Radicarsi nel magistero o mettere in moto la tradizione?

Il processo sinodale, secondo don Mauro Leonardi, dovrà radicarsi nel magistero ecclesiale. Ma come si farà così a rendere dinamica la tradizione?
2 Novembre 2021

Da quando si è avviato il processo sinodale, il quotidiano Avvenire sta pubblicando alcune analisi, volte – immaginiamo – ad aiutarci nel percorso da compiere. Sia per i nomi coinvolti, sia perché si tratta del quotidiano espressione della CEI, crediamo sia doveroso prestarvi attenzione: per trattenere ciò che è buono, ma anche per evidenziare ciò che, invece, potrebbe ostacolare il processo sinodale.

Avevamo cominciato qui con le riflessioni di Sequeri e Salvarani (il lato del pendio percorribile) e quelle del vescovo Brambilla (il lato in parte pericoloso, perché assai scivoloso). Qualche giorno fa è intervenuto anche don Mauro Leonardi, il quale ha provato a leggere il cammino sinodale dal punto di vista della «fine della cristianità» e, quindi, dell’«inizio di un impegno nuovo».

Nella prima parte della riflessione, appoggiandosi alle analoghe dichiarazioni del cardinal Grech, don Mauro ha evidenziato come oggi non si possa che prendere atto della cosiddetta secolarizzazione e, a quanto sembra, degli aspetti positivi di essa (pur non nascondendosi il fatto che i suoi «esiti finali sono tutti da scoprire»). Infatti, con la sua fine – non a caso riconosciuta e insegnata oggi più come (negativa) «mondanizzazione» del cristianesimo che come (positiva) «cristianizzazione» dell’impero – possono aprirsi «nuove vie» al cristianesimo.

Sin qui la riflessione di don Mauro è chiara e incontrovertibile. A tal punto conclamata che qualcuno potrebbe definirla, forse, come tardiva (di almeno quindici-venti anni), se non addirittura fuori tempo massimo (come si suole dire: i buoi sono ormai quasi tutti scappati dalla stalla) e povera (di qualsiasi tentativo di analisi esplicativa). Ma segno di saggezza è anche saper prendere il buono che arriva e nella quantità in cui arriva …

D’altra parte, il vero problema sembra situarsi nella seconda parte della riflessione – quella costruttiva (e maggiormente legata alla questione sinodale) – il cui l’andamento diventa invece ambivalente: in prima istanza apparentemente condivisibile, ma meditandoci sopra decisamente discutibile.

Chi non sarebbe d’accordo, infatti, con l’invito rivolto ai cattolici dei nostri giorni, da un lato, di prendere atto della fine di un’epoca in cui si poteva «delegare alla vita collettiva [e alle «agenzie valoriali»] molto del lavoro personale» e, dall’altro lato, di impegnarsi a «informarsi, riflettere, confrontarsi e prendere posizione pubblica come credente sulle grandi questioni dell’attualità» (inizio vita e fine vita, lavoro e ambiente, immigrazione e droghe)? E, seppur con qualche distinguo in più, chi non sarebbe d’accordo con la necessità di segnalare il rischio che, se questo invito all’autonomia, sinodalità e responsabilità andasse a vuoto, i cattolici finirebbero per «ripetere cose pensate e dette da altri che cristiani non sono rinunciando a un pensiero originale, libero e, se necessario (e spesso lo è), controcorrente»?

Quando però la riflessione arriva al “dunque”, ossia alle caratteristiche di questo «’pensare cattolico’» che dovrebbe forgiarsi (anche) nel processo sinodale, don Mauro Leonardi non riesce ad andare oltre espressioni che vorrebbero rassicurarci sulla apertura di tale pensiero – «non necessariamente uniforme, non chiuso al dialogo» e derivante dalla «frequentazione viva del Vangelo» – ma che non sembrano riuscire nell’intento.

Lo stato «attuale» del mondo è solo, per come lo vede don Mauro, un «(dis)ordine delle cose»? Lo Spirito, di cui parla tanto Papa Francesco, non è già all’opera in esso? Ma soprattutto: perché don Leonardi sente il bisogno di precisare che questo pensiero cattolico dialogico e pluriforme da costruire debba essere – cosa ovvia – «radicato nel magistero sociale della Chiesa»? Non si corre così il rischio di bloccare, di staticizzare ancora una volta, il movimento che il processo sinodale vorrebbe invece riavviare?

Il nostro teologo, d’altra parte, non aveva a disposizione una recente catechesi di Papa Francesco da cui riprendere una categoria meno ambivalente – e al contempo snodo fondamentale del processo sinodale – ossia quella di «visione dinamica della tradizione»? Perché, sia detto con franchezza, sui temi d’attualità evocati da don Leonardi, è buona parte dell’attuale magistero sociale della Chiesa che ha bisogno di essere meglio costruito e ridefinito, di ricevere una nuova dynamis, di essere – appunto – dinamizzato.

