La metafora del profilattico

Invece di educarli a chiudere i propri desideri, dovremmo aiutarli ad ripristinare la possibilità per loro di rendere il proprio desiderio qualcosa di realizzabile davvero. 
8 Dicembre 2011

Qualcuno direbbe che la questione scotta. Per i miei ragazzi è una questione molto tranquilla. Il problema non esiste proprio. “Se una sera trovi una che ci sta, mica ti fai problemi se ce l’hai o non ce l’hai”. E’ una seconda classe, mediamente 15 anni. E l’idea che i nostri figli a 15 anni abbiano già in mente una sessualità così, non mi piace molto. Magari mi dico che raccontano queste cose per esagerare e farsi grandi davanti agli altri. In parte è così. Ma in parte sono sinceri e la loro esperienza precoce e ingenua, mi lascia davvero un po’ male.

Il profilattico, questo sconosciuto. Anzi, no. Conosciutissimo e ritenuto semplicemente inutile. Paradossalmente questi teen-ager sono più adeguati, nei loro comportamenti, a quanto chiede la Chiesa sull’uso del profilattico, che non le generazioni precedenti. Ma lo fanno a partire da una idea che è mille volte più lontana, dalle posizioni delle Chiesa, di quanto non lo sia chi dice che va usato per tutelarsi. 

E la questione è sta proprio qui. Tutelarsi. Preservarsi. (non a caso preservativo) Da chi? Da cosa? Dal virus? “Ma io ci sto attento, mica vado con tutte, e prima gli chiedo se posso essere sicuro”. L’ingenuità di Matteo è disarmante!! Ma temo abbia una ragione, un motivo. In fondo perché tutelarsi? Perché evitare rischi quando il solo fatto di respirare, di mangiare, di camminare per strada, di uscire una sera con amici, sono già luoghi di rischi enormi per la propria vita? Gli adolescenti estremizzano, è il loro mestiere. Ma estremizzano un dato vero. Tutelarsi da cosa, se vivere è diventato rischioso fin dal respirare aria che non ti fa bene?

La logica che seguono è feroce e consequenziale. “Ma prof. mica vorrà dire che dovrei dire di no a una, se te la da? Con o senza preservativo io non dico di no ad una roba del genere. Ogni lasciata è persa”. E le femminucce non sono da meno di Matteo. “Ma prof. se una sera ti prende così, va bè si può fare, mica ti devi sposare con lui. E poi è un modo per scoprire com’è, per me, fare sesso. Dovrò imparare, no?” La vita vale per le possibilità di emozioni e di esperienze possibili. Il resto è noia.

Se questo è il contesto, la questione dell’uso o no del profilattico si illumina di ben altro rispetto ad un problema di significati unitari della sessualità. In gioco c’è il senso della vita: la percezione inconsapevole, ma profonda, che vivere non ha destinazione, non ha obiettivi oltre il presente. E d’altra parte gli stessi adulti hanno impiantato un modo di stare al mondo dove il tempo è reale (vale solo il presente) e lo spazio è virtuale (il contesto è solo creazione mentale), rovesciando ciò che la realtà invece continua a farci vivere. Uno stile in cui lo spazio per le generazioni future non c’è, e chi ora occupa la società si guarda bene dall’aiutare l’inserimento di questi ragazzi.

Allora non mi stupisco se a questi giovani resta solo il presente e lo spazio “standardizzato” delle istituzioni che cercano di “contenerli”: casa, scuola, chiesa, discoteca, o qualsiasi altro contenitore sociale. In una situazione del genere le occasioni di “avere senso” sono miracoli, straordinarietà incredibili, che non possono essere perse per nessun motivo. Perciò non si può dire di no ad un rapporto occasionale, solo per un ipotetico virus. Men che meno perché quel rapporto, per essere vero, avrebbe bisogno di tempo virtuale (un progetto di vita) e di spazio reale (una casa per condividersi). Semplicemente per loro questa possibilità di senso non esiste. 

Per ricucire questa distanza abissale tra il vissuto sessuale di queste generazioni e la prospettiva cristiana la strada è lunghissima. E non sono convinto che il punto di partenza sia quello di spiegare il valore e il senso dell’atto sessuale in quanto tale, secondo la prospettiva di fede. Prima di questo si deve ricucire un vissuto “a brandelli” che li porta  a sentire la vita come una semplice somma di momenti fini a sé stessi, senza una prospettiva unitaria realmente possibile.

“Ma se non posso fare quello che desidero, come faccio a credere in un progetto per la mia vita?” Matteo, alla fine, riesce a cogliere che a generare questa situazione di vita spezzettata, in cui “l’utilizzo” sessuale degli altri è normale, è proprio il blocco dei propri desideri. L’impossibilità di vedere una prospettiva futura reale impedisce loro di “sentire” che hanno un futuro, che il loro desiderio è possibile. E il presente che gli resta va “derubato” di tutto il sapore che ha, perché è l’unico spazio reale che gli resta. Perciò, invece di educarli a chiudere i propri desideri, dovremmo aiutarli ad ripristinare la possibilità per loro di rendere il proprio desiderio qualcosa di realizzabile davvero. 

E allora il profilattico diventa una metafora. Una membrana che conserva, tutela, le proprie potenzialità di vita, in un mondo che non gli lascia lo spazio di cui hanno diritto. Chi lo usa crede ancora che la vita possa avere un futuro, e per questo si conserva. Chi non lo usa, non ci crede più. Siamo al paradosso.

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