“Le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”. Così esclama Francesca Serio dinanzi al figlio Salvatore Carnevale assassinato dalla mafia a Sciara nel 1955. Le stesse parole suggeriscono il titolo al diario dei tre viaggi compiuti da Carlo Levi in Sicilia tra il 1952 e il 1955 e vengono utilizzate per denunciare soprusi e violenze verso i più deboli e verso coloro che non hanno neanche i termini per chiamare la realtà.
Dalla politica internazionale a quella interna alla Chiesa, oggi più che mai assistiamo ad un ritorno preoccupante alla mistificazione della realtà o per lo meno alla difficoltà di chiamare le cose con il proprio nome: ed ecco che la guerra di aggressione Russa verso l’Ucraina viene chiamata dal governo russo “operazione militare speciale”, o ancora, dopo aver promulgato un documento magisteriale occorre spiegarlo per capire cosa voglia dire concretamente.
Eh sì, il problema sta proprio qui, l’aderenza alla realtà e il rapporto con un “oltre” rispetto alla realtà che le parole evocano. Può capitare a tutti infatti di svegliarsi presto la mattina e contemplare l’alba ma solo il poeta Giuseppe Ungaretti riuscì a sintetizzare in Mattina tale visione con la famosa e brevissima poesia che tutti ricordiamo a memoria: m’illumino d’immenso. E tutto questo nel 1917, mentre era sul fronte del Carso durante la Prima Guerra mondiale e non in una Spa con piscina a sfioro. Il suo ermetismo lo aiutava a distanziarsi dagli orrori della guerra? era una fuga la sua o vedeva la realtà – triste e piena di morte – attraversata dalla luce?
Il linguaggio nasce dalla realtà o fa la realtà? Anche la realtà è infatti un linguaggio che implica la necessità di un suo codice di decifrazione, che non può essere evidentemente identico a quello impiegato per le lingue verbali; la lingua infatti non è lo strumento esclusivo di rappresentazione della realtà, quest’ultima è in grado di comunicare autonomamente, mediante i propri oggetti che sono semplicemente segni di se stessi.
Stiamo cercando di dire che il problema di oggi (e di sempre) non è solo quello di trovare parole giuste o neutrali e politicamente corrette per comunicare senza offendere nessuno; il problema è che mancano proprio le parole affinché realtà nuove e belle nascano. Ci mancano le parole per fare la pace, per accogliere l’altro senza dominarlo, per presentare la realtà complessa e indomabile dove ci muoviamo; ci mancano le parole per creare una poesia lasciandoci meravigliare dalle emozioni che suscita e ci mancano anche per capire quando è meglio tacere.
Urge essere artigiani di parole nuove che non assoggettino la realtà ad essere “consumata” ma che la trasfigurino con un di più che la parola può innescare, come un pò di sale o un pò di lievito, affinché questa si trasformi esaltando la potenzialità che ha. Una rosa che nasce tra i dirupi di una montagna non perde la sua bellezza se viene contemplata solo dai camosci o dagli stambecchi, ma solo quando viene consegnata da un amante alla persona amata essa trasmette il di più simbolico di cui è portatrice. Allo stesso modo le parole, oggi lasciate nel deserto afoso dell’ostilità, tornano sulla bocca di chi li pronuncia avvelenate e capace di uccidere peggio di uno scorpione.
Le parole colorite di Papa Francesco circa l’omosessualità nei Seminari è un epifenomeno della difficoltà di affrontare realtà complesse con termini nuovi che ancora non abbiamo e che forse non vogliamo avere. Diversi gli articoli da parte delle maggiori testate di tutto il mondo, ora a sottolinearne – anche farisaicamente – l’inopportunità terminologica ora l’aspetto morale; pochi gli interventi che facciano riflettere sull’ambiente che ha generato tale terminologia che denigra la persona a partire da un suo aspetto specifico considerato innaturale.
