Una saggia follia

Qualche nota su un recente libro sapienziale di Raphaël Buyse, con una rilettura della chiusura del vangelo di Giovanni
18 Marzo 2024

Fare spazio alla sapienza di Dio, lasciarsi guidare con fiducia, scrutare l’orizzonte secondo le direzioni che essa indica: questa è la traccia che Raphaël Buyse, sacerdote francese della diocesi di Lille, segue nel suo ultimo libro, Una saggia follia (Qiqajon, 2023, pp. 121, 10€).

La scrittura di Buyse ha un merito, ed è quello di saper aprire sentieri, infondendo speranza e coraggio, per vivere nel tempo di oggi la fede cristiana — come già aveva dimostrato in un precedente testo, Un Dio diverso.
La sua è una meditazione che sa prendere con delicatezza il lettore per mano, accompagnandolo passo passo, non ergendosi a maestro e guida, ma presentandosi come compagno di cammino: dietro ogni pagina del sacerdote c’è la sua vita, la sua esperienza, le sue intuizioni, le sue fatiche, la sua fede, il suo sguardo sul mondo, alla scuola di grandi figure che egli ricorda spesso, a partire da Madeleine Delbrêl. Così in Una saggia follia, secondo la lettura paolina della sapienza di Gesù di Nazareth — follia per chi non si pone alla scuola del Vangelo, nel suo radicale ribaltamento di valori —, egli vuole farsi guidare dallo Spirito in una rilettura sapienziale di alcune grandi coordinate esistenziali, a partire dalla ricchissima pagina del Vangelo di Giovanni custodita nel capitolo 21: sette discepoli che tornano a pescare, invano, dopo la resurrezione, per assistere nuovamente alla manifestazione del Cristo sulla riva del lago. Così, dalla scena giovannea, Buyse risale ai nostri giorni, cogliendo stimoli, domande, aperture che dalla Parola possono derivare per il momento che ci coglie: «la sapienza dello Spirito ci insegna che non vi è altro luogo di santità — cioè di salute — e di vocazione — vale a dire di compimento di ciò che siamo — al di fuori della vita che ci è data qui e ora, poiché “se ci mancasse qualcosa, Dio ce l’avrebbe già data”, diceva Madeleine Delbrêl». Tutti sperimentano la notte delle ‘reti vuote’, sia a livello personale, sia a livello ecclesiale, quando impegni, progetti e azioni risultano inutili per raccogliere risultati, quando lo scacco, il buio e lo smarrimento sembrano prevalere: «Quando le nostre reti risalgono vuote, si prepara qualcosa del mistero dell’alleanza. Non ci resta che crederci. Lì si gioca la speranza cristiana». E opportunamente Buyse invoca parresia nel conteggio dei fallimenti personali e comunitari, oltre maschere e pose di scarso realismo: «Noi non abbiamo il coraggio di parlare tra noi delle nostre reti vuote: eppure, è buono e salutare ammettere reciprocamente che la vita è a volte dura per noi».
Per non subire la tenebra, è importante non essere soli, aprendosi all’altro, secondo il modello dei discepoli sul lago: erano sette, ancora ‘superstiti’ della vicenda accaduta a Gerusalemme.

Ma si deve avere il coraggio di seguire la sapienza, che domanda di «fare la stessa cosa, ma diversamente», perché (regola troppo spesso dimenticata, nella sua ovvietà), «non si può cambiare ciò che non va rifacendo le stesse cose di prima». Eppure per riconoscere la visita del risorto servono silenzio, umiltà, onestà, permanenza nelle circostanze che la vita offre, oltre fughe e utopie: «Lo Spirito ci fa capire anche che Dio ci parla attraverso le nostre vite. Nessuno è più triste di colui che non osa ascoltarsi, che ha paura dei suoi desideri e delle sue aspirazioni profonde, che non osa dire ciò di cui ha bisogno per vivere. Perché il Signore passa anche da lì».

È l’amore gratuito del risorto che può cucire e sostenere, aiutando ripartenze e nuovi inizi, come accade a Pietro, capace di buttarsi in acqua appena si accorge che lo sconosciuto sulla riva è Gesù… quel Pietro capace anche di ammettere, infine, di fronte alle domande del maestro, solo la fragilità del suo bene: è una lezione che dovremmo custodire ogni qual volta si scelgono uomini e donne per compiti e responsabilità: «Bisogna ammettere che nella chiesa è molto raro farsi domande sull’amore. Ci si chiede se qualcuno sa animare un’assemblea, se ha spirito organizzativo, se è leale verso i superiori. Ci si chiede se è capace di cavarsela nelle relazioni mondane o se canta abbastanza bene. Quasi mai ci si chiede se ama la gente. Ora ciò sembra essere la sola domanda che interessa a Gesù: è proprio in questa domanda che si gioca il destino dell’uomo e della chiesa». L’amore per Dio, l’amore per l’uomo, l’amore per il mondo: grandi direttrici che Buyse delinea per il cristiano che abita l’attualità, a chiusura della sua fertile meditazione.

In appendice, egli ricorda alcune persone che, a suo avviso, sono stati depositarie di sapienza: il benedettino Frédéric Debuyst, anziano monaco che con dolce saggezza ha aiutato l’autore in un momento di personale smarrimento; Ambrogio di Milano; Dietrich Bonhoeffer. Tre esempi di come, nelle diversità di tempi e carismi, la sapienza di Dio opera per costruire il bene dell’umanità e per rendere abitabile il mondo, secondo il disegno di amore del Padre.
Una saggia follia è un piccolo libro prezioso, che può arricchire la preghiera dei giorni che conducono alla Pasqua e poi alla Pentecoste.

Una risposta a “Una saggia follia”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Avere il coraggio a essere capaci di “Saggezza”.!Non ingigantire il già in atto conflitto che non ha portato frutto. Non è nemmeno per la storia compiuta dagli uomini di ieri, . accettabile “Se vogliamo la Pace prepariamo la guerra”! proposta da Voce autorevole del Consiglio UE. A causa di guerre oggi siamo tutto il mondo più poveri; servirebbero più risorse economiche agli Ospedali i quali sono in difficoltà a salvare la vite di malati costretti a forzate attese per esami. L’uomo sulla terra è fatto per vivere, ha diritto a godere di Pace! dove la Saggezza e l’intelligenza provata se non nel perseguire questi scopi evitando L’errore, oggi ancora dimostrato, di guerra dove disumana, aberrante violenza, si scatena in chiaro odio a una Pace neppure ipotizzabile nel domani! Come è possibile accettare e non supporre una catastrofe umanitaria che, disponendo dell’arma nucleare, si prospetta certa per tutti?

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