La classe difficile

Mi interessa , perchè mi interessate voi e voglio conoscervi.
7 Ottobre 2015

L’inizio dell’anno scolastico è stato davvero pieno. Pieno di cambiamenti e di cose inattese per me, con cui fare i conti. Ad esempio che la mia cattedra quest’anno è fatta da 17 ore nel mio istituto, più una in un altro. Eredità della vecchia preside dell’anno scorso che con la sua “politica dell’orientamento in entrata”, ha fatto perdere al mio istituto ben tre classi. Ma in realtà a me va bene. Rimetto piede nella scuola in cui ho fatto le superiori, quasi 40 anni fa. 

E, avendo una sola ora, ho una classe sola. Inizialmente doveva essere una prima, poi mi è stata assegnata una seconda. Quando il vicepreside me lo ha comunicato mi ha detto: “E’ sicuro di prenderla?” “In che senso – rispondo – se me la assegnate io la devo prendere”. “Nel senso che è una classe difficile. Auguri!”. Così, con questo bel pre-giudizio non voluto, mi sono affacciato in classe. “Buongiorno!” Si alzano in piedi, e pur continuando a fare un po’ di confusione, mi lasciano arrivare alla cattedra. “Ok, seduti. Vedo che siete tanti”. “L’anno scorso eravamo anche di più e si stava meglio perché si faceva più casino”. Un ragazzo baffuto e sorridente, dall’ultimo banco sotto la finestra, mi interrompe. Lascio cadere.

“Siccome vengo nell’ora di Religione, sono il prof, di religione”. La classe si apre in una sonora risata. Ma a dir la verità non era mia intenzione essere ironico. “Mi chiamo Gilberto Borghi, ho 54 anni, non sono sposato, tengo per il Milan e gioco a Trivia Crack”. “E vai!!” Sempre il medesimo ragazzo commenta ad alta voce. Ma non capisco perché. “Tieni per il Milan?”, gli dico. “No, gioco a Trivia Crack. Mi da il nick che la metto tra gli amici? Giochiamo adesso?”. “Guarda, adesso no. Siamo a scuola, lo sai, però se vuoi alla fine dell’ora ci sistemiamo, ok?” “Ok, prof.” Aggiungo: “E’ ovvio che gli juventini saranno bocciati!” Sonora risata della classe e commenti di alcuni juventini che ovviamente non ci stanno.

Continuo. “Mi piacerebbe sapere qualcosa di voi, poi vi racconto altro di me”. Faccio l’appello. E per ogni nome mi fermo, chiedo se hanno una cosa bella da dire su loro stessi. Dopo le prime due o tre un po’ sorprese, gli altri tirano fuori molte cose. C’è chi gioca a calcio, a pallavolo, chi va a cavallo, chi suona il violino, chi canta, chi danza. Chi passa il pomeriggio sul divano a far niente. Chi insegue le ragazze per strada. Ad alcuni, più svegli, oso: quanta roba ti fai? Ridono, ma si sente che alcuni ci sono dentro. Però la mia attenzione è concentrata ad accogliere. Non giudico, ci sto molto attento. Tento solo di sottolineare il buono e se non  lo vedo, semplicemente dico: “se ti fa felice, ok”.

Richiamo un paio di volte alcuni ad ascoltare i compagni: “Quando tu hai parlato gli altri ti hanno ascoltato, adesso che lui parla tu lo ascolti, Mi sembra giusto, ok?” Nessuno reagisce con durezza a questo e cercano di mettersi buoni. Ci sono due commenti un po’ duri su quello che due loro compagne dicono di sé. Li blocco immediatamente: “No, assolutamente no! Non permetto che tu dica queste cose. Nessuno ti ha giudicato sulle tue faccende, tu non hai il diritto di giudicare lei”. Si fermano.

Finito l’appello, chiedo 10 minuti di silenzio e di ascolto perché devo dire la cosa più importante di tutto l’anno. “Se ci capiamo su questo allora faremo lezione bene anche divertendoci. Se no sarà fatica”. Sento che mi ascoltano. “Io sono cattolico, cerco anche di essere un buon cattolico; non è facile e sono un peccatore come tutti. Ma quando entro da questa porta devo assolutamente ricordarmi che davanti potrei avere ragazzi, come voi, che hanno idee molto diverse dalle mie. Forse alcuni non credono, altri non sono interessati, altri hanno confusione e non sanno ancora bene cosa pensare. In ogni caso ognuno di voi ha diritto di pensare e di essere quello che è. Io qui non sono per nulla preoccupato di quello che voi pensate o credete. Mi interessa, perché mi interessate voi e voglio conoscervi. Ma il giudizio che vi do come professore non c’entra nulla con questo. Non cercherò neanche lontanamente di portarvi in Chiesa un po’ di più o che andiate a messa un po’ di più. Queste cose, qui, non possono aver spazio. Io ci vado e cerco di viverlo bene perché mi piace andarci. Ma a scuola non è questo il metro per giudicarvi e per darvi i voti”. 

Non vola una mosca. Faccio due domandine per vedere se hanno capito, raccontando due episodi che mi sono capitati e vedo che l’idea è arrivata. E mi chiedo: non è che ho sbagliato classe? Poi d’improvviso una mano si alza: “Prof. posso chiedere una cosa?” “Ok dimmi”. “Ma lei come fa ad andare in chiesa? Mi sembra una persona normale, parla normale. Quelli che conosco che vanno in Chiesa sono sempre tutti strani. O sono invasati che ti parlano solo di Dio, o sono lì “zittini e cagati” che non dicono nulla”.

Ecco, già si comincia! E mi è venuta in mente la lettera agli Ebrei: “doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele”; “non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato”. Di quanta umanità abbiamo ancora bisogno!

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