I cristianesimi prima del “cristianesimo”

Quale tempo liturgico migliore dell'Avvento per illuminare la storia cristiana prima dell'avvento del "cristianesimo di Stato"?
11 Dicembre 2023

Quando parliamo dei contenuti del cristianesimo, ci riferiamo in automatico a quel complesso di saperi dottrinali e teologici  che hanno preso forma a partire dal IV-V secolo, periodo in cui, dopo l’editto di Milano sulla libertà di culto promulgato da Costantino nel 313, i cristiani poterono occuparsi liberamente di ciò che li riguardava (dottrina, liturgia, festività ecc.) senza più l’incubo delle persecuzioni.

In questo modo, però, viene trascurato il periodo precedente, nel quale in realtà si confrontarono correnti di pensiero che, pur essendo molto diverse tra di loro, si ritenevano tutte cristiane. Sono quelle che furono definite come eretiche, peraltro solo dopo che si affermò la linea che da quel momento in poi fu definita come “ortodossa”.

Si ritiene che il primitivo progetto del complesso episcopale aquileiese risalga addirittura al III secolo, un periodo di grande fermento religioso. E una prima sorpresa è legata alla evidenza del legame, prima commerciale e poi anche religioso, tra Aquileia e Alessandria d’Egitto: la prima comunità cristiana di Aquileia proveniva proprio da Alessandria d’Egitto.  Questa comunità probabilmente acquistò alcune strutture preesistenti (forse dei magazzini) su cui fu costruita la prima basilica, decorata con preziosi mosaici. Mosaici che furono coperti nei secoli successivi per i rifacimenti della basilica stessa, poi riportati alla luce all’inizio del ‘900 e che costituiscono ad oggi  il più esteso mosaico paleocristiano del mondo occidentale.

Gli studiosi che si sono dedicati allo studio di questi mosaici, però, hanno avuto delle notevoli difficoltà a dare un significato alle immagini rappresentate, non essendo queste riferibili alla simbologia classica del cristianesimo. Ed ecco la seconda sorpresa: uno studioso friulano, Renato Jacumin, ha collegato la rappresentazione musiva della basilica ad un ambiente gnostico, con particolare riferimento ad un testo di provenienza egiziana, la Pistis sofia. Questa sorprendente chiave di lettura viene ripresa da Claudia Giordani, funzionaria museale e divulgatrice storico-scientifica, nel suo testo “Il cristianesimo egiziano di Aquileia” (Gaspari editore, 2020).

 

La Giordani ripercorre le vicende della scoperta e delle difficoltà di interpretazione del mosaico della basilica e riprende la tesi di Jacumin, andando ad analizzare alcune specifiche rappresentazioni presenti nella basilica, tra cui quella, particolarmente oscura, della lotta tra il gallo e la tartaruga.

 

La lotta tra il gallo e la tartaruga ricorre due volte nel mosaico e rappresenta un unicum in ambito paleocristiano; per decifrarla, bisogna dunque rivolgersi ad altri contesti culturali. Una prima ipotesi interpretativa la collocava in ambito mitraico, ma successivi approfondimenti hanno consentito di formulare ipotesi più convincenti. E’ stato notato, infatti, che nell’iconografia romana gallo e tartaruga sono animali sacri a Mercurio, unica divinità in grado di attraversare il confine tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi.Il gallo veniva associato tradizionalmente alla luce del sole, poiché annuncia con il suo canto il nuovo giorno, mentre la tartaruga in Egitto era considerata un demone nemico di Ra, la divinità solare. Sant’Ippolito, nei suoi scritti contro gli eretici, afferma che gli gnostici ritengono che Hermes sia il Logos, associandolo alla figura di Cristo per il suo potere di destare i morti, così come riferiscono le Scritture (cfr. Ef 5,11).

Dice la Giordani che “i rimandi alla iconografia tipica del dio Mercurio possono quindi rientrare a pieno titolo nel quadro che stiamo delineando. Il richiamo alla funzione di psicopompo [traghettatore delle anime] del dio pagano risulta dunque in totale coerenza col contesto di senso fin qui evidenziato (…). Il fatto che Cristo appaia rappresentato con sembianze e attributi del dio su gemme gnostiche databili al I sec. d.C. può costituirne una ulteriore conferma. (…) Bisogna dunque pensare che una delle prime modalità di rappresentazione del Cristo nell’Egitto greco-romano possa essere stata mutuata proprio dall’iconografia ermetica (…). Ecco allora che, se Hermes/Mercurio simboleggia il Cristo, anche gli animali riferibili al dio guadagneranno, rispetto al Salvatore, un senso nuovo (…). Si può facilmente apprezzare come elementi noti e inquadrabili in un preciso contesto siano riutilizzati e rimescolati per ricreare un contesto nuovo che si sovrapponga all’antico, trasformandolo”.

La lotta dei due animali, secondo questa suggestiva interpretazione, rappresenterebbe dunque la lotta tra luce e tenebre, spirito e materia, bene e male, tipica del dualismo gnostico. Ma Ippolito ci offre anche un altro spunto che ci permette di decifrare un ulteriore elemento del mosaico, cioè la boccetta di profumo posta sulla colonna dietro ai due animali. Infatti, Ippolito ci dice che, nella visione gnostica, nel mezzo dei princìpi contrapposti di luce e tenebra si pone lo Spirito sotto forma di profumo di mirra o incenso, e proprio a questo alluderebbe la boccetta posta sulla colonna. “Ancora una volta – sottolinea la Giordani – è l’Egitto a cui dobbiamo rivolgerci per uscire dalle sacche dell’aporia interpretativa”.

Il testo si conclude con l’auspicio che si possano proseguire gli studi su questi straordinari mosaici “con occhi scevri da preconcetti e interessi di parte perché questo passato possa ancora parlarci (…). Non vi è infatti nulla di segreto che non sarà manifestato e nulla di nascosto che non sarà messo in luce”. Approfondire questi studi potrebbe sicuramente accendere una nuova luce sulla storia del cristianesimo prima di Costantino, in particolare relativamente ad Alessandria d’Egitto, capitale culturale dell’ellenismo e luogo in cui fiorirono già a partire dal II secolo diverse scuole, a capo delle quali c’erano maestri che miravano a dare al cristianesimo una propria consistenza filosofica e sapienziale. La gnosi, il percorso di conoscenza, affascinò anche padri della chiesa come Clemente di Alessandria, il quale riteneva che la cultura, specie filosofica, fosse indispensabile per ottenere una gnosi cristiana che consentisse ai semplici fedeli ma anche a chi rivestiva cariche ufficiali di avvicinarsi maggiormente a Dio.

A sostegno delle sue tesi, Clemente non esitò a citare un detto apocrifo di Gesù, presente nel vangelo gnostico di Tommaso, che ancora oggi mantiene intatto il suo fascino: “Colui che cerca non smetta di cercare finché non avrà trovato; quando avrà trovato si stupirà; stupito regnerà e giunto al Regno si riposerà”. Non trascurare lo studio del cristianesimo (o dei cristianesimi) delle origini ci può dunque offrire spunti e nutrimento per la nostra fede di oggi, spesso un po’ ingrigita e spenta, e ci può dare la forza (riprendendo le parole della Giordani) “di trarre dal passato quegli insegnamenti in grado di cambiare il nostro futuro”.

 

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