Chi ha occhi per leggere, legga!

È necessario ritornare sulla riforma del Vicariato di Roma se anche navigati uomini di comunicazione e di cultura non riescono a vedervi le notevoli prospettive in termini di sinodalità e collegialità episcopale…
1 Febbraio 2023

Nella recente riforma del Vicariato di Roma In ecclesiarum communione (IEC) ci sono, come in ogni riforma, degli aspetti critici (qui uno, ma altri ne emergeranno). Non sono però d’accordo con chi l’ha definita «una grande occasione mancata (…) senza alcun “balzo in avanti”» a causa della «sinodalità di facciata» (L.Kocci, Adista, 21 gennaio) o con chi ha affermato, riguardo ad essa, che «per la sinodalità ci risentiamo» (R.Beretta, Vinonuovo-Post.it, 25 gennaio). Una lettura attenta ed una visione d’insieme del proemio e delle norme sono sufficienti a mostrare i motivi del disaccordo.

Secondo i critici della riforma, la sinodalità e la collegialità episcopale non verrebbero di fatto valorizzate, perché «rigidamente sottoposte al giudizio finale e al potere decisionale del vescovo di Roma, cioè il pontefice, così da sembrare limitate se non vigilate» (L.Kocci), a causa di tutti quei «da me» (presieduto, approvato, ratificate), «con me» (valutato), «mi» (sottopone), «a me» (riferito) [R.Beretta]. In realtà, se non vogliamo cadere in declinazioni poco ortodosse della dottrina conciliarista (che tale in sé non è), in ogni diocesi cattolica un ministero personale dell’unità deve necessariamente esserci. Per cui, se il Papa in qualità di vescovo di Roma decide di fare un passo in più dentro la propria diocesi (probabilmente per i motivi pastorali ed ecumenici qui indicati) – e quindi la figura del Cardinal Vicario deve inevitabilmente fare un passo indietro – non si può poi rimproverare il vescovo di Roma per il ruolo assunto se presiedere, approvare, ratificare, valutare, inviare, sottoporre, riferire sono il minimo sindacabile (agli occhi di chi conosce il reale peso giuridico di tali verbi) per esercitare questo ministero – si tratti del Papa o del Cardinal Vicario. L’alternativa – l’«“osare” di più» di cui parla Luca Kocci – andava individuata, allora, nel far partire la «catena di comando» (Id.) direttamente dal solo collegio episcopale: ma sarebbe stato cattolicamente possibile?

In realtà, l’aspetto decisivo della riforma consiste nel fatto che il ministero d’unita della Chiesa locale di Roma viene ridotto da ruolo di «alta e effettiva direzione» (Ecclesia in urbe, art.10; cfr. anche artt.14; 17§2; 20-21) a quello di presidenza (IEC, art.21§2) che al massimo conferma (Ib., Proemio, §1), ratifica (Ib., art.22§1), approva (Ib., artt.7; 23§1; 27; 35), autorizza (Ib., art.30), oltre a nominare il Cardinal Vicario, il Vicegerente, i Vescovi ausiliari, i presbiteri e i parroci (Ib., artt. 10; 14§1; 16§1; 20; 33). Invece, il discernimento e l’elaborazione-formulazione-verifica dei programmi e delle decisioni-direttive pastorali-amministrative (Ib., artt.21 §1; 22 §1), oltre la valutazione dei “candidati” parroci (Ib., artt.19 §2), verranno d’ora in avanti effettuati, in modo coordinato (Ib., artt.17; 19 §1), dal collegio dei vescovi ausiliari (Cardinal Vicario, Vicegerente e vescovi), tutti con analoga ordinaria potestà vicaria (Ib., artt. 10; 16 §1). In effetti, il ruolo del Cardinal Vicario di approvazione e di coordinamento della pastorale episcopale (per cui nomina i Direttori di Ufficio, i cappellani, i rettori delle Chiese, i responsabili dei servizi pastorali e i viceparroci – Ib., artt. 19§2; 21§4; 27; 32) è controbilanciato da quello del Papa di valutare in ultimo l’opportunità di discostarsi da ogni parere concorde del consiglio episcopale (Ib., art.21 §3; cfr. anche artt.27, 30, 35), mentre la figura del Vicegerente è in realtà privata della dignità arcivescovile e non ha «incarichi superiori anche a quelli del cardinal vicario» (L.Kocci), anzi eredita i compiti amministrativi e di moderator Curiae del Segretario Generale (IEC, art.14, rispetto all’art.18 dell’Ecclesia in urbe).

