A Natale, la vera misura di Dio

Per un Natale che viva l’incarnazione di Dio e sproni a tentare ricostruzione di bene.
25 Dicembre 2023

Arriviamo a questo Natale 2023 gravati dalle pene del mondo, che sembrano non cessare, che sembrano moltiplicarsi, ogni anno di più: prima la pandemia, poi una guerra alle porte d’Europa, insieme a molte altre mai chiuse; e ora, di nuovo, un’altra guerra nella terra antica dove, secondo il Vangelo, si diffuse per la prima volta il canto degli angeli: «Sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Ma dove è la pace agli uomini? È una domanda vera, che non possiamo eludere. Troppa violenza, ancora una volta, in questo Natale. Ferite invece che suture; vendette invece che ricomposizioni. Dov’è la pace?
Eppure risuona ancora quell’annuncio che squarcia la notte: «È nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». C’è una tenue speranza, c’è una salvezza, nel buio del mondo, nella notte del mondo. E questa salvezza è inattesa, sorprendente e indifesa: «un bambino avvolto in fasce», indica una voce nella notte. Per quella nascita si rincorrono, nella notte del mistero, voci di angeli, voci di pastori, voci di molti, nel nascondimento della storia. Stupore e timore, gioia e contemplazione. Ma anche rifiuto, dimenticanza, indifferenza di molti: «Eppure il mondo non lo ha riconosciuto», dice il Prologo di Giovanni.

Il Dio a cui crediamo, il Dio che riteniamo affidabile per la nostra vita è un Dio che fonda tutto sulla sua incarnazione: un bambino, un piccolo bambino è il Dio che attraversa la storia, che attraversa la vita. Non è un Dio magico, che tutto risolve, che tutto chiede per concedere a suo piacimento. Non un Dio di potenza sfolgorante. Ma è un neonato, che piange, che dorme, che è bisognoso di cure, che necessita del latte della madre, che deve essere avvolto in panni caldi, che non deve prendere freddo. L’incarnazione non è apparenza: il Cristo è vero Dio, ma anche vero uomo. Ed è vero uomo nella misura di un bambino: «crederti è accogliere la tua misura», scriveva David Maria Turoldo in Litania ininterrotta. A queste metriche, a queste proporzioni noi siamo chiamati, nella notte di Betlemme. Ci affidiamo a un Dio bambino, che a sua volta si affida a uomini e donne: circolo che risolleva e conferisce dignità alla creatura, rendendola destinataria di un compito di bene: accudire Dio.
Il Dio bambino trova subito le difficoltà del vivere: nasce in un alloggio di fortuna, in un paese in ombra, occupato e diviso, accudito da due povere persone. La regalità di Dio, l’infinito di Dio non è forza che sottomette, potenza che atterrisce. «L’infinito non è superficie ma profondità» (Ensemble la musique et le souvenir), annotava Yves Bonnefoy in una delle sue ultime poesie; l’infinito di Dio, a cui oggi vogliamo accostarci, a cui vogliamo donare il nostro sguardo, è un infinito di profondità, un infinito che si muove sulla linea verticale: in una società, in un tempo che scorre orizzontale, scivolando repentino e vorace su molte vite, varrà la pena ricordarci che un Dio incarnato in un Bambino richiede attenzione, sosta, ascolto. Richiede di avvertire tutto il peso della carne, salvata e innalzata nella scelta di Dio, ma che nulla rifiuta della sua concretezza. Quante volte il Bambino avrà svegliato Maria, di notte? Quante volte lo sguardo di Giuseppe e Maria si sarà fatto interrogativo, di fronte a un segno, a un lamento, a un pianto?

È urgente per i cristiani riscoprire la forza dell’incarnazione, che ci autorizza ad abitare il mondo fino in fondo, nella sua vastità e nelle sue contraddizioni. E, in questo, sentire le gioie e i doni della vita, provare commozione per le vite che nascono, per il bene che resiste, per l’amore che non si esaurisce. Al tempo stesso dobbiamo sentirci chiamati a non accettare la violenza, nelle sue varie scale di grandezza: dalla guerra al conflitto che può toccare il nostro quotidiano, coinvolgendo parole e azioni, gesti e pensieri. L’incarnazione di Dio e la sua nascita ci chiedono di evitare le fratture nei rapporti, ci spinge al balsamo della misericordia, ci domanda di riannodare, di costruire, di non farci travolgere da macerie di umanità. Ci invita alla fiducia, ci propone il rischio di stare con gli altri nelle pagine della storia.
Perché il Dio incarnato sollecita le nostre responsabilità: «In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini; / la luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta», conferma l’evangelista Giovanni. La luce non è stata vinta dalle tenebre. Sentiamoci autorizzati, se ne abbiamo il dono, di godere del bene che sperimentiamo. Ma sentiamoci anche in comunione con chi sente il dolore del mondo: sono i cangianti riflessi delle vetrate che compongono le esistenze di uomini e donne, da sempre. Perché, dobbiamo riconoscerlo, non c’è mai stato un tempo felice per l’annuncio di Betlemme. Quest’anno si ricorda il presepe di Greccio: non dobbiamo dimenticare che l’intuizione di Francesco che decide di allestire la rappresentazione della Natività, nel Natale del 1223, giunge in un momento di sua profonda crisi: egli sente il bisogno di dare concretezza, di dare carne a ciò in cui crede, perché vive un tempo di grande fatica. Molti frati gli si oppongono, lo criticano, lo rifiutano, spesso compiendo scelte che Francesco non approva. Ha problemi di salute. Scrive la regola, quasi costretto, contro le sue prime intenzioni. È da queste tenebre che si schiude il commovente desiderio di Francesco di sentire nella carne la letizia del Natale, dando forza alle parole del Vangelo: «Le tenebre non l’hanno vinta».