Non si tratta chiaramente di giustificare una doppia vita, il celibato riguarda sia l’etero che l’omosessuale, si tratta di rispettare lo specifico di ciascuno senza sceglierlo per categorizzare una deriva morale. Questo sarebbe ridurre l’uomo. La consapevolezza di avere un orientamento omosessuale non è di per sé incompatibile con il presbiterato e non è una condizione impeditiva all’ordinazione. Il problema sta nella difficoltà di cercare categorie nuove per riflettere seriamente – e scientificamente – sul complesso mondo dell’affettività e della sessualità nonché dei criteri di discernimento che portano i candidati ad accedere agli Ordini accogliendo una vita celibataria. La caccia alle streghe non è mai servita a niente e il calo numerico delle vocazioni potrebbe anzi annacquare il discernimento che non è sull’orientamento ma sull’equilibrio e sulla maturità affettiva che porta a decentrarsi facendo emergere la parola del Vangelo che da la vista ai ciechi e mette in libertà i prigionieri.
Non è solo questione di linguaggio. Le parole che utilizziamo veicolano mondi e creano mondi, disarmiamo allora le parole creando realtà inclusive di ascolto e di comprensione dell’altro sino al punto da parlare il suo linguaggio. Ciò che il dono del Risorto ha permesso agli albori della Pentecoste dove si parlavano lingue nuove e ognuno si sentiva capito nella sua lingua natia (Atti 2, 1-13). Ma questo è reso possibile solo dall’Amore.
Ma a essere missionari non basta istruzione, non è efficace la Parola se non anche da personale Fede in Lui. Questa richiede prova, l’esperienza dal viverla. La Fede si sente dire. e dono, In effetti uno non sa come e quando sente di avere fede.Non sono bastati i soli miracoli compiuti da Cristo, senza quella conoscenza di essere amore generoso la fonte di sapienza. Rileggere a una assemblea di ascoltatori pagine evangeliche se non anche da quanto la propria Fede suggerisce fa dire da quel l’ascoltatore “la sappiamo già quella storia”.,Rimane un parlare anche se bello dotto ma inefficace come messaggio che resta incompreso, lingua, sconosciuta. Presumere di perseguire la Pace attraverso la guerra e lo si sta stiamo vedendo, questa si fa sempre più violenta pertanto nel cuore dell’uomo “amore, Pace” sono morte. Solo Cristo che si è offerto a essere unica vittima a salvezza di molti è stato esempio di amore, ne è prova perché Egli ancora esiste e da vita.
Io penso che il problema vero sta proprio nella difficoltà a riflettere sul complesso mondo dell’affettività e a formare persone affettivamente mature capaci di comprendere se stessi, con le proprie luci e ombre e la persona che ti sta di fronte, anch’essa portatrice di luci e ombre. I seminari devono assolutamente affrontare tale tema che poi si lega al dramma degli abusi su minori e donne consacrate e non. Questo è un dramma dalle dimensioni enormi che la chiesa non può più far finta di non vedere o di affrontarlo con una superficialità devastante. Noi abbiamo bisogno di ambienti sani in cui i nostri figli e nipoti possano crescere serenamente, non possiamo guardare con sospetto le nostre parrocchie, i nostri oratori, i nostri campi estivi. Questa è la più grande disgrazia che possa capitare ad un credente. La gerarchia lo deve capire. Bisogna essere tutti unanimi per cercare di farlo capire ai nostri vescovi e presbiteri.
In principio . Dio disse: Sia la luce. E la luce fu. Dio chiamo la luce giorno e le tenebre notte.E fu sera e fu mattina..” Parola che necessità di linguaggio a creare comunicazione.Ma in questa si presuppone esista verità. E’ la Verità che può urtare opinioni diverse, ma il Santo Padre e Pastore della Chiesa di Cristo e parlando con i Confratelli questi intendevano il suo linguaggio, compreso nell’intento di salvare la Fede nella Chiesa. Che Dio sia assente in larga parte della società di oggi è cosa evidente, da quella libertà senza freni perfino a regole civili, umane, accadono fatti orrendi motivati da frustrazione, violenza senza rimorsi. Questo significa doversi avvicinare più ancora alla Parola così come è da Cristo. La Fede va difesa in quanto di essa vive tanto popolo, tutta quella umanità per cui Dio ha sacrificato il Figlio testimone del suo amore. “Egli disse:”Ogni regno diviso in se stesso va in rovina è una casa cade sull’altra”.Lc.11