Da cuore a cuore e da pancia a pancia

Credo che oggi la "santità" che sa contagiare sia fatta di comunicazione da cuore a cuore. Da una persona intera che sente e pensa al tempo stesso, che lascia che il suo Dio lo invada dalla testa ai piedi, e non solo ne purifichi le idee.
15 Settembre 2010

Sono arrivato da poco al vostro sito, per merito di un’amica, e devo dire con sorpresa mi sono ritrovato come a “casa”. Ho trovato articoli e temi, pensieri e valutazioni, domande e aspettative che mi risuonano dentro da alcuni anni. Sono un insegnante di religione della scuola media superiore, un confine delicato e difficile da vivere, che con passione e cura tento di coltivare come posso. E l’articolo di Antonioli “Evangelizzare? Da cuore a cuore”, ha proprio centrato il tema che da tempo sto “lavorando” per la mia professione, costringendomi a buttare giù queste righe di riflessione, magari con la speranza che si possa continuare un dialogo su queste cose. 

Sono assolutamente d’accordo con Antonioli sulla necessità di approfondire la provocazione della Tamaro. E’ così palese, per me che incontro settimanalmente 350 ragazzi dai 14 ai 18 anni, la distanza comunicativa tra una chiesa che parla da testa a testa e dei ragazzi che invece comunicano da pancia a pancia, più che da cuore a cuore. E credo che la questione di fondo che sta alla base di questa distanza non sia tanto, o solo, la mancanza di coerenza tra ciò che si predica e ciò che si vive, ma ancora di più la fatica degli uomini e delle donne di chiesa a capire e ha sentire che gli uomini e le donne di oggi, quelli che vanno al supermercato (vedi il bell’articolo di Mocellin!), hanno un modo di organizzare il senso di ciò che sono e del mondo che li circonda che è profondamente diverso da quello che potevamo avere 30-40 anni fa. E i ragazzi di oggi su questo sono le sentinelle più evidenti. 

Non sto a farla lunga sul passaggio epocale e sul cambiamento culturale, ma sono convinto che il modo che oggi le persone comuni hanno di “leggere” l’essere umano sia “toto cielo” diverso da tempo fa. Un cambio del paradigma antropologico è evidente, se confronto le prime classi che avevo 20 anni fa e quelle che ho ora. E al di là delle teorie con cui leggere questo cambio resta il fatto che queste generazioni hanno un “baricentro basso”, vivono sentendo più che pensando, e il centro di appoggio interno non è più la mente, ma più giù, il cuore, o sempre più spesso purtroppo la pancia, ove questi tre “centri” dell’uomo vivono in radicale assenza di collegamento l’uno con l’altro. Per loro non è significativo un concetto, ma l’emozione con cui è veicolato. Non è rilevante la coerenza logica di una teoria, quanto la possibilità che essa offre o meno di far sperimentare l’intensità e la varietà delle emozioni e delle sensazioni. E che ci piaccia o no, le nostre idee vengono recepite secondo questo binario antropologico. Come giustamente segnala la Tamaro, è rilevante che chi parla abbia “sguardi luminosi” e che “le loro bocche parlino davvero della pienezza del cuore”, facendo passare in secondo piano ciò che viene detto.

A me sembra che questo stato di cose non possa trovare una soluzione nell’inseguire la postmodernità secondo le strade delle emotività artificiale e dei meccanismi predisposti per riprodurre esperienze ad uso e consumo del sistema commerciale. A volte ho l’impressione che certe adunate oceaniche di fedeli o l’accento posto sul sensazionalismo spirituale (Mai come ora i ragazzi parlano di angeli e demoni, ma faticano a pronunciare la parola Dio!), o dall’altro lato sulle “prove” storiche della nostra fede, celino il rischio di “riduzione” della fede a “fenomeno esperienziale postmoderno”. Credo invece che oggi la “santità” che sa contagiare sia fatta di comunicazione da cuore a cuore. Da una persona intera che sente e pensa al tempo stesso, che lascia che il suo Dio lo invada dalla testa ai piedi, e non solo ne purifichi le idee. Su questo davvero Newman sarebbe da riscoprire, per mostrare che non è una “mente” a credere, ma una persona in carne ed ossa, e che la dimensione corporea è il luogo essenziale in cui la fede si da o si toglie. E su questo il discorso sarebbe lungo. 

Per questo ha ragione la Tamaro a dire che “se una nuova evangelizzazione ci deve essere, dovrebbe dunque riguardare prima di tutto gli uomini e le donne della Chiesa”, ovviamente noi compresi, per vedere se abbiamo il coraggio a cui lo Spirito chiama, quello di educarci ad una fede del “cuore”, dove la persona viene prima delle idee e queste hanno senso per lo sviluppo di quella. Ma le strade educative che oggi sono presenti nella Chiesa vanno da questa parte?

 

Gilberto Borghi.

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