Quindi, anche se leggessimo queste norme immaginando il Cardinal Vicario al posto del Papa, sarebbe evidente l’ampliamento del potere di servizio del collegio episcopale (una sorta di piccolo concilio dei vescovi) e il conseguente rafforzamento della stessa sinodalità rispetto al ministero personale di unità: non è un caso che il 27 gennaio sul sito della diocesi di Roma sia apparsa una lettera di assunzione di questa responsabilità firmata dal consiglio episcopale.

D’altra parte, è assolutamente legittimo ipotizzare che ad essere fittizio sia tutto il processo di riforma. Ma allora Kocci avrebbe dovuto (perché poi non lo ha fatto) denunciare il possibile uso distorto della norma secondo cui il Cardinal Vicario, il Vicegerente e i vescovi ausiliari possono cessare dal loro ufficio in qualsiasi momento per provvedimento di colui che esercita il ministero personale di unità – ora il Papa, ma avrebbe potuto essere anche il Cardinal Vicario (IEC., art.18). Questa possibilità, in effetti, potrebbe diventare una sorta di spada di Damocle che condiziona qualsiasi autonomia episcopale. Ma, se si dovesse ragionare in tal modo, bisognerebbe anche riconoscere che in realtà non ci sarebbe stato bisogno di alcuna riforma, perché anche prima di quest’ultima il Papa avrebbe potuto esercitare tale potere nei confronti delle figure apicali del Vicariato – con il problema di poterlo fare solo seguendo la prassi di cortesia di “pro(ri)muoverle” ad altre destinazioni, così da alimentare sospetti e maldicenze, mentre ora è almeno dichiarato il motivo per cui avverrebbe la sostituzione. Pensiamo quindi che tale possibilità sia da interpretare solo come un normale bilanciamento dei “poteri”, dentro al “sistema” cattolico, tra ministero personale dell’unità e quello collegiale.

Questo rafforzamento della sinodalità è ugualmente evidente – ma altrettanto ignorato dai critici della riforma – nei riferimenti che la nuova costituzione apostolica fa agli organismi di partecipazione – consigli pastorali parrocchiali, di prefettura e di settore. A tal proposito – e passando ora al «ruolo dei laici» – mi chiedo come si possa sostenere che esso «è pressoché inesistente, ridotto a mero ornamento di funzioni saldamente in mani ecclesiastiche» (L.Kocci).

Innanzitutto, dal lato della gerarchia, il vescovo di Roma è aiutato da una Commissione Indipendente di Vigilanza, da lui nominata, quale «organo di controllo interno» (IEC, art.31) e dal Consiglio Diocesano per gli Affari Economici (Ib., art. 23) nei quali – rispettivamente – ci possono e devono essere dei laici, mentre i vescovi devono ascoltare «il Consiglio Pastorale parrocchiale interessato» (Ib., art.19 §2) nell’iter di nomina dei nuovi parroci e, in via ordinaria, consultare il Consiglio pastorale diocesano, primo tra «gli organi sinodali» (Ib., art 22 – quando invece nell’art.21 dell’Ecclesia in urbe appariva in coda all’elenco degli stessi organi definiti, tra l’altro, meramente «consultivi»). In secondo luogo, dal lato del popolo di Dio, ogni parrocchia, prefettura e settore dovrà obbligatoriamente avere e convocare (almeno due volte l’anno) il rispettivo Consiglio Pastorale (presieduto dal parroco/prefetto/vescovo): esso, attraverso il «discernimento comunitario» e «assicurandosi di dare voce a tutte le rappresentanze del popolo di Dio», avrà «il compito di progettare, accompagnare, sostenere e verificare l’attività pastorale» (Ib., art.24).