Come avevo già scritto qui, una volta compiuta la «kenosi» auspicata dal vescovo di Roma nel convegno di Firenze (2015) ed abbassatici con misericordia, umiltà, disinteresse e letizia verso l’altro: «che fare» con il peccatore – ma soprattutto con il peccato – che incontriamo? Se come Chiesa siamo certi a priori di saper identificare peccato e peccatore, effettuandone una diagnosi corretta; se come Chiesa siamo certi a priori di saper effettuare una prognosi corretta e di sapere il modo per curare (se non guarire) il peccatore (se non anche il suo peccato), come possiamo pensare che non vengano così quasi azzerate le condizioni di possibilità affinché possa avvenire, con le parole di Papa Francesco, l’imprevisto di imparare qualcosa di inatteso e inaudito, soffiato dallo Spirito del Padre e del (o per il) Figlio già presente nelle storie degli altri?

Nella realtà, infatti – e questo è il punto decisivo – diagnosi prognosi e cura del peccato potrebbero rivelarsi a posteriori, per la grazia di Dio che è nel (presunto) peccatore, tali da dover essere corrette secondo quello che si rivela essere a posteriori il (nuovo o vero) «progetto del Regno di Dio», la (nuova o vera) «linea dello Spirito Santo», che pensavamo di conoscere a prioriChe cosa fare allora? Si trasforma, si fa crescere, si corregge la realtà (presunta) peccaminosa (ma rivelatasi ispirata)? O si trasforma, si fa crescere, si corregge la dottrina (rivelatasi invece incompleta)?

Ai posteri, anzi al processo sinodale, l’ardua sentenza…

 

4 risposte a “Radicarsi nel magistero o mettere in moto la tradizione?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Come fedele non mi basta la dottrina, che mi si dica che il Signore Gesù perdona perché mi ha amato fino a dare la vita affinché io abbia la sua stessa vita. C’è bisogno di un sentire che io sono conosciuto da Lui, ed è questo che manca oggi, la difficoltà di credere, questo forse è anche una povertà che non viene percepita. Di Cristo si trova scritto che provava sentimenti nei confronti delle persone beneficate, e questi non per il pane che mancava, o della infermità di cui soffriva il beneficato. Ma più in profondità c’era la non meno povertà che era quella spirituale, il non sapere il perché vivere in modo diverso, se sperare in un mondo diverso fosse possibile anche per vivere meglio nel presente.Sentiamo solo di mete scientifiche cui aspirare, quando invece per il vuoto di umani sentimenti altro si vorrebbe sentire anche nelle omelie!

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Da questo sinodo il popolo di Dio attende risposte: qui si pongono domande alla Chiesa e quale sia il linguaggio e la dottrina adatta a che venga recepito il Vangelo sempre nuovo a chi non lo conosce. Se ho bene compreso, da semplice fedele preferisco citare quanto ha scritto in SPES Salvi Papà Ratzinger., domanda che io stessa mi sono, se la gente che si dice cristiana, creda veramente. Leggo: ..Circa il Battesimo, quando si diventa cristiani, il sacerdote domanda:” Che cosa chiedi alla Chiesa? Risposta”la Fede” E che cosa ti dona la Fede? “La vita eterna”. ..non soltanto un atto di socializzazione entro la comunità, non solo accoglienza nella Chiesa, i genitori si aspettano di più per il battezzando…che la fede di cui è parte la corporeità della Chiesa e dei suoi sacramenti, gli doni la vita – la vita eterna” . Ma se viviamo sordi al messaggio cristiano, o quello che ascoltiamo non lo comprendiamo perché è un vivere meno corazzato dalla Fede quello di oggi?

  3. gilberto borghi ha detto:

    La contrapposizione tra “radicarsi nel magistero” e avere una “visione dinamica della tradizione” è vera solo per chi ha un concetto non reale del magistero. Non è un monolite!! In cui le verità sono stabilite una volta per tutte, ma è il servizio alla verità che Cristo ci ha regalato, affinché, in ogni epoca diversa, la Chiesa non perda la bussola del Vangelo. Ciò significa che in ogni epoca il magistero deve rifare di nuovo il processo di discernimento della verità. E non è sempre vero che ciò non contraddica, in una certa epoca, la verità definita precedentemente. Gli esempi storici sono abbondanti e chiari, anche su verità discretamente essenziali. Non solo. Ma pure sui dogmi, definiti una volta per tutti, la loro interpretazione e il loro approfondimento non termina mai, perché ogni epoca pone domande da punti di partenza diversi. Benedetto XVI è stato chiarissimo su questo: una ripetizione pedissequa del magistero è il suo massimo tradimento.

  4. Daniele Gianolla ha detto:

    La “visione dinamica della tradizione” mi rimanda alle parole che Francesco a settembre ha detto sulla catechesi: “non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi: negli anni settanta il
    Catechismo della Chiesa Italiana fu originale e apprezzato; anche i tempi attuali richiedono intelligenza e coraggio per elaborare strumenti aggiornati”.
    Mi sembra un po’ come dire che la Chiesa è già cambiata in meglio, nel passato, e può farlo ancora nel presente. Certo, bisognerebbe ammettere che nel frattempo si è allontanata dal “meglio” e si è avvitata su se stessa…

Rispondi a Daniele Gianolla Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)