Il matrimonio in uscita (di sicurezza)

Cosa c'è di davvero interessante e nuovo nel gesto di Papa Francesco? Che il matrimonio non è una conquista, ma un dono che ti raggiunge in un modo inaspettato e rende eterno il desiderio della tua fragile umanità.
20 Gennaio 2018

Se avevamo ancora bisogno della dimostrazione lampante della profonda distanza che c’è tra la pastorale delle nostre parrocchie e l’idea di pastorale “in uscita” di Papa Francesco e di Evangelii Gaudium, il matrimonio “improvvisato” che il Papa ha celebrato in aereo, di ritorno dal Cile, tra una hostess e uno steward non lascia dubbi. A fronte dei nostri corsi prematrimoniali fatti di dieci incontri in sei mesi con frequenza obbligatoria dell’80%, valevoli per un massimo di due anni, altrimenti vanno rifatti, con produzione di un certificato che attesta la frequenza, indispensabile per accedere al sacramento (in alcuni casi non basta nemmeno l’attestato di un qualsiasi corso: serve esclusivamente quello tenuto dal proprio parroco!)… a fronte della nostra obbligatorietà e burocrazia il Papa incontra una coppia che desidera il matrimonio cristiano in aereo e li sposa seduta stante.

Un gesto che spiazza non poco! E sono deboli i tentativi di attenuarne la portata dicendo che in fondo la coppia era già sposata civilmente, viveva insieme da anni, aveva già dei figli… da noi, sposato civilmente o no, figli o non figli, il corso prematrimoniale lo devi fare!

Ma credo che al di là della discussione sull’episodio in sé sia interessante soffermarsi sulla logica che vi sta dietro, che è la logica di Evangelii Gaudium, questa sconosciuta nelle nostre diocesi e parrocchie. Cosa c’è di davvero interessante e nuovo nel gesto di Papa Francesco? La capacità che ha avuto di mettere al centro non ciò che lui aveva da dire ma il desiderio di un uomo ed una donna, e di far percepire loro in modo tangibile e sorprendente – come è ogni autentico incontro con Dio – che quel loro desiderio è lo stesso desiderio di Dio per loro. Che il matrimonio è anzitutto un dono che ti raggiunge in un modo inaspettato, il dono che sigilla e rende eterno il desiderio della tua fragile umanità. Come è stato possibile rendere lampante tutto questo? Andando a prendere questi due innamorati là dove non si aspettavano di essere raggiunti, nella loro quotidianità, sul loro posto di lavoro: con un movimento in uscita che non sarebbe mai potuto essere più marcato.

Facciamo una grande fatica a entrare in questa logica, perché abbiamo invece in mente che il matrimonio, così come ogni altro sacramento, debba essere sostanzialmente una conquista. Qualcosa per cui serve anzitutto prepararsi, interrogarsi, riflettere. Certo, ci crediamo che il matrimonio è un dono, ma pensiamo che la consapevolezza di questo dono debba essere spiegata, meditata, capita. Ed ecco allora l’obbligo del corso prematrimoniale: per spiegare il dono del matrimonio. Se non c’è il corso, come potranno gli sposi capire il dono che stanno ricevendo? Come potranno essere consapevoli di tutti i significati che quel dono porta con sé? Come potranno capire la dimensione unitiva di questo dono che non può essere disgiunta da quella procreativa, ossia non tenere per sé quanto ricevuto ma farne dono a propria volta?

Come se tutta la ricchezza della vita matrimoniale potesse essere trasmessa e interiorizzata in dieci incontri obbligatori. “È l’unico luogo dove possono sentire certi discorsi!”, ma davvero ci basta che una volta nella vita ne sentano parlare? “Beh, se non si lasciano interrogare da quello che diciamo al corso, la colpa è loro, noi il nostro l’abbiamo fatto!”, e ci siamo così puliti la coscienza. Senza considerare l’assurdità di alcune nostre pretese, come ad esempio quella che una coppia che convive da dieci anni e ha già due figli abbia bisogno di farsi spiegare da me, che ho scelto di non avere moglie e figli, il senso della vita coniugale. Come se il senso della loro vita di coppia fosse da un’altra parte rispetto all’esperienza che già vivono, un senso che io ho studiato e quindi ho la pretesa di comunicargli.

La grande rivoluzione pastorale di Papa Francesco sta nello scardinare il concetto che la catechesi, la formazione cristiana, sia una teoria. Una teoria da spiegare, capire e da cui trarre delle conseguenze. Una teoria che io so e tu devi imparare. Francesco ha invece in mente un’evangelizzazione che è fatta di incontri personali, di gesti, di testimonianza nel quotidiano, là dove tu sei e non ti aspetti niente di diverso da ciò che sei abituato a vedere, come quei quattro pescatori quella mattina sul lago di Galilea, come quella donna al pozzo con la brocca, come quel pubblicano seduto al banco delle imposte… Una testimonianza che non è a senso unico ma è lasciarsi evangelizzare a vicenda, perché la tua esperienza di vita ha qualcosa da dire al Vangelo e al modo di viverlo nel quotidiano: come quella donna cananea che insegna a Gesù che anche i cagnolini si cibano del pane che cade dalla tavola dei figli. Una testimonianza che ha i tratti dell’inaspettato e che per questo attrae, senza bisogno di altro, interroga e permette non di capire ma di sperimentare che c’è un amore che ti raggiunge e abbraccia la tua vita e quella della persona con cui hai scelto di condividerla.

Credo sia importante lasciarci scuotere da gesti come quello di Papa Francesco, andando oltre le discussioni sterili e cogliendone il senso profondo. Per provare anche noi, nel nostro piccolo, a iniziare a pensare e ad agire con una logica diversa. 

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