Non dovrebbe sfuggire ai più, come abbiamo già scritto, che questo articolo 24 è il vero ed innovativo passaggio della riforma capace di dare concretezza giuridica-istituzionale alle belle idee e ai buoni propositi di partecipazione del popolo di Dio in base alla comune dignità battesimale. L’esito di questo forte rilancio degli organismi intermedi di partecipazione dipenderà molto da come, nei rispettivi Statuti (approvati dal Cardinal Vicario col consenso del Consiglio Episcopale), verranno pensate e realizzate sia le procedure di nomina dei loro membri d’ufficio, elettivi e cooptati (per evitare di vedere i soliti noti), sia le modalità e le finalità di lavoro di tali consigli (per evitare che risultino inconcludenti).

Nel primo caso, sarà fondamentale che, guardando ai diversi Uffici istituiti (Ib., art.33), vi siano anche, oltre ai presbiteri ai religiosi e alle religiose, quantomeno le figure afferenti agli ambiti della catechesi (per ogni età della vita), della liturgia, della Caritas e dei Migrantes (e del volontariato in generale), del seminario e del diaconato, della famiglia, dei giovani e degli anziani, dell’insegnamento della religione (e non solo), dell’università (e della cultura in generale a partire dall’arte), dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, della salute, del carcere, dello sport, del lavoro e dell’ambiente.

Nel secondo caso, questi luoghi dovranno essere veramente pneumato-euristici: «uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto, abbia la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare», affinché, «scrutando i segni dei tempi, il discernimento spirituale permetterà di riconoscere nuove esigenze e di favorire più larghe e inclusive soggettività pastorali» (Ib., Proemio, §6), grazie a quello Spirito Santo che, spesso, «si manifesta anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e religiosa» ed «apre nuove comprensioni del contenuto della Rivelazione» (Ib., Proemio, §5).

Solo in tal modo questa riforma potrà far fiorire il desiderio di una Chiesa che, imitando «lo sguardo di Gesù (Lc 19, 5) che insegna a guardare dal basso» (Ib., Proemio, §15), si muove e ascolta sé stessa proprio dal basso, prima di procedere nell’individuazione di chi deve stare in alto. Nella speranza che, anche alla luce del rilancio degli organismi intermedi, le stesse figure dei vescovi ausiliari, i contenuti del programma pastorale e il personale direttivo degli Uffici vengano individuati seguendo sempre più questo processo che dal basso conduce in alto, così da rendere veramente la diocesi di Roma «una sorta di esperimento avanzato di quella sinodalità tanto declamata [e] un modello anche per altri territori» (L.Kocci).

Certo, leggere la lettera di presentazione della nuova costituzione apostolica, scritta dal Rettore della Lateranense (il giurista V.Buonomo) e segnalata dal Consiglio episcopale, senza trovare alcun riferimento esplicito all’art.24 lascia perplessi e fa temere che quanto affermato da Luca Kocci, in modo secondo noi non condivisibile, possa purtroppo realizzarsi per altre vie. Similmente, qualche interrogativo lo solleva la scelta del Rettore Buonomo (nel §1) di affiancare la categoria di «nuova evangelizzazione» al papato di Francesco. Essa è sì presente in Evangelii gaudium soprattutto in riferimento al Sinodo dei Vescovi del 2012 presieduto da Benedetto XVI (§14; 73), ma poi viene usata per indirizzarla verso orizzonti pastorali più consoni a Francesco (comune dignità battesimale – §120; pietà popolare – §126; opzione per i poveri – §198; pace – §239; Spirito Santo – §260s.), tant’è che all’inizio (§1), alla fine (§287) e nel paragrafo programmatico (§17) di Evangelii gaudium si preferisce utilizzare l’espressione «nuova tappa dell’evangelizzazione». Non a caso la categoria in questione è centrale nella precedente organizzazione del Vicariato di Roma da parte di Giovanni Paolo II, ma non è stata utilizzata in quella attuale (né in quella recente della Curia romana), assorbendola invece nel termine più generale di evangelizzazione, così da sancirne l’appartenenza ad un tempo della storia teologica e pastorale della Chiesa per ora non più attuale in quei termini. D’accordo: errare humanum est – speriamo e lavoriamo affinché nessuno perseveri…

