oggi questo contenuto, queste posizioni differenti, queste diverse ideologie non esistono più; come già dicevamo, ne sono rimasti solo i segni esteriori, le etichette, divenuti così luoghi comuni.

Non c’è più divisione, potremmo dire, perché non c’è più politica, non c’è più interesse per la pólis. I politici hanno smarrito l’interesse per lo Stato e per il suo bene comune, in altre parole per i cittadini che costituiscono questo Stato e verso i quali dovrebbe orientarsi il loro sforzo. È da questo interesse, infatti, che possono formarsi e nascere quei valori, quei punti fermi che vanno poi a costituire un’ideologia nel senso più nobile del termine, un discorso riguardante un’idea solida, in questo caso di politica, di Stato, di società.

Forse, allora, è vero che l’ideologia non è ancora finita, non è ancora morta; purtroppo, però, non sappiamo dove trovarla, dove possa essere. Questo è il segnale di una perdita ancora più profonda dal punto di vista politico-sociale. Non c’è più ideologia, non c’è più «destra» e «sinistra» perché abbiamo perso noi stessi, abbiamo perso il nostro essere a favore di qualcosa o qualcos’altro, il nostro prendere posizione, il nostro credere in determinati valori e ideali, disposti al confronto e allo scontro per mantenerli e tutelarli.

Quando si parla di «destra» e di «sinistra», non si parla di luoghi comuni o di anacronismi da superare; si tratta invece di ritrovare noi stessi e il desiderio di sostenere determinati principi affinché si possa produrre il principale effetto benefico: la rinascita di un confronto serio, aperto, trasparente e dialogico per una crescita comune, nell’unico “campo di battaglia” che merita d’essere frequentato, quello per la verità.

 

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