In questo XXI secolo di consumo ininterrotto, in cui il Natale rischia di divenire ormai una fiera banale, una fiera «decomposta», secondo l’appunto di Ungaretti (In memoria), riandare all’esempio di Francesco ci farà del bene, perché ricorda che il Natale è festa concreta, di carne, di legami reali, di tentativi veri di solidarietà, di edificazioni tenaci di tenerezza. E che, pur nelle sofferenze di molti, ancora può farsi spazio una consolazione: «in lui era la vita». È in quel Bambino che può esserci vita: vita buona, vita autentica, vita feconda, vita piena.
Madeleine Delbrêl, dall’angolo nascosto di Ivry, periferia d’Europa dove aveva scelto di vivere, scriveva nel Il Natale dei poveri, o Nostra Signora del Metrò: «Stanotte, è Natale. / È la grande visita dell’eterno amore, dell’eterno amico», aggiungendo poco dopo:

«Ritornando alle vostre case, nelle strade, nel mondo,
a vostra volta, a tutti, voi insegnerete, voi griderete,
voi canterete la buona novella:
un bambino è nato per noi.
Ci è stato dato un salvatore.
Rallegriamoci,
e siamo nella gioia!»

Era il 1945, anno di speranza ma anche di distruzioni ancora diffuse, quello in cui flagra l’annuncio a vivere nella gioia.

Nei nostri limiti, nelle pieghe delle nostre storie, giunga l’augurio di un Natale incarnato, all’incrocio tra la carne di Dio e la carne dei fratelli, per tentare sempre di costruire, di avvicinare, di unire. Tentare sempre, nella speranza dell’esito: «Noi non siamo sconfitti / soltanto perché continuammo a tentare» (Thomas. S. Eliot, Four Quartes)

Cara lettrice, caro lettore, che siano auguri di Natale capaci di bene.

(ph: The Metropolitan Museum of Arts, Nativity, 14th century)

 

2 risposte a “A Natale, la vera misura di Dio”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Papa Francesco con tutta la Chiesa nella solennità di un Dio nato per noi vivo in mezzo a noi e ci ripete le Sue Parole “Vi porto in dono la Pace”, che questa sia con noi a incarnare l’amore di Dio per l’umanità e condurla in Lui a salvezza. E davanti al presepe come i pastori onoriamo la sua venuta e lo ringraziamo per essersi fatto umile Servitore di questo uomo che fragile non sempre comprende il grande dono ricevuto del Padre Onnipotente il quale mandandolo incarnato ha compiuto il più grande gesto d’amore verso la sua creatura, l’uomo, l’ha esposto cosi a molte cattiverie., non essere da tutti l’atteso! Venire crocifisso. Per questo vogliamo onorarlo a portare a lui un dono, essere a nostra volta costruttori di Pace, avere il suo coraggio di opporci a ciò che non sia Pace, fratellanza tra i popoli, ha un costo ma vale la pena di tentare e sperare nella sensibilità del cuore

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Grazie ricambio, anche un Natale con il Covid è conseguenza di una natura inquinata a opera dell’uomo il quale non vede che da un degrado della natura viene un danno anche alla vita per cupidigia di possesso e potere. Si prega per la Pace quando siamo noi a non realizzarla, senza cessare la guerra neppure a Natale.. senza realizzare quel Vangelo che insegna anche a rinunciare per un bene più grande. Ma quale Dio aprirebbe le braccia se si pretende entrare in Chiesa armato di fucile per uccidere?si pensa di realizzare giustizia uccidendo!!,si possono fare millepresepi ma non si realizza quel presepe che parla di Pace eBene a tutti. Dio e arrivato fino a noi, da inermi come i pastori, lo preghiamo perché apra alla vista i ciechi, vedano il baratro che certa ostinazione realizza follia.

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