 

 

7 risposte a “Chi ha occhi per leggere, legga!”

  1. Angelo Nocilla ha detto:

    Premetto che sono di un’altra diocesi per questo mi chiedo: ma i diaconi, visto che in questo articolo si parla di tutte le compagini ecclesiali, sono stati cancellati da Roma? Vedo, sempre di più, una disaffezione, semmai ci sia stata un’affezione, a questo importante e particolare ministero ordinato. Buona giornata.

    • Sergio Ventura ha detto:

      Sì, Angelo Nocilla, se ne parla – come delle altre compagini – relativamente agli uffici (art.33), poi nell’art.20 (commentato qui https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/chi-governera-e-come-si-arrivera-a-governare-nella-chiesa-locale-di-roma/ ) circa il nuovo ruolo dei vescovi ausiliari e, infine, nel proemio: “particolare attenzione deve essere rivolta al discernimento della vocazione al diaconato permanente, e alla formazione nella prospettiva di una effettiva corresponsabilità pastorale, e per il servizio della carità” (§14; ma anche art.5). In effetti, dovevo metterlo in evidenza come ulteriore attenzione al mondo dei “laici”…

      • Angelo Nocilla ha detto:

        Mi dispiace importunarla, ma non comprendo. Proprio il suo ultimo passaggio: “dovevo metterlo in evidenza come ulteriore attenzione al mondo dei laici”. Spero che non si riferisca ai diaconi come laici, la prego. Se, invece, il suo pensiero collega il ministero del diacono per i laici e quindi per la povertà/miseria sono d’accordo con lei, ma noi non siamo laici.

      • Sergio Ventura ha detto:

        A quello pensavo…semplicemente, una dimenticanza di virgolette (“laici”)…

  2. Luca Kocci ha detto:

    Io continuo a pensare che sarebbe potuta essere l’occasione per sperimentare modelli più avanzati di collegialità e sinodalità e che invece ci si è limitati a mettere ordine, rafforzando il ruolo del vescovo di Roma. Mi auguro di sbagliarmi, ma temo di non sbagliarmi…
    (per chi volesse, il mio articolo può essere letto integralmente qui: https://www.adista.it/articolo/69348)

    • Sergio Ventura ha detto:

      Grazie Luca Kocci per il commento. Certo, in astratto si poteva fare di più, come in ogni riforma, ma nel concreto delle norme – come ho provato a dimostrare – si sono fatti dei notevoli passi in avanti riguardo la ristrutturazione non solo della facciata ma anche degli interni, sempre che tali norme trovino attuazione….

  3. Roberto Beretta ha detto:

    Mi piace questo confronto! Nel merito: finora il vicariato era stato trattato come una qualsiasi diocesi, col suo vescovo (solo) formalmente vicario. Ora Francesco decide di rendere più effettivo il suo sempre proclamato status di vescovo di Roma. È legittimo, ci sta. Bisogna poi vedere come abbia tempo e forze per unire tale volontà al governo della Curia e della Chiesa… se questa è sinodalita e non accentramento (anzi commissariamento), lo giudichi chi vuole.

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